Le sanzioni decretate in pochi giorni, oltre che dagli Stati Uniti, dall’Unione europea contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, costituiscono per l’intera Europa, ma in particolare per l’Italia, una forma di suicidio economico
La classe politica europea invece di esprimere un approccio razionale sembra presa, di fronte alle tragiche immagini della guerra, da una emotività febbrile. Arrivando, da Bruxelles, sino al punto di andare anche oltre le sanzioni americane, per esempio vietando i cieli europei alla flotta aerea russa, che gli USA si guardano bene dal fare, per non compromettere il sorvolo del cielo russo dei propri aerei sulle rotte verso l’Estremo Oriente.
Parlando dell’efficacia reale delle sanzioni il loro cumulo dovrebbe riuscire ad intaccare complessivamente circa il 50% delle riserve di cambio russe, stilate in dollari ed euro, peraltro colpendo negativamente anche quei settori della popolazione più urbana ed europea che potrebbero essere proprio i vettori futuri di un cambiamento politico all’interno della Russia stessa. Ma la Federazione, nonostante le sanzioni internazionali, con le eccedenze accumulate di bilancio e delle bilance commerciali degli ultimi anni potrà sopravvivere in autarchia almeno per due anni. Ben diverso è il caso dell’Europa su cui l’effetto boomerang delle sanzioni sulla economia è visibile già oggi.
Dotata di una economia di trasformazione e poco ricca di risorse energetiche l’Unione europea aveva trovato nella Federazione Russa un fornitore a basso costo di energia indispensabile come il gas e il petrolio. Ma non solo: la Russia è anche il terzo produttore di carbone e il terzo produttore di grano e mais del mondo insieme all’Ucraina. Dipendono dalle forniture di grano di Russia ed Ucraina fra l’altro paesi come il Kazakistan, la Turchia, l’Egitto, il Sudan, la Libia, il Libano, l’Algeria, la Tunisia, il Pakistan, lo Yemen e l’Indonesia. Per l’economia europea un gas sostitutivo di quello russo non è reperibile né in Algeria, né in Libia, né in Kazakhistan, né in Turkmenistan-Azerbaigian, né nei paesi del Golfo come invece sperato da Boris Johnson con i primi infruttuosi contatti avviati con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Forse l’Iran potrebbe in parte supplire, ma i gasdotti attraversano la Crimea sotto controllo russo. Ma non basta.
La Russia produce anche alluminio, uranio, palladio, vanadio, germanio, terre rare, tutti componenti che rientrano nelle produzioni europee siderurgiche, metallurgiche, nucleari o di alta tecnologia, per non parlare delle componenti produttive che entrano nel nostro agroalimentare sino al cibo per animali, o nella propulsione dei nostri mezzi di trasporto. Non solo. Le sanzioni mettono anche in questione il delicatissimo insieme del mondo finanziario internazionale facendo mancare la base per molte attività di assicurazione e riassicurazione che sono alla base delle attività del mondo bancario europeo.
Per l’Italia, poi, si devono osservare due cose. Un mercato relativamente modesto in dimensione come quello russo è invece importantissimo per comparti come la moda o l’agroalimentare. In secondo luogo l’Italia ha fra i paesi UE lo stigma di essere caratterizzato da una gravissima diseguaglianza distributiva che ha ormai raggiunto gli indici negativi dei peggiori – in questo senso – Paesi OCSE come la Turchia, gli Stati Uniti, Israele, la Gran Bretagna. In altri termini in Italia esiste una grande massa di poveri che vivono al limite delle risorse per i quali sarà impossibile accettare i rincari comportati dalle sanzioni anti Putin. Anche in Italia come in Francia passare dal sociale al militare significherà avere i gilet gialli per le strade.
E allora? Il cui prodest di questa situazione indica solo attori internazionali extra-europei. Gli Stati Uniti che, ben attenti a non implicarsi definitivamente in una guerra contro una potenza nucleare, incassano tutti i dividendi del riarmo generalizzato dell’Europa e del suo coinvolgimento in una guerra di prossimità. La Cina che potrà contare, a prezzi che negozierà da una posizione di forza, sulla ulteriore quantità di gas russo liberato dalla rinunzia UE e anche l’India/Pakistan che, più popoloso complesso demografico del mondo dal 2030, potrà ulteriormente contare sulla disponibilità russa in gas, petrolio, cereali.
E l’Europa? Certa resterà coerente con i suoi valori conclamati come conquista universale, continuando nella tradizionale pretesa occidentale di parlare a nome dell’intera comunità internazionale, ma sarà alle prese con l’incubo degli economisti, la stagflazione, con una recessione generalizzata accompagnata dall’inflazione provocata dall’aumento insostenibile delle materie prime e dalle ripercussioni inevitabili sull’occupazione, sulle attività produttive, sull’ intero quadro monetario-finanziario.
Nel frattempo la maggior parte degli abitanti del pianeta si saranno avviati progressivamente verso altre monete rispetto al Dollaro USA e all’Euro. Lontani dal Dollaro, a causa della pretesa extraterritorialità dell’ordinamento giuridico statunitense nei confronti degli utilizzatori di questa moneta, ma anche dall’Euro, per l’evidente crisi economica della zona europea. E forse proprio la evitabile guerra in Ucraina marcherà l’ultima fase della relegamento dell’Europa ai margini del nuovo disordine mondiale.
Auguriamoci solo unendo le mani che per questa guerra si trovi al più presto un compromesso valido, come chiede il Papa, e per l’Ucraina e per la Russia. E che l’Europa non ricordi più dove ha messo la pistola del suo suicidio annunciato.
Carlo Degli Abbati è professore associato di Politica Economica insegnante nelle Università di Genova e Trento e collaboratore della pagina ESTERI e Europarliamone di PassaParola Mag
(La foto di copertina è tratta da capitalkingdom.eu)