Un traguardo meritatissimo, ma forse scontato per chi in questa città è nato e la conosce bene, soprattutto dal punto di vista culturale
Genova diventa la Capitale italiana del Libro 2023. A proclamarla il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano in riconoscimento della “ampiezza e organicità della proposta culturale della città”. Meravigliarsi di questa nomina? È difficile se si pensa alle tante iniziative della città, dal Festival della Scienza al Festival della Storia al Festival della più importante rivista italiana di geopolitica, Limes, che si svolge ogni anno a Palazzo Ducale con un successo incredibile di pubblico. Ma forse al di là di ciò si è forse premiato il rapporto dei suoi cittadini con il senso raccolto delle conoscenze espresso nel Libro. Forse nelle viuzze strette, nei caruggi che a fatica si aprono una via fra gli alti palazzi del monumentale centro storico, negli angoli chiusi fra chiese barocche e bastimenti, nel loro modo piuttosto riservato di presentarsi al mondo, un po’ compreso fra un senso di timidezza individuale e un altro di orgoglio collettivo, si è fatta storia una naturale tendenza nei genovesi all’approfondimento delle cose, alla riflessione meditata. Alla ricerca di un senso nei libri o negli spartiti come hanno fatto anche i cantautori della scuola genovese, che sono stati tanti. Come certamente ha fatto prima di loro il pensoso Giuseppe Mazzini, ma anche nel passato hanno fatto i Paganini, i Sivori, i Mameli, i Bixio. E poi c’è anche – e bene ha fatto il Ministero a ricordarla – la straordinaria ricchezza museale della città. Pittorica ma anche storica con gli Archivi della città che sono per gli studiosi una miniera preziosa di nozioni sull’Italia medioevale. Quella che affascinava studiosi stranieri come il francese Jacques Heers venuto a Genova e mai idealmente ripartito dalla sua Genova del ‘400. Come, del resto, leggevano tanto anche i capitani di mare che portavano le loro pesanti galeazze cariche di spezie orientali oltre le colonne d’Ercole sino a Bruges e a Dursteede per fare il viaggio di ritorno carichi di broccati delle Fiandre. Con gli occhi fissi sui libri di navigazione di allora: i portolani di origine araba, ma da allora divenuti genovesi. Diceva Camillo Sbarbaro, il grande poeta ligure (la cui collezione di licheni iniziata nelle trincee durante la prima Guerra Mondiale fa bella mostra di sé nel Museo di Storia Naturale della città) che “Tante parole le evito, malsicuro del loro significato…una parola non assimilata in tanti anni, non divenuta carne e sangue, mi saprebbe d’accatto“. In questa frase sta forse il senso del rapporto essenziale che la città esprime nella ricerca di un approfondimento del senso delle cose. Pesando le parole e appoggiandosi ai libri.
Carlo degli Abbati