L’aumento dei prezzi dei generi alimentari, conseguente al conflitto bellico, preoccupa non poco i Paesi dell’Unione europea

In un mese di guerra, nel resto del mondo e d’Europa, in particolare in Italia e nei Paesi esportatori di materie prime dall’Ucraina, sono cresciuti soprattutto il prezzo del grano (+19,7%), degli oli vegetali (+23,2%), della carne (+4,8%), che ha raggiunto il suo massimo storico, e dei prodotti lattiero-caseari (+2,6%). Più nel dettaglio, in Lussemburgo, tra febbraio e marzo, è aumentato il costo della carne (+2,1%), della pasta (+4,5%), dei formaggi (+1,3%) e del pesce fresco (+3,6%), mentre gli agricoltori devono fare i conti con i prezzi dei fertilizzanti, schizzati alle stelle (+65% rispetto al 2020). In Francia è già scattato l’allarme da parte di consumatori che hanno difficoltà a riempire il carrello della spesa (fonte Euronews).

Il settore agricolo lussemburghese, già danneggiato dalla crisi sanitaria, si trova oggi in una situazione precaria, che impatta sulla produzione e di conseguenza sui prezzi di vendita dei prodotti. Per contrastare la crisi alimentare che minaccia l’Europa, la Commissione Ue ha pubblicato il 23 marzo 2022 il documento: “Salvaguardia della sicurezza alimentare e il potenziamento della resilienza dei sistemi alimentari”. Secondo i leader politici occorre anzitutto garantire un supporto concreto all’economia ucraina, così come nei Paesi vulnerabili, per soddisfare i bisogni urgenti degli agricoltori e garantendo la sicurezza alimentare delle popolazioni. Al contempo, i Paesi membri devono attivare politiche socio-economiche mirate per contenere gli aumenti dei prezzi alimentari e gli effetti sulle fasce di popolazione meno agiate (oltre che, a livello internazionale, sugli Stati più poveri) implementando strategie difensive coordinate contro le restrizioni all’esportazione di prodotti alimentari.

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Infine, ogni Stato dovrebbe puntare a un’economia e a un’agricoltura più sostenibile e, sul lungo periodo, resiliente. Tuttavia, su questo punto l’Ue ha stabilito, in contraddizione, una deroga ancora per quest’anno all’uso degli agrofarmaci per le aree ecologiche (EFA) previste dal greening (rispetto della diversificazione delle colture, mantenimento dei prati permanenti e presenza di aree di interesse ecologico). Secondo l’associazione internazionale Slow Food, concedendo la coltivazione normale anche in queste aree, si incentivano di fatto solo gli interessi delle multinazionali delle sementi. Senza una reale conversione “verde” dei sistemi di coltivazione, una possibile crisi alimentare potrebbe prolungarsi anche in futuro, riducendo la qualità, e in seguito la quantità, del cibo che mettiamo sulle nostre tavole. La vera differenza possono farla i consumatori: scegliendo, ad esempio, di acquistare e mangiare prodotti a km zero, incentivano un sistema produttivo che rispetti la ciclicità della natura e delle stagioni oltre che le peculiarità proprie di ogni ecosistema. Come ha sostenuto Carlo Petrini, fondatore di Slow food, in occasione della Giornata Mondiale contro lo spreco alimentare, dichiarando che “mangiare è un atto politico” decisivo per il futuro della nostra società.

Veronica Rossetti

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