Il 18 settembre scorso Justin Trudeau, leader di un paese di notoria prudenza nelle relazioni internazionali, il Canada, ha dichiarato pubblicamente alla Camera dei Comuni di possedere delle “allegazioni credibili” sul coinvolgimento di agenzie indiane nell’assassinio di un leader sikh, l’avv. Hardeep Singh Nijjar, avvenuto a giugno in territorio canadese, decretando una prima espulsione di un alto diplomatico indiano. Ora, su questo gravissimo episodio non vi è stato molto clamore mediatico

Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

Ora, su questo gravissimo episodio non vi è stato molto clamore mediatico. Del resto, l’avvicinamento degli Stati Uniti all’India nel quadro del QUAD (l’alleanza strategica fra Stati Uniti, Giappone, Australia e India) in funzione anticinese, inserito nel disegno americano del mantenimento ad ogni costo di  un’egemonia  su di un mondo sempre più rapidamente de-occidentalizzato, spiega la superficialità celebrativa con cui i media occidentali rappresentano abitualmente quello che sarà fra breve il paese più popoloso del mondo. Certo, una popolazione di 1,4 miliardi di persone destinata a superare quella di una Cina che conta oggi la percentuale più bassa di cinesi di tutta la storia dell’umanità (in altre parole i cinesi di oggi non sono mai stati così pochi rispetto alla popolazione mondiale) e dei dati economici impressionanti raggiunti nel 75° anno della sua indipendenza: quinta economia mondiale, che ha superato la antica madrepatria britannica, oltre ad una visibilità internazionale di recente segnata il 9 e il 10 settembre  dalla riunione in India dei capi di stato del G-20. Ma se l’India appare un colosso, in realtà, i motivi di debolezza di questo grande paese sono molteplici e vanno rammentati. Sotto il profilo economico innanzi tutto. Se i ritmi di crescita del paese negli ultimi anni sembrano addirittura insolenti (7, 2% nel biennio 2022/2023) non sono peraltro in grado di assorbire i 10-12 milioni di giovani indiani che si presentano ogni anno sul mercato del lavoro. E’ questa innanzi tutto la conseguenza di un settore manifatturiero insufficiente che ha difficoltà ad inserirsi nel contesto del commercio mondiale. Proprio il settore industriale e manufatturiero che costituisce sempre la leva principale dell’occupazione nei paesi in sviluppo economico, resta in India atono. Ora, se il paese presenta delle buone realizzazioni nei servizi e nelle industrie di punta (numerico, produzione di vaccini) non va dimenticato che quasi un indiano su due (44% della popolazione) è impiegato in agricoltura.

Foto: officinadeisaperi.it

E’ l’agricoltura il più grande serbatoio di impiego in India, ammortizzatore sociale nell’ambito di un’economia agricola che spesso costituisce un gigantesco sistema informale in cui si muovono centinaia di milioni di contadini spesso sottopagati. Anche se la sua contribuzione al PIL indiano non supera il 18%. Se poi consideriamo i paesi del G-20 è proprio l’India a marcare il più basso reddito per ab. che è in effettivo nel 2021 di soli 2.283 USD annui   e a contare contemporaneamente il più grande gruppo di persone al mondo, davanti alla Nigeria, che sopravvivono esclusivamente con delle razioni alimentari (800 milioni) classificandosi in una delle ultime posizioni nelle statistiche della fame del mondo (107° su 123 paesi). Secondo le statistiche del PNUD che tengono conto anche delle capacità interne di acquisto il PIL/ ab.  indiano è tre volte inferiore a quello cinese, proporzione che sale a cinque volte se si comparano i redditi effettivi.

Se poi lo riferiamo all’Italia il Pil/ab. indiano è sette volte inferiore al PIL italiano.

Ma queste cifre non danno innanzi tutto conto della effettiva distribuzione interna della ricchezza prodotta. Secondo l’ONG OXFAM in India il 10 % più ricco della popolazione possiede il 77% della ricchezza nazionale, mentre ogni secondo due indiani scivolano, ammalandosi, nella povertà per la totale assenza di un sistema sanitario pubblico. La debolezza strutturale indiana è rivelata da indici sociali come la speranza di vita alla nascita, la mortalità infantile, gli anni effettivi di scolarità. Innanzi tutto nelle statistiche di sviluppo umano registrate dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD), non solo l’India figura come paese a Medio sviluppo umano solo al 132° posto sui 191 paesi censiti, ma il suo indice 0,633 è in regressione costante dal 2016 (0,639). La speranza di vita alla nascita degli indiani è di 67,23 anni nel 2021, ma era di 67,35 nel 2011. La durata di scolarità effettiva non supera i 6,65 anni (2021), 6,25 per le donne. La mortalità infantile resta al 27 per mille nascite, contro il 2,7 dell’Italia. La spesa sanitaria non raggiuge che l’1% del PIL (2020), cioè un quinto p.e. del Brasile. Lo stesso accade per l’istruzione e la ricerca. Del resto l’analfabetismo riguarda ancora più di un quarto della popolazione indiana. Esistono centri di studio e ricerca sofisticati come in Bangalore, ma se si guarda alla massa degli studenti indiani nella classe d’età dei 14 anni, il 55% non è in grado di fare una moltiplicazione o una divisione e il 33 % di comprendere un testo scritto di corso elementare di primo anno. 

(Foto: www.aboutindia.it)

Per colmare la massa delle ineguaglianze sinora il governo di Narendra Modi al potere dal 2014 si è limitato a privilegiare una politica di aiuti diretti ai più poveri (acquisti di bottiglie di gas, costruzione di alloggi, installazioni sanitarie) che peraltro sottrae mezzi ai settori tradizionali della salute e dell’istruzione. Per colmare il ritardo, l’India immagina di attirare i capitali stranieri, configurandosi come una nuova Cina. Ma il successo è parziale. A parte i giganti della telefonia come Apple che fabbrica una parte dei suoi IPhone nel sud del paese, l’India non riesce a fare meglio del Vietnam nella delocalizzazione delle attività dalla Cina.

Nel 2022 la Cina ha attratto investimenti esteri quattro volte di più dell’India. Se poi si guarda ai dieci paesi dell’ASEAN (Associazione dei paesi del Sud-est asiatico) essi ricevono 4,5 volte di più di investimenti dell’India, con un andamento a forbice che si sta allargando. Questo non deve meravigliare se dopo le aperture del mercato indiano alla concorrenza internazionale negli Anni ’90 con l’arrivo al potere nel 2014 di Narendra Modi e del suo Bharatiya Janata Party (BJP)  il paese si è rinchiuso. Negli ultimi nove   anni l’India ha inaugurato una politica contradditoria fatta di inviti agli investitori esteri e di moltiplicazione delle barriere all’importazione. Né la brutalità delle decisioni prese dai vertici come la demonetizzazione del 2016, la mancanza di unificazione delle regole commerciali, i rischi dei cambi climatici, il ritardo nelle infrastrutture costituiscono dei fattori incoraggianti l’investimento estero.

Ma inoltre bisogna valutare la complessità della situazione politica interna.

(Foto Mahatma Ganhi – dnaindia.com)

La nuova nazione indiana si era fondata sin dalla sua creazione nel 1947 su di un laicismo indiano frutto di un compromesso tra i padri fondatori della Repubblica, ossia tra l’umanesimo laico di Nerhu e Ambedkar e l’umanesimo integrale (e influenzato dalla religione) del Mahatma Gandhi e dei nazionalisti indù. Dopo i drammatici eventi della Spartizione britannica del sub-continente, sanzionata nel 1947, era infatti evidente la necessità di garantire il carattere laico dello stato indiano a livello costituzionale, ma i punti di vista in materia erano per l’appunto diversi tra loro. Il risultato della mediazione è stato un laicismo basato sul concetto del sarva dharma sambhava, ossia di “eguale rispetto per tutte le religioni”.

Se il modello indiano di laicismo ha funzionato, mantenendo l’armonia religiosa, per un lungo periodo, esso ha iniziato a vacillare nella prima metà degli anni ’80 del novecento, durante il governo di Indira Gandhi. Quest’ultima, appartenente al partito del Congresso, ha infatti inaugurato una tendenza alla politicizzazione della religione. A causa di questo atteggiamento, il laicismo tradizionale indiano veniva per la prima volta messo a dura prova nel 1984. È stato proprio allora che la Gandhi ha affrontato la crisi sikh del Punjab, culminata nella disastrosa e sanguinosa operazione Blue Star a Amritsar. Dopo avere per anni sottovalutato, assecondandolo, l’estremismo politico e religioso del leader sikh Bhindranwale, incentivandone di conseguenza la spregiudicatezza e il successo, il primo ministro aveva deciso di passare improvvisamente all’azione.

(Foto: Indira Gandhi- indiatoday.com

Il 3 giugno del 1984, Indira Gandhi aveva quindi ordinato alle forze armate di attaccare il Tempio d’oro (il luogo più sacro dei sikh) di Amritsar, in Punjab, dov’erano rifugiati Bhindranwale e suoi seguaci, al fine di snidarli. L’azione portò alla parziale distruzione del Tempio, all’uccisione del leader sikh, dei suoi sostenitori e di numerosi fedeli e pellegrini. L’operazione Blue Star avrebbe comportato terribili conseguenze: la Gandhi venne infatti assassinata la mattina del 31 ottobre del 1984 da due delle sue guardie del corpo sikh. Il pomeriggio stesso aveva inizio un pogrom anti-sikh in tutto il nord dell’India, con epicentro Delhi. La connivenza della classe politica (e pare anche quella del figlio di Indira, Rajiv Gandhi), con le forze dell’ordine, permise alla carneficina di protrarsi impunemente fino al 3 novembre.

Lo stesso Rajiv Gandhi, seguendo l’esempio materno, fu un primo ministro non indifferente al richiamo dell’opportunismo religioso. Ciò divenne particolarmente evidente in seguito al caso famoso Shah Bano, dal nome della moglie di un cittadino (quest’ultima era l’ex-moglie del) musulmano, Ahmed Khan, che in un caso di divorzio aveva visto una sentenza della Corte Suprema ricordare che, al di là dei doveri della legge coranica cui facevano riferimento i legali del marito, la Costituzione indiana stabiliva il dovere dello stato di sforzarsi per garantire un codice di famiglia uniforme per tutte le comunità religiose. Questo verdetto aveva però diviso l’opinione pubblica, sia laica che religiosa. Da un lato la destra indù si era infatti dimostrata entusiasta del verdetto, sostenendo la necessità di abolire il codice di famiglia musulmano, dall’altro i religiosi e i dottori della legge, gli ulema musulmani avevano espresso grande contrarietà, essendo per di più un indù il giudice della Corte Suprema che aveva deliberato in favore di Shah Bano. In breve la comunità musulmana si era trovata schierata contro il verdetto, mobilitandosi in massa.

Senza andare in ulteriori dettagli, negli Anni ’80 il processo di erosione delle istituzioni indiane di fronte a tutte le credenze religiose era già cominciato in un paese in cui ben  il 94% della popolazione si dichiara credente.

Questo ha aperto progressivamente la via al trionfo di fronte al Partito del Congresso del nazionalismo indù e del partito che lo rappresentava, il Bharatiya Janata Party, di cui è leader proprio Narendra Modi che, conquistato il potere una prima volta fra il 1998 e il 2004 con Atal Bihari Vajpayee, lo ha riconquistato nel 2014 proprio con Narendra Modi. Il bacino elettorale del BJP che ha sconfitto il Partito del Congresso nel 2014 è formato dall’elemento nazionalista ma anche da esponenti della classe media urbana desiderosi di vedere migliorate le loro condizioni economiche per mezzo di opportune riforme e gli esponenti delle caste inferiori cui la comunanza del discorso religioso offriva una identificazione. Da ciò la tendenza del BJP ad associare politiche settarie ed anti-minoranze ad una facciata moderata e democratica, tenendo “un doppio discorso”. Ora, il BJP rappresenta l’ala politica dell’organizzazione fondamentalista paramilitare a matrice indù, la Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) – Organizzazione dei volontari nazionali  –  che predica l’Hindutva (l’induità), riconoscendo ai soli Indù l’autentica appartenenza al sub-continente come  origine della razza ariana, che secondo le loro teorie non sarebbe originaria dell’Asia centrale, ma nata nella terra santa indiana, punyabhumi. Fondata da un brahamo del Maharastra, Kesham Baliram Hedgewar, seguace dell’ideologo dell’Hindutva, Vinayak Damodar Savarkar, la RSS dotata di un inquadramento militare ha sempre guardato ai regimi totalitari europei come il fascismo. Nel 1931 uno dei suoi ideologi, B.S. Moonje dopo un incontro col Duce dichiarava che “L’India indù ha bisogno di una istituzione di tipo fascista per la rigenerazione militare degli indù”.

Bharatiya Janata Party – Britannica

Da queste basi ideologiche si può facilmente intuire quale sia il rapporto del BJP con le minoranze religiose indiane, dai musulmani ai sikh ai cristiani. L’ Hindutva  (l’India agli Indù, con esclusione delle minoranze religiose), si riferisce ideologicamente a personalità come M.S. Golwakar (definito come “Pujiniya Shri Guruji”- Guru meritevole di venerazione”) che si era schierato nel 1939 a favore della soluzione finale del problema ebraico, giustificandola con la esigenza per la Germania nazista di “mantenere la purezza della razza e della cultura”. Il primo ministro Narendra Modi e molti suoi ministri sono membri della R.S.S. che, forte di più di 600.000 membri, addestra una milizia “volontaria” ispirata alle Camicie nere di mussoliniana memoria e che oggi avanza in ogni istituzione dello Stato.

 Inoltre, sul piano legislativo la legge di prevenzione degli atti illegali (Prevention Of Terrorism Act- POTA) già approvata dal governo Vajpayee permette di definire qualsiasi individuo come terrorista, al di fuori delle normali procedure giudiziarie.

Si è in questo modo definito, come ha denunziato fra gli altri la nota scrittrice  Arundhati Roy, l’autrice del Dio  delle piccole cose,  “l’architettura del fascismo indiano”.

Grazie al sostegno alle attività del Sangh Parivar, la famiglia di organizzazioni discendente dal RSS, è infatti stata possibile la creazione di un clima di forte intolleranza religiosa e culturale, che ha dato luogo, da un lato, a vere e proprie persecuzioni verso le minoranze religiose, dall’altro, alla censura di espressioni culturali non allineate all’ideologia mainstream.

Ne è conseguita la persecuzione dei cristiani, i progrom anti-musulmani durati tre giorni nel Gujarat nel 2002, quando proprio Narendra Modi ne era il Chief Minister, la recente abolizione, nel 2019, dell’autonomia concessa al Kashmir come stato a maggioranza musulmana.

Il 5 agosto scorso 2019  il governo indiano, sotto la guida di Narendra Modi, ha disposto la soppressione dello statuto speciale previsto dalla Costituzione indiana agli artt.370 e 35A che prevedevano una larga autonomia per l’ex-stato principesco di Jammu e Kashmir, il cui Marajah al momento della partizione britannica del sub-continente nel 1947 aveva aderito all’India, nonostante la presenza di una popolazione in grande maggioranza musulmana. Un promesso referendum popolare non aveva mai avuto luogo. Questo aveva determinato il passaggio sotto il controllo di Delhi di due terzi della regione, con la eccezione dell’Azad Kashmir attribuito a Islamabad e di una piccola porzione attribuita alla Cina.

Kashmiri protesters throw stones on Indian security men outside a poling station during a by-election to an Indian Parliament seat in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Sunday, April. 9, 2017. (AP Photo/Mukhtar Khan) (AP)

Ventiquattr’ore prima, alla mezzanotte del 4 agosto 2019 l’intero Kashmir  è  stato trasformato in un gigantesco campo di prigionia, con 7 milioni di Kashmiri costretti a barricarsi in casa, in un isolamento totale dal mondo  provocato dalla interruzione delle connessioni internet e telefoniche.

Non si può spiegare questo improvviso « coup de force » del governo indiano se non si fa riferimento proprio agli orientamenti politici suprematisti del partito Bharatiya Janata Party (BJP) attualmente al potere.

Per cui certe valutazioni sul nuovo protagonista inevitabile del firmamento democratico mondiale vanno fatte rammentando quando diceva nei Promessi Sposi Antonio Ferrer, il Grande Cancelliere di Milano al cocchiere fendendo la folla “ Adelante Pedro, con juicio”. Non sempre la separazione dei giardini dalle giungle corre nella realtà con l’agilità che ritroviamo nelle dichiarazioni di certi leader europei.

Carlo degli Abbati

Encadré  L’India  con 1.407.563.842 di ab. (stima 2021) di ab. si avvia a diventare davanti alla Cina il paese piu’ popoloso del pianeta. Con una superficie di 3.249.863  km2 presenta una altissima intensità abitativa di 433,1 ab./km2. l’India figura come paese a Medio sviluppo umano al 132° posto sui 191 paesi censiti, ma il suo indice -HDI- 0,633 (2021) è in regressione costante dal 2016 (0,639). Presenta un PIL di 3.177.922 mil USD (2021) e un PIL pro-capite annuo che è passato dai 1.790 USD ( in PPP 2017) del 1990 ai 6.589 del 2021, ma che sono in effettivo 2.283 USD. Le attività principali sono il primario con il 44% e i servizi, 31%,  mentre il settore secondario resta al 25%. La partecipazione al PIL dell’agricoltura è del 18%, dei servizi del 55%, del settore secondario del 27%. Le risorse minerarie riguardano in particolare il carbone, il gas, il petrolio e il ferro, mentre è in sviluppo la produzione delle terre rare. La cronica insufficienza di elettricità viene in parte compensata con la produzioni delle centrali termiche e nucleari  ( saranno presto 30 nel paese) e una forte produzione di fotovoltaico. L’ aspettativa di vita alla nascita, sottolineiamo in discesa costante dal 2011è in media (2021) di 67,2 anni, 65,7  per gli uomini e 68,8 per le donne, la fecondità è di 2,2 (2020),  la mortalità infantile è del 27 per mille (2020), la mortalità materna è di 133 su 100.000 nascite, le nascite da madri adolescenti sono di 17,3 su 1000 nascite (2021). La scolarità attesa è in media di 11,94 anni, D 11,9  U 11,81, quella effettiva è in media di 6,7 anni, D 6,25 U 7,22. La popolazione urbana  in India è minoritaria (34,9% nel 2020) anche se il paese conosce un fenomeno di progressivo inurbanamento. La lingua principale è l’hindu parlata da oltre il 40% della popolazione ma l’India riconosce ufficialmente 22 lingue diverse. Il paese fornisce appropriati  indici di genere, sia nella forma di Gender Development Index (GDI), 0,849, (2021) in miglioramento costante dal 1990, sia nella forma di GII (Gender Inequality Index) (0,490), anch’esso in miglioramento costante dal 1990. Si possiedono sul paese altri dati indicativi della situazione. La povertà multidimensionale MPI tocca ancora il 14,96 % della popolazione ( 2019-2021) cioè 208 milioni di persone anche se risulta in riduzione costante, mentre 800 milioni di indiani vivono di razioni alimentari. Il tasso di analfabetismo è del 25,6 % (2018). La spesa pubblica per l’istruzione è stata del 4,5% PIL nel 2020; quella per la sanità dell’ 1% % PIL nel 2019; il numero di medici di 0,9 ogni 1000 ab. (2019), l’accesso della popolazione all’acqua potabile è del 90,5% (2020), la percentuale pop. attiva, M 70,1 % F 19,2 % ( 2021); l’indice di Corruzione Percepita (PCI) per il 2022 è di 40, il che pone l’India all’85°  posto su 180 paesi censiti, secondo le statistiche elaborate da Transparency International (2022). La disponibilità calorie ab/g.: 2.594 (2019-21); il consumo energia el. /hab.: 987 KWh (2019); i telefoni cellulari 836 ogni 1000 ab.: (2020); gli utenti Internet: 430 ogni 1000 ab.(2020); i casi di malaria registrati nel 2020: 186.532. Il consumo di CO2 / ab. è di 1,77 t. (2021). Quanto ai dati ecomico-finanziari risalgono al 2020. Inflazione: 5,5 % (2021); Disoccupazione 6% D 15,4% ( 2021) Bilancio dello Stato: Entrate 16.016.500 mil. Rupie Uscite 34.503.050 mil. Rupie (1 USD = 83,04), ca.  415, 50 Miliardi USD; deficit  53,5% ; in % del PIL: 7%  Debito estero: 564,18 mliardi USD (2020); Aiuti dall’estero: 1,794 miliardi  USD (2020)  (0,1 % PIL) (2020).

Bibliografia consigliata

  • Daniela BERLOFFA, Il nazionalismo indu durante il governo guidato dal BJP dal 1998 al 2004, Università di Genova, 2014
  • Stanley WOLPERT, Storia dell’India: dalle origini della cultura dell’Indo alla globalizzazione, Bompiani, Milano, 2022
  • Rivista Asia Maior, diversi numeri

CdA

*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.

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