Per la prima volta nell’ultimo quinquennio gli Atenei italiani si svuotano. Per le difficoltà economiche delle famiglie le immatricolazioni all’università risultano in calo nel 2022 del 3% rispetto all’anno precedente. È l’ultimo dato che compone, per l’Italia, una situazione generale sempre più drammatica al di là delle manipolazioni ottimistiche o delle ancora più numerose omissioni mediatiche

La scelta della politica italiana di sacrificare in particolare dal 2002 – ma già dal 1994 – sanità, politica della famiglia e del lavoro, scuola, istruzione e ricerca sull’altare dei famosi parametri di Maastricht di contenimento della spesa pubblica trova conferma nei dati che dipingono un Paese destinato ad un declino demografico irreversibile. L’Italia non fa più figli da decenni. Il tasso di fecondità è sceso sino ad 1,23 figli (un figlio per coppia) per donna rispetto a quella quota di 2,1 figli per donna che assicura il ricambio delle generazioni. In Europa lo mantiene a prossimità la Francia che già distacca di 5 milioni l’Italia dopo che i due Paesi erano partiti vent’anni fa su posizioni demografiche analoghe. Ma l’Italia non è solo uno dei Paesi meno prolifici d’Europa con Grecia e Repubblica ceca, è anche un Paese vecchio con una piramide demografica quasi capovolta, ormai più simile ad un camino veneziano. Con un’età media della popolazione di 44 anni (la più alta d’Europa) l’Italia possiede una frazione di over 65 (21%) maggiore della frazione degli under 35 (14%). Ma se è preoccupante la realtà, ancora più preoccupanti sono le tendenze. Gli over 65 che negli Anni ‘70 era sette milioni oggi sono semplicemente raddoppiati mentre gli under 35 da 30 milioni alla fine degli Anni ‘70 sono scesi a meno di 20 milioni. Con un livello di occupazione – percentuale di popolazione attiva sulla popolazione residente –  che potrebbe scendere dal 50% circa sino al 30% sarebbe impossibile il livello attuale di PIL con un formidabile arretramento della ricchezza nazionale.

È un fenomeno demografico negativo che ha interessato di recente anche la Germania riunificata. Le autorità tedesche vi hanno riposto con razionalità, attirando capitale umano  per sopperire al deficit di natalità e hanno raggiunto in questo modo in pochi anni un bilancio demografico positivo. Ma nulla sembra indicare che l’Italia voglia imboccare una via analoga.  Partiti di governo hanno fatto della retorica anti-immigrati una bandiera politica e rinnovano tutte le tecniche per impedire, per motivi di permanente stimolo elettorale delle paure degli italiani, ogni tipo di regolare integrazione di menti e braccia acquisite dall’estero. Quindi, niente soppressione della vecchia legge Bossi-Fini sempre in vigore che impedisce la formazione di flussi regolari di immigrazione verso Italia, niente Ius Scholae o Ius soli. Piuttosto il mantenere in condizione di semi-schiavitù sul suolo italiano una popolazione di nuovi irregolari e senza diritti, sfruttati e emarginati. Mentre in senso opposto riprende la formazione di correnti di emigrazione di giovani italiani verso l’estero dato il generale decadimento delle opportunità lavorative e di crescita, e cresce nel Paese l’esercito dei 3 milioni di under 35 – 15% del totale – che non vanno a scuola, non si formano e non lavorano, restando ai margini delle attività lavorative. Sono quelli che – sempre per fare ben capire le cose – nelle statistiche sono indicati come NEET (Not in Education Employment or Training/Non (attive) in istruzione, lavoro o formazione, ndr)

Ora nessuna chiara analisi viene fatta di questa drammatica situazione dalla ultima oligarchia politica al governo. Neppure per capire senza scomodare un Thomas Piketty o uno Joseph Stiglitz che per il Paese caratterizzato dalla più grande diseguaglianza distributiva interna nella UE (secondo in negativo, nella disuguaglianza nel mondo fra i paesi più avanzati, solo dietro Stati uniti, Israele, Turchia e Gran Bretagna) secondo i dati OCSE, la crescita zero è l’inevitabile corollario economico della enorme disuguaglianza distributiva interna. Che si vuole aggravare con il rilancio dell’uso del contante o la introduzione delle Flat tax o altri espedienti analoghi anti-progressività contributiva. Mentre niente si fa per un rilancio del Paese che tenga conto della sua drammatica situazione demografica. Con i media italiani tutti presi dalla vexata quaestio se il nuovo premier donna Giorgia Meloni si debba chiamare il Presidente o la Presidente. Se non fosse una tragedia sembrerebbe un comic. Purtroppo, resta la tragedia.

Carlo degli Abbati

(Professore associato di politica economica e finanziaria. Già insegnante Jean Monnet è cultore della materia di Diritto dell’Unione europea presso il Dip. di Lingue e Culture moderne dell’Università di Genova)

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