Analisi storico-economico demografica del Paese andino considerato uno degli Stati con maggiore varietà ambientale di tutto il continente. Il rapporto con gli USA e i fenomeni Chavez e Maduro
Ha la forma di “una pelle di bue stesa al sole dei tropici” con la costa nord a formare un fronte di mare esteso per 2.800 km fra la frontiera colombiana e la Guyana. Divenuto ufficialmente Repubblica Bolivariana di Venezuela nel 1821, il Paese andino, dotato di una splendida costa caraibica e di una atlantica e formato da quattro macroregioni geografiche estremamente differenti, costituisce in estensione il settimo paese di America Latina e può essere considerato uno degli Stati con maggiore varietà ambientale di tutto il continente.
Con una superficie di quasi tre volte l’Italia (916.445 km2), ha una popolazione poco superiore ai 28 milioni di ab. Secondo le statistiche socioeconomiche elaborate dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) occupa il 120° posto su 191 paese censiti e si colloca nella categoria dei paesi a Medio Sviluppo Umano (MHD). Ma l’analisi storica dei dati dimostra un andamento estremamente contrastato.
Secondo sempre le statistiche del PNUD, solo quindici anni fa, nel 2006, si stabiliva invece al 61° posto delle classifiche mondiali HDI con un indice complessivo di 0,826 contro lo 0,691 attuale (2022) e al 62° posto per reddito pro-capite espresso in USD PPA con 11.115. Oggi nelle classifiche del PNUD il Venezuela è preceduto dalla Bolivia e dagli Stati di Asia centrale e il suo PIL pro-capite è sceso a meno della metà, 4.810 USD PPA, che in effettivo scendono a 1.686 USD.
Eppure il Venezuela, dove si collocava il mitico El Dorado, con Cibola e le sette città d’oro, per la ricerca del quale, immaginato intorno alla laguna di Maracaibo, si dovevano rovinare con una serie di tragiche spedizioni i banchieri tedeschi di Carlo V, i Welser, è un paese ricco in risorse naturali, in particolare petrolio e gas, scoperti assieme al ferro del Cerro Bolivar nel 1914, che costituiscono il 30% del PIL ed alimentano l’80% delle esportazioni innanzi tutto verso gli Stati Uniti. Numerosi i bacini di estrazione a Maracaibo, Barinas, Anzoategui, Monagas, Pedernales, Falcon e Guarico per il petrolio e a Amana, Maraven, Lechoso, Placer per il gas. E allora va chiarito questo mistero, quest’andamento contrastato, a forbice, del Paese, che sembra a prima vista incomprensibile. Cerchiamo con molta pazienza, ma anche con un minimo di onestà intellettuale, spesso dimenticata nella trattazione delle vicende, di sciogliere questo enigma, senza fare la fine di Diego de Ordaz che lui, lungo il fiume Orinoco, l’oro cercato non l’ha mai trovato.
Possiamo allora subito constatare che il Venezuela presenta tutta una serie di debolezze strutturali.
Innanzitutto la scarsa diversificazione delle esportazioni fa dipendere la sua economia come paese rentier dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali dei prodotti petroliferi con immediati riflessi sul bilancio nazionale. Dopo la scoperta dei giacimenti minerari prima della Prima Guerra mondiale, i llanos, le zone agricole dell’interno, vennero lasciate incolte, mentre sulla costa cominciava la produzione di cotone, cacao e caffè.
Inoltre, la distribuzione della ricchezza prodotta e in particolare della rendita petrolifera è stata sempre nel paese fortemente diseguale, andando innanzi tutto a favore della classe dominante tradizionale di origine europea e a scapito, invece, del resto di una popolazione in cui meticci e neri rappresentano la stragrande maggioranza, con il 74 % del totale. Del resto, la rendita petrolifera ha sempre condizionato il Paese in vari modi. Caudillos e presidenti che si sono succeduti dopo la scoperta dei giacimenti, dal famoso caudillo andino Juan Vicente Gomez che venuto da Tachira governò per trentasei anni, fra il 1899 e il 1935, al llanero José Antonio Paez, a Romulo Gallego, a Marcos Perez Jimenez sino a Romulo Betancour non seppero mai modificare questa situazione di squilibrio interno.
E’ Eduardo Galeano a descriverla magistralmente: ”le riserve di petrolio, gas e ferro che il sottosuolo offre potrebbero moltiplicare per dieci la ricchezza di ciascun venezuelano…ma la maggioranza della popolazione, che si contende le briciole cadute a una minoranza fastosa, non mangia meglio di quando il paese dipendeva dal cacao e dal caffè”. Oggi Caracas offre uno straordinario contrasto fra i quartieri residenziali lussuosi di Florida, Castellana, Miraflores e i pendii della montagna dell’Avila popolati di ranchitos, i tuguri versione venezuelana delle favelas brasiliane.
Un terzo fattore è la endemica corruzione che secondo “Trasparency International” spinge questo Stato addirittura al quart’ultimo posto mondiale (su 180 paesi) nelle classifiche mondiali, davanti solo a Sud Sudan, Siria e Somalia. Figurando all’ultimo posto in America Latina. La percezione dello stridente contrasto fra ricchezza di risorse e povertà della maggior parte degli abitanti, ha alimentato di recente, dall’inizio di questo secolo, la visione politica del Presidente Hugo Chavez Frias di cui si conoscono più gli aspetti esteriori, spesso alimentati da diatribe mediatiche anti-USA, che i contenuti reali.
Il riferimento ideologico di questo militare che assume il potere il 2 febbraio 1999 sono Norberto Ceresole, il sociologo peronista argentino e i contenuti del pensiero nazional-populistico sudamericano degli Anni ’20. L’idea di base del “Chavismo Bolivariano” è che “in una situazione in cui l’emancipazione delle classi sociali non è possibile attraverso la semplice espressione del voto come avviene nelle normali democrazie, il governo non può più mantenersi neutrale, ma ha il dovere di schierarsi decisamente a favore delle masse dei più diseredati”.
L’ideologia di Chavez, che alcuni considerano addirittura l’espressione di un nuovo socialismo del XXI Secolo americano, si è coerentemente espressa attraverso il supporto costante alle classi più deboli e il recupero pubblico di settori fondamentali dell’economia venezuelana, sino ad allora retaggio esclusivo di multinazionali spesso straniere.
Dal richiamo di medici cubani per migliorare l’assistenza sanitaria dei meno abbienti nel 2000 alla definizione successiva di una serie di programmi sociali denominati con il termine evocatore di “Misiones”, finanziati principalmente con gli introiti petroliferi, e destinati alle comunità e agli strati più poveri, Chavez ha perseguito una azione sistematica intesa a risollevare le condizioni della parte meno ”pudiente” della popolazione, puntando su di un logica di sviluppo autocentrato, definito come “modelo popular socialista endogeno”. Modello che ricorda da vicino quello che in Paraguay José Gaspar Rodriguez de Francia aveva introdotto per favorire fra il 1814 e il 1840 la fioritura delle industrie nascenti, con l’aiuto della protezione doganale nello stesso periodo in cui nel Napoletano Federico II procedeva allo stesso tentativo. Se quest’ultimo tentativo sarà stroncato dalla unione doganale italiana voluta da Cavour e strutturata sull’estensione generale dei bassissimi dazi piemontesi, con conseguenze economiche tragiche per l’Italia che si sono trascinate fino ad oggi, il tentativo paraguayano sarà stroncato nel sangue dagli interessi britannici che armarono la mano agli eserciti di Brasile, Argentina e Uruguay dopo l’eccellente lavoro preparatorio alla guerra interamericana (1864-1870) svolto dal consigliere diplomatico in Argentina, l’inglese Edward Thornton.
Tornando al Venezuela, l’ efficacia di questa politica redistributiva che si afferma per la prima volta nella storia del Paese è dimostrata dai valori assunti dall’Indice di Gini, che nel 2006 ha raggiunto valori al di sotto di 0,5 (0,448), secondo i dati accertati dalla Banca Mondiale,indice che lo rende migliore p.e. di quello del Costarica, 0,493, cioè del Paese centroamericano che possiede la miglior posizione in termini di Sviluppo Umano non solo nella subregione di America Centrale, ma anche dell’intero continente, ma anche del Brasile che segna un indice ben superiore di 0,489 nel 2020. Naturalmente questa politica non poteva realizzarsi senza condurre a grandi opposizioni della parte “pudiente” conservatrice del Venezuela che, con il sostegno e la “comprensione” statunitense, ha tentato la via del colpo di stato contro Chavez già nel 2002. Del resto, la politica regionale del presidente Chavez si era rivolta all’obiettivo di sottrarre i Paesi del continente più poveri ed indebitati, traendone i mezzi dalla rendita petrolifera, al ricatto finanziario del Fondo Monetario Internazionale, ed alle politiche ultra-liberali imposte come condizioni dei prestiti FMI. Questi avevano sistematicamente effetto, con il contenuto delle Conditionalities’ Matrix allegate ai contratti di prestito, di deprimere le condizioni economiche degli strati meno abbienti delle popolazioni degli Stati debitori, durante le fasi dell’aggiustamento delle economie imposte per la concessione dei prestiti. Prestiti del resto del FMI stilati in dollari – e mai in moneta locale- a tassi di interesse che scontando il “rischio paese” risultavano vicini a livelli di usura. Implicando poi il rimborso in dollari nel periodo breve di tre anni.
Questo era sufficiente per rendere Ugo Chavez agli occhi di Washington un oppositore sistemico.
Ma il colpo di stato del 2002 venne mancato per la popolarità del presidente e per il consiglio da lui ricevuto da Fidel Castro di rifiutare le dimissioni una volta prigioniero degli insorti, cosa che aveva permesso, dopo la sorpresa iniziale, alle masse popolari dei sostenitori di organizzare la sua liberazione.
Dopo questo tentativo, nell’agosto 2004 un referendum revocatorio della presidenza si è concluso con il 59% di voti contrari e Chavez ha potuto mantenersi al potere. Le elezioni del 3 dicembre 2006 lo hanno poi confermato alla presidenza per un secondo mandato di sei anni.
Comunque la debolezza strutturale del chavismo risiedeva nel fatto che, non potendo contare sull’appoggio degli alti esponenti della borghesia locale che lo aborrivano, il presidente Chavez era costretto a cercare l’appoggio della casta da cui proveniva, quella militare. Ora in Venezuela, a differenza di paesi come p.e. la Turchia, i rappresentanti dell’esercito non risultano migliori degli esponenti civili, in materia di corruzione, mentre rappresentano spesso anche nei rapporti con la cooperazione internazionale l’espressione di un vieto nazionalismo. Le sfide strutturali cui è confrontato il Paese riguardano, oltre alla necessaria diversificazione delle esportazioni, troppo poggiate sull’export petrolifero, anche la modernizzazione della pubblica amministrazione, che deve essere resa più efficiente e responsabile, oltreché meno corruttibile, attraverso un processo di decentralizzazione e la più grande partecipazione dei cittadini e della società civile.
Se ci riferiamo poi alle statistiche relativamente recenti (2018-2019) di Competitività globale elaborate dal World Economic Forum, constatiamo in effetti come, rovesciandosi i buoni risultati raggiunti in materia di perequazione interna nella distribuzione della ricchezza prodotta, il Venezuela si ritrova ad un 131° posto su 140 paesi censiti che lo fa il sistema meno competitivo di tutta l’America Latina. Era il miglioramento di questa situazione il compito principale che attendeva sino alla morte, quasi improvvisa, intervenuta nel 2013, a soli 58 anni, il presidente Chavez. Comunque, durante il suo periodo di potere, si poteva ritenere che solo un crollo prolungato del corso internazionale dei prodotti petroliferi sarebbe stato tale da pregiudicare il finanziamento delle riforme sociali e, quindi, intaccare la sua forza politica.
Invece, dopo la morte di Hugo Chavez, una lunga serie di fattori interni ed internazionali hanno contribuito a compromettere la situazione del Venezuela.
Innanzitutto il Dramatis personae. Chavez non aveva immaginato un percorso tanto breve della sua vita e quando muore non ha designato un delfino. Il successore di Chavez, Nicolás Maduro Moros, che al momento della morte di Chavez occupava la posizione di vicepresidente, è ben lontano dal possedere il carisma del leader defunto. Nelle elezioni del 14 marzo 2013 dopo una fase di presidenza ad interim, Maduro è eletto presidente con uno stretto vantaggio -50,6% dei voti su Henrique Capriles, in elezioni su cui pesano le accuse di broglio da parte del candidato sconfitto.
In secondo luogo, la presidenza Maduro si trova subito confrontata alla caduta brutale dei prezzi internazionali del petrolio che mettono in discussione il mantenimento delle politiche sociali bolivariane e nel 2016 alla più grave siccità conosciuta dal Paese da 40 anni, fattori che provocano la caduta del valore della moneta locale, il bolivar, ed una forte inflazione interna nel paese.
Sul piano internazionale gli Stati Uniti che individuano nel governo bolivariano il principale ostacolo al loro controllo sull’America Latina (dottrina Monroe) iniziano contro il Venezuela una politica di incremento delle sanzioni che solo di recente, dopo la guerra di Ucraina, ha formato oggetto di un ripensamento basato sul riequilibrio energetico mondiale.
Sul piano interno, mentre la inflazione raggiunge nel 2018 il 7300%, Maduro cerca di imporre un insieme di misure, dal controllo di prezzi alla tassazione delle transizioni in dollari, misure che finiscono per provocare una scissione all’interno del polo socialista maggioritario con la creazione della nuova formazione di Alternativa democratica. Nel frattempo, l’opposizione conservatrice rappresentante quegli strati della popolazione che più sono stati danneggiati con l’esproprio delle terre o in altri modi dalla ideologia “socialista “ di Chavez, trovano un rappresentante nel leader del partito Volontà popolare, deputato della Guaira, che con l’evidente appoggio degli Stati uniti si proclama presidente il 23 gennaio 2019 a nome dell’opposizione parlamentare: Juan Guaidò. Guaidò può contare a suo favore su molti fattori: oltre all’aperto sostegno degli Stati Uniti, vi è la gravità di una crisi politica che si somma alla crisi economica e finisce per produrre un esodo tragico di massa dei venezuelani verso il confine colombiano. Ma ancora una volta, come nel 2002 contro Chavez, il sovvertimento del Paese non riesce.
Progressivamente l’opposizione guidata da Guaidó perde influenza, mentre nel paese il pur discusso governo di Nicolas Maduro progressivamente si rinforza. Ne è causa anche una congiuntura diventata complessivamente più favorevole. I prezzi internazionali del gas e del petrolio entrano in una fase di forte ascesa, alimentando maggiormente le entrate statali, ma anche il quadro geopolitico sta mutando rapidamente. Con la guerra di Ucraina, gli Stati Uniti risultano pronti ad offrire a prezzi -per loro vantaggiosi- lo shale gas all’Europa che, non potendo più contare anche logisticamente sul previsto gasdotto Nord Stream 2, oggi danneggiato (indovinare da chi), è obbligata a rinunziare in futuro al gas russo a basso costo. Ma questo implica per gli Stati Uniti di alimentare le loro riserve strategiche incrementando gli approvvigionamenti di uno dei loro principali fornitori, appunto il Venezuela. Le relazioni di Maduro con Joe Biden improvvisamente migliorano. Del resto, anche i paesi europei desiderosi di alleggerire la dipendenza energetica dalla Russia si rivolgono al Venezuela. Le nuove condizioni economiche e geopolitiche internazionali confortano in maniera quasi insperata il governo Maduro. Nella regione di Canaima una delle cose più belle da vedere in Venezuela è la cascata del Santo Angel, la cascata più alta della terra con i suoi 979 metri di dislivello.
Dopo il primo salto, un grosso costone obliquo interrompe la traiettoria delle acque spezzando il flusso in due spettacolari cascate sovrapposte. Prima della guerra in Ucraina, si poteva immaginare che il Venezuela annaspasse su questo grosso costone cercando di non cadere nel vuoto della seconda cascata. Ora in un rivolgimento della pellicola, il paese sembra risalire faticosamente verso il bordo della falesia. Percorso stocastico delle vicende umane.
Il Venezuela- 28,2 milioni di ab. su 916.445 km2- ricco di risorse minerali, – aveva conosciuto dal 1990 un aumento progressivo del suo Indice di Sviluppo umano (HDI) , raggiungendo il valore di 0,774 nel 2013, ma risulta da allora con valori in decrescita costante. Secondo i dati riferiti dal PNUD al 2021 il paese è 120° dei 191 paesi censiti, nella categoria dei paesi a Medio Sviluppo Umano (MDI) con un HDI di 0,691. Presenta un PIL di 96,115 Miliardi di USD e un PIL pro-capite annuo di 4.810,88 che corrisponde in effettivo a 1686 USD. La popolazione è costituita per l’8% da allevatori e agricoltori, il settore industriale occupa il 17% degli attivi, il resto è impegnato nei servizi. La aspettativa di vita alla nascita è in media di 70,55 anni, 66,5 anni per gli uomini e 75,20 per le donne, la fecondità è di 2,2 e la mortalità infantile è del 21,1 per mille. Il debito estero del paese superava nel 2020 i 189 Miliardi USD
Bibliografia consigliata
-E.Galeano, Le vene aperte dell’America latina, ed. Sur, Roma, 2021
-M.Stefanini (ed.), Adios Venezuela, Paesi, Roma, 2019
-M. Barragan Zambrano, El tolete de la llorona, Amazon Fulfillement, Wroclaw, 2023
– V, Von Hagen, L’Eldorado. Alla ricerca dell’uomo d’oro, BUR; Milano, 1993
-LIMES, Venezuela. La notte dell’alba, Rivista Limes, Roma, 2019
Carlo degli Abbati
Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.