Alla Buchmesse di Francoforte incontriamo, presso il suo editore tedesco Kunstmann, l’autrice abruzzese premio Strega 2024 con “L’età fragile” (Einaudi, 2023)

Che cosa hanno rappresentato per te il premio Strega giovani e il Premio Strega?

Una grande emozione in entrambi i casi. Per il Premio Strega giovani la gioia di essere ricevuta e apprezzata dai ragazzi che poi mi hanno raccontato di essersi molto identificati nel personaggio di Amanda, la giovane protagonista con le sue difficoltà, la sua crisi, la sua interruzione di un percorso di vita che sembrava lineare. E, quindi, i ragazzi si sono ritrovati in questo personaggio, loro coetaneo fragile. E poi il Premio Strega, per me che vengo da un mondo completamente diverso, lontano dalla letteratura  – sono cresciuta in una casa senza libri – una grande gioia, ma anche una rassicurazione, una conferma per me che scrivo da sempre, ma mi sono sempre sentita, anche dopo aver iniziato a pubblicare quasi a cinquant’anni, un po’ un’intrusa nel mondo della letteratura.

Immagine web

Hai spesso parlato di urgenza della scrittura. Cos’è per te scrivere?

Da sempre per me è un movimento che nasce da dentro e che io non posso controllare. Non sono io a decidere : “adesso mi metto a scrivere e scrivo dalle 8 alle 12”. No. E’ una sorta di flusso interiore, un’ energia che arriva oppure non arriva ed io sono a disposizione per metterla sulla pagina.

Nei tuoi precedenti  romanzi hai scritto di abbandoni. Cosa ti senti di dire alle persone che si sentono fragili?

Che la fragilità non va respinta. I momenti di crisi, di dolore, di perdita non vanno allontanati, non vanno evitati ne tantomeno negati. Sono momenti dolorosi, ma sono anche i periodi in cui meglio conosciamo noi stessi.

Io credo che l’umano diventi vero o autentico proprio nel momento in cui tocca la sua fragilità, la sua vulnerabilità. Quando siamo felici e tutto va bene sono indubbiamente bei momenti, ma sono anche momenti in cui, in fondo, non possiamo fare altro che viverla, questa felicità e consumarla finché dura; e non abbiamo necessità di cambiare, di esplorarci, di interrogarci. E invece la fragilità ci arricchisce.  Sempre.

Credits: Paola Cairo

Con il tuo ultimo romanzo hai capovolto il tuo ruolo di narratore. Da figlia sei diventata madre. Cosa è scattato in te?

Una necessità di esplorare l’altro versante della maternità che è un po’ il mio demone, la mia ossessione. Però la maternità ha questi due versanti diversi, a volte non sempre complementari nella nostra vita. E io avevo, in qualche modo, abbastanza esaurito la narratrice figlia adulta,  che in parte è ancora presente in questo romanzo, ma più marginalmente, quindi avevo esplorato tutta quella possibilità da parte della figlia adulta di raccontare e dare un senso alla sua relazione con la maternità. Ad un certo punto è arrivato il momento, invece, di vedere questa figlia, ancora figlia, che però si trova nell’altro ruolo, quello di madre. Per me era interessante capire come questa figlia, che ha vissuto un rapporto problematico con sua madre, si pone nel momento in cui diventa madre. Quindi che madre è se non vuole ripetere e non accetta il modello di madre che ha avuto? Che madre si può diventare, si può essere se il modello precedente non viene ritenuto valido? E di fatto non si ha un modello?

Se non fossi nata in Abruzzo saresti diventata comunque una scrittrice?

Se fossi nata in un luogo simile all’Abruzzo, se avessi avuto un certo tipo di famiglia contadina, se avessi avuto una madre che, per necessità, lavorava sempre nei campi e non aveva tempo per me, probabilmente sarei comunque diventata una scrittrice. E quella particolare costellazione di condizioni della mia infanzia che mi ha portato a scrivere, a cercare un canale di espressione. Dunque per me l’Abruzzo è importante, è sempre protagonista, ma non in quanto Abruzzo: potrebbe essere una valle alpina o la Calabria dell’interno o qualsiasi piccolo luogo dove queste piccole comunità –  negli anni in cui sono nata e cresciuta, quindi negli Anni ’60 – c’erano ancora.  Non solo in Abruzzo, ma nell’Italia intera e, chissà ancora in quante altre parti del mondo, queste piccole comunità erano abbastanza isolate e impermeabili al cambiamento, alla modernità. Però allo stesso tempo, la modernità doveva arrivare, inesorabilmente; ed io ho cercato di raccontare anche questo, come questi piccoli luoghi si sono aperti al mondo.

Intervista raccolta da Paola Cairo

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