Una stanza a cui non si accede fino alla maggiore età pena le percosse paterne
Di quella stanza non mi era permesso sapere nulla fino ai diciotto anni. Età nella quale, secondo mio padre, avrei potuto capire la cosa là dentro. Diceva che in quella stanza si celava la più grande debolezza del mondo. Io guardavo quella porta nera chiusa a chiave con le dita che pizzicavano dall’eccitazione, senza però poter sfiorarla. Un giorno tentai di aprirla, ma mio padre mi colse sul fatto. Non l’avevo mai visto così arrabbiato e deluso. Gridava che avrei potuto farmi del male, intanto mi percuoteva con la cinghia, e io gli credetti e mai piú reiterai quel gesto. O, almeno, fino ai diciott’anni.
Alla scoccare della ventiquattresima ora, ero pronto a scoprire il segreto dietro alla porta. Sentivo il battito del cuore, propagarsi lungo le braccia e le gambe, rendendole pezzi di marmo. Aprii senza esitare oltre. Dentro, oscurità. Solo una lampada illuminava a intermittenza un oggetto. Era uno specchio.