Il professor Carlo degli Abbati ci spiega come già l’Afghanistan dell’emiro Abdur Rahman anche la UE di Ursula von der Leyen e di Josep Borrell Fontelles è soltanto l’oggetto inerte delle ambizioni delle grandi potenze

Durante il Grande Gioco ottocentesco intorno all’Afghanistan condotto dalle due superpotenze dell’epoca, la Gran Bretagna e la Russia dello Czar, gli Inglesi dopo la conclusione della seconda guerra anglo-afghana e la definizione dei confini dell’Emirato con il Trattato di Gandamak (1879)  nominano nel 1880 emiro dell’Afghanistan Abdur Rahman Khan, nipote di Dost Mohammed, che passerà alla storia come “l’emiro di ferro”. Durante i suoi difficili ventuno anni di regno l’emiro sarà condannato a sopravvivere fra le pressioni contrapposte esercitate sull’Afghanistan da Nord dall’Impero zarista e da Sud dall’Impero britannico procedente dai suoi santuari nel sub-continente indiano.

Ora la condizione dell’emiro Abdur Rahman, raffigurato nelle stampe dell’epoca come schiacciato fra il Leone e l’Orso ricorda molto quella attuale dell’Unione europea nell’evolversi della guerra europea in Ucraina.

L’Europa,  priva dal secondo dopoguerra di una propria politica estera e di un proprio  esercito, figura da decenni geopoliticamente come “la bella addormentata” nel suo beato consumismo, sotto l’ombrello protettivo nucleare americano espresso dal 1949 dalla NATO. Ma adesso, dopo una lunga epoca di quieto benessere, ha alla porta gli uscieri che pretendono la riscossione del debito pronti a far pagare all’Europa il dazio di tale protezione. Oggi, divaricandosi completamente dagli interessi del loro protetto europeo, gli Stati Uniti sono orientati ad  imbarcare la UE nella più grande recessione economica del dopoguerra pur di spezzare la vena giugulare che finora legava il gas e il petrolio russo al mercato europeo.

Attualmente, quasi tutti dipendenti economicamente dal gas e dal petrolio russi, gli Stati membri della UE, in primis l’Italia, si stanno dibattendo alla ricerca di fonti alternative pur di compiacere le esigenze di Oltre Atlantico. Avviandosi così a partire dall’autunno prossimo al più grande dei fallimenti economici del dopoguerra a meno che, al di là dell’Atlantico, non finisca per prevalere nel frattempo,  grazie alle prossime lezioni di novembre e ad una inflazione a due cifre, una visione più realistica e meno punitiva verso la Russia sulle attitudini guerriere degli ambienti più conservatori. Magari con un orecchio dell’America profonda più orientato verso le valutazioni di un Henri Kissinger sullo spazio geopolitico da lasciare alla Russia in Europa. Comunque, come già l’Afghanistan dell’emiro Abdur Rahman, anche la UE di Ursula von der Leyen e di Josep Borrell  Fontelles è soltanto l’oggetto inerte delle ambizioni delle grandi potenze. Spaccata al suo interno fra il fronte marziano degli Stati dell’Est sostenuti dall’Anglosfera (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada) e il fronte venusiano dei Paesi più occidentali di vecchia adesione, per ricordare le definizioni di Kagan di vent’anni fa, all’epoca della guerra americana all’ Iraq. Poteva la UE essere in realtà sin dal 1992 (se non addirittura dal 1954 se si ricorda la mancata CED), soggetto di storia con il Trattato di Maastricht. Ma la lobby interna costituita dalla Gran Bretagna ha confermato la UE nel suo subordinato atlantismo. Incapace, dal 1991 dopo la frantumazione dell’URSS, di una propria iniziativa forte ed autonoma, di un nuovo ordine di sicurezza europeo includente anche la nuova Federazione russa, vittima del suo assordante silenzio geopolitico, la UE è oggi la vittima collaterale inevitabile delle contrapposte ambizioni russo-americane.

Con le mani del proprio futuro bloccate nell’ingranaggio dello storico confronto fra due nazionalismi slavi nel disciplinato rispetto degli obiettivi esclusivi della politica estera americana. La sola cercabile, nel vuoto politico europeo. Con governi europei  che hanno sinora  inviato armi all’Ucraina senza la minima informazione ai Parlamenti su importi, natura, modalità di impiego. Rischiando la co-belligeranza in dispregio delle norme costituzionali e dei sentimenti popolari di rifiuto della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti. Legandosi le mani sotto la febbrile pressione della Commissione di Bruxelles con delle sanzioni contro la Russia che, come osserva un economista americano come Steve H. Hanke della John Hopkins, costituiscono per l’intera Europa l’equivalente di “un patto economico suicida”. 

Carlo degli Abbati è professore associato di Politica Economica e Finanziaria. Cultore della materia di Diritto dell’Unione europea presso la Facoltà di Lingue e Culture Moderne della Università degli Studi di Genova

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