Tre giovani dottorandi di Economia all’Università del Lussemburgo ci spiegano il loro lavoro nella ricerca a livello economico e finanziario. A differenza dei “classici scienziati’’, non scoprono nuove cure mediche e non svelano misteri dell’universo, ma ciò che fanno è importantissimo per la società moderna e ce lo spiegano loro stessi.
In generale il termine economia rimanda alle banche e alla finanza, qui in Lussemburgo, mentre l’economia che trattate è qualcosa di diverso. Potete spiegarci di cosa vi occupate nel vostro dottorato di ricerca?
(Giorgia Menta) Nella mia tesi di dottorato mi occupo della trasmissione intergenerazionale di povertà e disuguaglianza, prestando particolare attenzione a variabili come la salute mentale ed emozionale delle nuove generazioni. Nonostante possa sembrare piuttosto lontano da quello che in Italia viene tradizionalmente considerato “economia”, si tratta di un tipo di ricerca che viene classificato nel campo della microeconomia applicata. L’obiettivo è analizzare dati longitudinali tramite tecniche statistiche per trovare un nesso causale tra variabili di tipo economico-sociale.
(Niccolò Gentile) Se da un lato è vero che non mi occupo di studiare direttamente l’andamento di mercati azionari e obbligazionari, dall’altro è anche vero che essi fanno comunque parte del sistema economico. In ultima istanza, con buona approssimazione, si può dire che l’economia studia le scelte degli individui nell’allocare le proprie risorse al fine di massimizzare il proprio benessere. Nel mio dottorato cerco di studiare quali fattori, includendo ma non limitandomi alla capacità finanziaria, influiscono direttamente sul benessere individuale, misurato come percezione autodichiarata del livello di soddisfazione. Il tutto caratterizzato dall’uso di tecniche di analisi di dati sostanzialmente innovative. I mercati finanziari hanno come scopo quello di facilitare l’incontro fra domanda e offerta di capitali e, dunque, almeno indirettamente, il loro funzionamento incide sulla libertà di scelta di gestione del proprio benessere finanziario e quindi anche sul livello di soddisfazione.
(Demetrio Panarello) Sono uno statistico e mi piace analizzare tematiche sociali come la discriminazione verso le categorie svantaggiate nel mercato del lavoro e l’analisi delle dinamiche che spingono i cittadini ad attuare comportamenti pro-ambientali. Nella vita di tutti i giorni ogni cosa ha implicazioni economi-che.
Siete giovanissimi, come avete scelto il Granducato: per opportunità o partnership? le università italiane si occupano degli stessi argomenti?
(Giorgia Menta) Io sono arrivata qui un po’ per caso, grazie a una connessione avuta tramite il mio vecchio ateneo in Italia. Da noi ci sono molte università che si occupano di ricerca in ambito economico, alcune conosciute a livello internazionale. Il problema è la mancanza di investimenti, che inibisce la crescita professionale e rende ancora più competitivo il “rientro dei cervelli”, ovvero italiani con un dottorato ad Harvard e anni di esperienza lavorativa all’estero che rientrano in Italia per occupare le poche posizioni allettanti che si aprono nelle università italiane.
Rientrate tra i cosiddetti “cervelli in fuga” oppure la ricerca è essa stessa condivisione, scambio, conoscenza che impone anche di lasciare il proprio Paese ed aprirsi all’altro?
(Niccolò Gentile) Domanda a trabocchetto: se sì, sono un cervello in fuga, sembrerei arrogante, mentre, se dicessi di no, rischierei di sembrare falsamente umile! Diciamo che è un concetto che proprio non mi piace, in quanto presuppone la necessità di dover fuggire dall’Italia: assolutamente non è il mio caso. Preferisco di gran lunga la seconda connotazione: il termine stesso ricercare implica il doversi muovere, dover andare di luogo in luogo per vedere e scoprire cose nuove, indipendentemente dal proprio ambito.
Stella Emolo