Lo scorso venerdì 1 marzo, dopo anni di progettazione e di lavoro sul campo, è stato ufficialmente inaugurato il rinnovato e ampliato Musée National de la Résistance et des Droits Humains a Esch-sur-Alzette alla presenza del Primo Ministro del Granducato di Lussemburgo Luc Frieden e numerose autorità e personalità politiche e del mondo della cultura
IL MUSEO
Il pronao antistante l’edificio, non privo di solennità, delimita uno spazio che ospita simboli dolorosi: una statua umana che emerge dal terreno (Atlas, realizzata dall’artista Bruce Clarke nel 2022), spoglia e curva sotto il peso della sofferenza, un sarcofago nero che contiene le ceneri di vittime e resistenti ignoti e quattro grandi blocchi di pietra bianca, opere degli scultori Cito, Hulten e Kohl, in cui sono scolpite in rilievo scene dell’occupazione, della vita del popolo durante l’oppressione e infine della liberazione. Questi simboli anticipano il tono generale dei contenuti, che vogliono evidenziare più il lato dolente che quello glorioso della Resistenza lussemburghese.
I materiali esposti all’interno, sin dalla prima grande sala al piano terra, seguono due impostazioni diverse e complementari: quella biografica che espone le vite di resistenti di diverse origini e destini, con fotografie e filmati curati dal nostro amico Donato Rotunno, e quella della storia generale in un lungo pannello orizzontale che ripercorre su due livelli gli eventi esterni e interni al Granducato. L’effetto della sintesi, per chi la segue dall’inizio alla fine, è altamente emotivo.
Al piano superiore l’esposizione continua con una ricca collezione di oggetti, scritti e stampe del periodo, testimonianze del tentativo di germanizzazione e nazificazione della popolazione e della spietata correzione ad ogni tentativo di reazione anche non violenta.
Colpisce la sezione dedicata al collaborazionismo e a quell’area grigia di acquiescenza, prevalentemente generata dalle necessità quotidiane di sopravvivenza più che dalla convinta adesione che è presente storicamente nella maggior parte delle situazioni analoghe a quelle vissute dal Lussemburgo tra il 1940 e il 1944.
L’ultima sezione, dedicata ai diritti umani, pone a contatto il pubblico con gli avvenimenti e i testi fondanti del dopoguerra e mette in guardia, correttamente a nostro avviso, nei confronti delle teorie che tendono a considerare l’ “ideologia” dei diritti umani come un frutto delle sole civiltà e cultura occidentali, non universalizzabile come valore condiviso dall’Umanità intera.
IL CONTESTO
All’alba del 10 maggio 1940, come parte della grande offensiva che in poche settimane porta i panzer del generale Guderian sulla Manica e provoca il crollo della Francia, le truppe tedesche invadono il Granducato di Lussemburgo.
È la seconda violazione della neutralità lussembughese nel giro di pochi anni. Ma il Governo granducale, ammaestrato dalla precedente esperienza, ha già preparato il piano di fuga che conduce la Granduchessa Charlotte prima in Portogallo, poi in Canada e infine a Londra, dove ha inizio l’organizzazione della resistenza esterna e il difficile appoggio alla resistenza interna del Paese.
La pesante occupazione tedesca dura quattro anni ed assume varie forme. In un primo tempo, dall’estate 1940 a quella del 1942, il Lussemburgo viene posto sotto la diretta amministrazione della Germania. Vietato l’uso della lingua francese, germanizzazione delle scuole e dell’amministrazione, censimento mediante il quale si tenta di imporre l’autodefinizione della popolazione come “tedesca”, mentre la maggior parte continua a definirsi “lussemburghese” sfidando gli occupanti.
Il 30 agosto 1942 il Lussemburgo viene infine forzosamente annesso al Reich, il che implica tra l’altro la chiamata alle armi di circa 10.000 cittadini, in maggior parte giovani, un buon terzo dei quali rifiuta la coscrizione e preferisce darsi alla macchia. Scoppiano scioperi in tutto il Paese, ai quali gli occupanti rispondono con persecuzioni e rappresaglie, che a loro volta rafforzano la volontà di resistenza.
Della comunità ebraica di circa 4.000 persone, 1.300 subiscono la deportazione; di questi a fine conflitto ne sopravviveranno solo 69.
Lussemburgo viene liberata una prima volta dalle truppe americane il 10 settembre 1944. Ma non è ancora finita: nel dicembre l’ultima grande offensiva tedesca nelle Ardenne dilaga ancora nel territorio, fino alla liberazione definitiva del Granducato nel febbraio 1945 e al ritorno del Governo e della Sovrana nel mese di aprile.
L’inaugurazione presieduta dal direttore del Museo Frank Schroeder è stata accompagnata dagli intensi interludi musicali al violoncello del Maestro André Mergenthaler.
Maurizio Zanella