In occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno l’Anpi Lussemburgo, in collaborazione con il Circolo “E.Curiel” ha organizzato una video-conferenza gratuita con lo storico Enzo Fimiani, sulla Brigata Maiella. Chi erano questi uomini che hanno costruito una storia straordinaria?  Appuntamento il 2 giugno ore 19, cliccando QUI (credenziali in basso)

Noi di PassaParola Mag vi regaliamo qualche anticipazione, direttamente con le parole del professor Fimiani, membro del comitato scientifico della Fondazione “Brigata Maiella”.

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Intervista

Banditi della libertà, partigiani senza partito, soldati senza stellette. Chi erano questi uomini?

Quegli uomini hanno costruito, e oggi ancora ci raccontano, una storia che è del tutto straordinaria non solo nell’ambito della seconda guerra mondiale e della Resistenza in Italia tra 1943 e 1945, bensì anche a livello europeo.

Già i fatti lo dimostrano. Alla fine del ‘43, mentre il fronte stagnava in Abruzzo lungo la Linea Gustav e stava facendo di quelle terre un tragico laboratorio della total war del ‘900, così devastante anche per i civili (stragi di inermi; “terra bruciata” lasciata dai tedeschi in ritirata, con distruzioni di interi paesi, raccolti, bestiame; bombardamenti; lavoro coatto; sfollamento e molto altro ancora), un piccolo nucleo di uomini decide di non rimanere inerte attendendo che la tempesta passi con il minor danno possibile per sé, le proprie famiglie, i luoghi e le cose della loro vita.

Sollecitati e poi sempre guidati all’azione dal ruolo decisivo di uno dei grandi italiani del Novecento, Ettore Troilo, avvocato socialista e antifascista, quegli uomini decidono viceversa di compiere una «scelta chiara e difficile», secondo la locuzione di Claudio Pavone nel suo fondamentale libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza (1991).

I “maiellini” scelgono di prendere le armi, uccidere e rischiare di farsi uccidere per sconfiggere il nazifascismo, liberare l’Italia e costruirne una migliore. Lo fanno partendo dal sud dell’Abruzzo, nella zona sotto la grande bastionata montuosa della Majella orientale. Lì, l’ VIII Armata britannica, che tenta faticosamente di risalire la penisola scontrandosi con la forza delle barriere difensive tedesche e del neofascismo della Repubblica sociale, è già arrivata.

Questa dunque è la prima caratteristica: si crea un gruppo di resistenti al di qua e non al di là della linea del fronte, come è tipico delle formazioni partigiane tra 1943 e 1945. Pertanto, la prima prova da superare è far sì che i comandi inglesi accettino la collaborazione di questi strani italiani, fino a poche settimane prima formalmente nemici (l’armistizio era stato annunciato l’8 settembre). Grazie soprattutto alla capacità “politica” di Troilo, che vince le diffidenze britanniche, quegli abruzzesi vengono accettati.

Dai primi del 1944 e fino ai primi di maggio del 1945, comincia così una vera epopea. Il gruppo di resistenti combatte, spesso in classiche azioni di “guerriglia”, al fianco degli inglesi in Abruzzo. Quando però, alla metà di giugno ’44, le operazioni belliche lasciano i territori abruzzesi e si spostano verso nord, quegli uomini non decidono di rientrare a casa.

Caso unico in tutta la storia del movimento italiano di liberazione, essi invece scelgono (una seconda volta) di continuare a battersi in armi, risalendo con grandi sforzi e col sangue l’Italia, lontani centinaia di chilometri dalle proprie aree d’origine. Dopo essere stati aggregati al II Corpo di spedizione polacco e dopo aver visto crescere di molto il proprio numero grazie a tanti di altre regioni italiane che si uniscono alla banda, i componenti di quella che ormai andava chiamandosi Brigata Maiella risalgono le Marche e la Romagna tra estate e fine ’44, e poi nel 1945 l’Emilia, spingendosi fino al Veneto a maggio.

Conducono con sé alcune caratteristiche che ne fanno un unicum di quei tempi. Oltre a non combattere soltanto nelle proprie zone come fanno tutte le brigate partigiane classiche, i maiellini guidati da Troilo, infatti, sono anche gli unici a essere del tutto “plurali” al loro interno dal punto di vista politico, pur avendo una chiara matrice antifascista e una ancor più ferrea pregiudiziale repubblicana (che resisterà a tutti i tentativi della monarchia di accattivarsi le loro simpatie).

Essi poi sono in qualche modo militari ma non ne indossano i simboli, né mai accettano l’inglobamento nel regio esercito, preferendo avere addosso il semplice tricolore. Scelte chiare e motivate: l’essere senza una netta appartenenza di partito era un’ovvia conseguenza del compromesso con gli inglesi, mentre la riottosità all’inquadramento nelle forze armate del re che andavano rinascendo era dovuta appunto alla fede repubblicana e alla piena coscienza delle profonde colpe storiche dei Savoia, che avevano favorito la dittatura fascista e poi le sue guerre.

Non basta: la Brigata Maiella sarebbe stata anche l’unica formazione partigiana a vedere decorata dalla Repubblica la propria bandiera, benché solo vent’anni dopo la guerra e dopo mille vicissitudini.

Maiella

Qual è stato il loro legame con gli inglesi?

Nei primi tempi, difficile, per la naturale sospettosità dei britannici verso gli ex-nemici. Poi, specie dopo il tributo di vite umane pagato dai maiellini nella battaglia per la conquista, fallita, del paese di Pizzoferrato in febbraio, il rapporto diventa migliore fino a farsi stretto e reciprocamente affidabile nel corso della tarda primavera ’44. Dall’estate in avanti, non saranno più le truppe di sua Maestà ad aggregarli, bensì i polacchi, con i quali le relazioni furono a volte complicate, quando non conflittuali.

Cosa e chi resta della Brigata Maiella oggi?

Restano in vita pochi dei suoi uomini, per l’inevitabile legge biologica. Tra questi, l’ultimo degli ufficiali si chiama Gilberto Malvestuto. Classe 1922, ancor oggi testimonia il messaggio lanciato dalla “Maiella”. Lo ha fatto anche pochi giorni fa, intervistato per la RAI italiana da Gad Lerner.

Ciò che di memoriale, etico e civile resta della Brigata Maiella è invece tantissimo. Quegli uomini sono stati l’esempio migliore di una Resistenza “plurale”, che è stata l’essenza principale di quella straordinaria stagione italiana. Si può dire che i maiellini siano stati una perfetta trasposizione, in vitro, di quello che si sarebbe poi chiamato “arco costituzionale”: un insieme di “famiglie politiche” (dai comunisti ai cattolici, dai socialisti ai liberali, fino ai laici nelle loro varie gradazioni e persino a molti monarchici) che combatte il nazifascismo, crede nella democrazia, fonda la Repubblica e scrive la Costituzione.

Oggi, la storia della Brigata Maiella affascina, soprattutto i giovani. Da quella esperienza, forse, potremmo imparare, e insegnare ai giovani, quel “patriottismo repubblicano” e quella dimensione civile, nonché il senso profondo dei principi costituzionali, di cui l’Italia e gli italiani sono carenti.

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Si parla sempre poco del ruolo delle donne nel periodo della Resistenza. Cosa ne pensa? Nella Brigata Maiella c’era qualche donna che merita di essere ricordata?

Non vi sono donne direttamente coinvolte in questa esperienza, ma nell’Abruzzo da cui nasce la “Maiella” vi sono alcune figure straordinarie che confermano la piena partecipazione femminile al movimento resistenziale, altro fattore di “pluralità” della e nella Resistenza, che peraltro non si fa soltanto con le armi bensì anche in cento altri modi.

Perché quella di Bologna rimane una delle liberazioni più vive nell’immaginario collettivo?

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Il capoluogo felsineo era stato uno dei centri principali della propaganda del regime fascista e quindi assumeva una forte valenza simbolica. Inoltre, era una delle prime città principali del centro-nord a venire liberata. E infine costituiva uno snodo strategico importante, aprendo la strada verso la pianura Padana.

Ma non è solo questo: il grande impatto emotivo è stato determinato dal fatto che la strabocchevole e festante folla che accoglie le truppe nella Bologna liberata, invece di ascoltare lingue straniere al passaggio di quegli uomini in armi, sente parlare quegli strani mezzi-soldati che sono invece italiani come loro, anzi parlano un dialetto meridionale.

L’ingresso, tra i primi, dei maiellini sotto le due Torri è una delle immagini-simbolo dell’intera Liberazione italiana: italiani che liberano altri italiani, segno del riscatto morale di cui la Resistenza si fa portatrice.

Resistenza nel Terzo Millennio: come e a cosa?

Credo poco a un allargamento eccessivo, nel tempo e nello spazio, di eventi, emblemi, memorie. Certo, però, la Resistenza italiana è stato senza alcun dubbio il più alto momento nella storia dell’Italia unita dal Risorgimento. Per questo, essa ci insegna che resistere – alle ingiustizie, alle diseguaglianze, al prevalere del profitto e dei meri interessi, alla distruzione dell’ambiente, ai tentativi di cambiare le democrazie e trasformarle in regimi autoritari, a molto altro ancora – è ancora oggi e sarà nel futuro una via d’uscita dalle crisi dei nostri tempi complicati. Una prospettiva, però, che o sarà transnazionale, e quindi nel nostro caso europea, o avrà il respiro ampio e sarà capace di muoversi entro un orizzonte lungo, oppure non sarà.

 

(Maria Grazia Galati, Remo Ceccarelli, Amelia Conte, Paola Cairo)

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