Il mercato del libro torna a crescere e, con esso, i lettori. Ne parliamo con Aldo Putignano, presidente dell’Associazione Campana Editori
Se prima dell’era COVID il libro e le piccole case editrici vivevano un periodo di crisi, dall’ultimo rapporto stilato a margine dell’annuale Salone del Libro di Torino, intitolato La lunga estate dell’editoria italiana si evince che il mercato europeo del libro cresce e crescono anche i lettori in Italia: a ottobre la percentuale di cittadini (15-74 anni) che dichiara di aver letto un libro (compresi eBook e audiolibri) negli ultimi dodici mesi si attesta al 61%, contro il 58% del 2019 e il 55% del 2018. Lo rileva anche l’indagine La lettura e i consumi culturali nell’anno dell’emergenza, a cura del Centro per il libro e la lettura (Cepell), del MIBACT e dell’Associazione Italiana Editori (AIE).
Ne parliamo con Aldo Putignano, autore ed editore di prospettiva che con le sue attività ha dato spazio a molti giovani. Aldo, napoletano classe 1971, scrittore e docente di scrittura, è il coordinatore di Homo Scrivens, la prima compagnia italiana di scrittura nonché l’autore di una sorprendente, mozzafiato biografia di Egon Schiele. Di recente Putignano è stato eletto presidente dell’Associazione Campana Editori e a lui abbiamo rivolto qualche domanda.
I dati ci dicono che il mercato del libro in Italia e in Europa cresce, cosa significa oggi essere un editore indipendente?
Credo che la pandemia, con anche le conseguenze dirette e indirette che ha portato in altre forme di distrazione di massa (penso ad esempio all’impossibilità di frequentare cinema e teatri, ma anche all’interruzione delle manifestazioni sportive e alla disgregazione dei palinsesti televisivi), abbia restituito al libro un spazio di attenzione che mancava da tanto tempo. Si acquista anche per moda, o per curiosità indotte, ma si legge solo quello che veramente interessa o ti prende, e anche per questo motivo le proposte di tante case editrici minori, ma meno stereotipate nella scelta, hanno avuto occasione di aprire un nuovo dialogo con i lettori.
Indipendente non vuol dire individualista: facciamo parte anche noi di una comunità e le logiche del mercato ci riguardano, anche se abbiamo poco peso nel determinarle. Però il nostro rapporto più forte è con i nostri lettori, ed è spesso un rapporto diretto, un bizzarro dialogo fra amici che non si conoscono ma condividono le stesse passioni. Altre differenze ci sono, ma riguardano per lo più la forza economica e promozionale: cose minori, dunque.
Quanto contano nel tuo lavoro i criteri letterari e quanto gli orientamenti del mercato?
Contraltare dell’essere indipendenti è la libertà creativa. Siamo padroni di fare le scelte che vogliamo, con attenzione alle tirature, magari, per evitare conseguenze troppo onerose, ma con la possibilità di muoverci in gran serenità e autonomia. Ovviamente, per essere davvero liberi occorre coraggio, oltre che spirito di sacrificio, perché il lavoro e la competenza sono gli unici strumenti che abbiamo per attenuare le distanze. Per questo per noi il lavoro sul testo è tutto, il nostro biglietto da visita e il nostro motivo d’essere: “fare un buon libro” è necessario. Non possiamo fare a gara con i grandi gruppi, ma possiamo rispondere con testi di valore e molto curati: è l’unica sfida che possiamo vincere, ed è anche l’unica che veramente ci interessa.
Ogni anno in Italia vengono pubblicati oltre 50mila testi. Troppi scrittori e pochi lettori? Quanto è vera quest’affermazione?
Troppi scrittori. Sono cifre falsate da un fenomeno, l’editoria a pagamento, che danneggia innanzi tutto i lettori cui non viene certo comunicato che un tal libro è stato pubblicato solo per denaro e che nessuno ci ha creduto veramente, a volte neppure il suo autore, che ha scelto la cosa più facile. Bisognerebbe separare i dati, altrimenti non ha senso, sono attività imprenditoriali diverse: l’editoria cerca scrittori, le tipografie con servizi editoriali (non riesco a chiamarli editori, non lo sono) cercano clienti. Pochi lettori? Forse. I grandi gruppi editoriali dominano il mercato, ma non orientano il gusto dei lettori, non riescono a stimolare nuovi interessi, inseguono mode che non comprendono: hanno molte responsabilità a riguardo. Ma anche noi, piccoli e medi editori, se non riusciamo ad avvicinare al libro chi ci segue, chi ci concede un like o uno sguardo fuggitivo.
Sei da poco diventato presidente dell’Associazione Campana Editori. Quali sono i tuoi obiettivi?
Uscire di minorità. C’è un pregiudizio diffuso sull’editoria meridionale, e va superato. Per farlo occorre una rete di editori che, attraverso il dialogo, riesca a svolgere un ruolo sovraregionale. I grandi gruppi si sono organizzati, come possiamo non farlo noi? E intanto abbiamo e stiamo organizzando fiere e rassegne, incontri virtuali, e stand comuni in grandi eventi fieristici: le intenzioni non bastano, ma le premesse ci sono e soprattutto ci sono in Campania tanti editori che stanno facendo un lavoro di qualità, senza di cui tutto questo non avrebbe senso.
Dopo quasi due anni e mezzo la comunità del Salone di Torino è tornata a casa, al Lingotto, come è andata?
Meravigliosamente. Abbiamo incontrato tantissime persone, venduto tantissimi libri e siamo tornati a respirare, a provare quella gioia che ha sempre contraddistinto queste manifestazioni. È stata una boccata d’aria fresca, e con un programma eventi ampio e intelligente, che ci ha dato nuovi stimoli creativi.
Ti andrebbe di raccontarci un aneddoto divertente legato alla tua “vita da editor”?
Ce ne sarebbero tanti, soprattutto in relazione ai rapporti con gli autori, croce e delizia di ogni editore indipendente. Ti racconto l’ultima: chiama in casa editrice un tale, risponde Paquito Catanzaro, il nostro ufficio stampa. Costui gli dice di essere un amico del direttore e di voler parlare di un suo dattiloscritto. Io non ci sono, Paquito lo invita pertanto a richiamare, quando quest’ultimo gli chiede: «Allora ditemi una cosa: come si chiama il direttore?» Bell’amico, no?
Qualche anticipazione sulle prossime pubblicazioni da te curate ?
Stiamo lanciando una nuova collana, Edgar, dedicata ai libri introvabili e ai classici della letteratura popolare. Inizieremo con il primo romanzo italiano, se non al mondo, su Giuseppe Petrosino, un testo del 1912 che non si trova neppure nelle biblioteche. Petrosino, il poliziotto italoamericano ucciso dalla Mafia, è diventato negli anni un simbolo della lotta alla criminalità organizzata: per il suo ardimento e le sue imprese al confine del romanzesco fu trasformato in un eroe popolare, lo Sherlock Holmes italiano come titolava una serie a fascicoli a lui dedicata.
Concludendo, hai qualche consiglio da dare agli scrittori agli esordi?
Leggere, leggere molto: è l’unica cosa che serve davvero. E per me anche la più bella.
Aldo Putignano, Napoli 1971, scrittore, docente di scrittura (con il laboratorio La Bottega della Scrittura, in presenza e on line) e organizzatore di eventi culturali, è coordinatore di Homo Scrivens e dal 2012 editore dell’omonima casa editrice. Fra i suoi libri i romanzi Social Zoo (premio speciale Carver) e Vita di Schiele (premi Megaris e Ortese). Dal 2021 è Presidente dell’Associazione Campana Editori.
Intervista a cura di Paolo De Martino