Nel ‘400 esisteva in Europa una regione formata da staterelli affascinanti per sviluppo delle arti e delle scienze, dovuto al retaggio culturale lasciato dai lunghi secoli della Romanità. Ma anche troppo piccoli, militarmente troppo deboli per opporsi ai forti stati dell’epoca, e quindi destinati a costituire oggetto di continui condizionamenti ed invasioni da parte degli stati-nazione preminenti nei diversi periodi.
Sempre di più la storia dell’Italia assomiglia alla storia presente dell’Europa. Smarrito progressivamente il riferimento all’economia sociale di mercato che ispirava i grandi leader cristiano-sociali, i padri fondatori che parlavano tedesco, italiano, francese e lussemburghese e che ne avevano concepito le fondamenta. Sposato da parte anche delle istituzioni europee il c.d. neoliberismo (leggi ultraliberismo) anglossassone a partire dagli anni ‘80 figlio della Reaganomics. Una Reaganomics originata in principio dalla enorme lobby costituita dalle multinazionali americane stanche di scontare la progressivita del sistema fiscale impositivo nazionale sulle società di capitali e veicolata in Europa da un thachterismo animato dalla comune volontà di distruggere la presenza dello Stato nelle scelte economiche. The State is not the solution: it is the problem. E anyhow T.I.N.A., there is no alternative. Teorie che incontravano temporalmente una Europa geopoliticamente squilibrata dalla improvvisa acquisita preponderanza economica e geopolitica di uno Stato membro alle prese con una difficile riunificazione interna.
In un percorso ulteriormente complicato dalla accelerazione, imposta anche dai consueti attori esterni, di un allargamento eccessivamente ampio e rapido a Paesi economicamente molto più deboli e dalla politica condizionata dalla lunga appartenenza all’economia dirigista di tipo sovietico e ad una lunga sudditanza secolare a imperi allogeni.
Su queste premesse la emersione di una nuova Europa ben diversa dai paradigmi precedenti, in assenza di un qualunque tentativo di definire una politica industriale comune, impostata soprattutto sulla concorrenza interna senza limiti. Una concorrenza spesso assistita da tollerate pratiche di dumping economico e sociale fra gli stati membri e sempre meno condizionata da ammortizzaztori economici e sociali comunitari che consentissero un efficiente sostegno delle regioni più deboli, soccombenti nella ormai sfrenata concorrenza interna fra i sistemi, e quindi divenuti debitrici.
L’emergere di nuovo motto europeo indegno di Robert Schuman: “Vinca il imigliore (e sia peggio per gli altri)”. Ed ecco la nuova Europa dopo l’introduzione della moneta unica affrontare le crisi successive instaurando un interminabile palleggio tennistico fra due diseguali squadre in campo.
Alla sinistra della rete la squadra formata dalla Banca Centrale Europea, relativamente svincolata dalle rigidità dei trattati perché operante sui mercati, la Commissione, il Parlamento Europeo, la BEI. Alla destra della rete una squadra formata da 27 (prima 28) Stati membri scesi in campo secondo lo schema di gioco dell’egoismo nazionalistico che si riteneva una tattica ormai superata, come le racchette di legno, nelle fasi precedenti.
Di fronte alla crisi dell’Euro, alla crisi mondiale del 2007/208, alla crisi migratoria, e ora alla crisi drammatica e letale imposta dalla diffusione del coronavirus, assistiamo al ripetersi della stessa partita sempre riproposta, al déjà vu degli schieramenti. Diamogli anche dei colori. A destra della rete c’è la squadra azzurra con dodici stelle gialle: a rete la BCE che gioca con un grosso racchettone, sulla linea di fondo si distinguono, con racchette più piccole, la Commissione , il Parlamento, la BEI.
Nel campo opposto – squadra dai colori bianco-neri senza ombra di rosso– ventisette giocatori dalle racchette di disuguale grandezza. Fra i giocatori fra cui spiccano a rete i grandi racchettoni dei due campioni internazionali del surplus di bilancio mantenuto costantemente al di là dei limiti chiaramente previsti dai trattati.
La squadra bianco-nera è stata negli spogliatoio strigliata a dovere dal coach. Tattica semplice e diretta : “Ragazzi, chi ha fatto i soldi se li tiene, se la squadra avversaria non ce li ha è colpa loro. Andiamo andiamo !!” La Gazzetta dello Sport illustra che questa tecnica, apparentemente introdotta dalla Svizzera, si chiama Ordoliberismo.
La partita inizia, anche se manca l’arbitro di sedia. Le regole sono che vale un solo scambio: chi rilancia il colpo ha vinto la partita. Il sorteggio ha offerto alla BCE la battuta. La BCE è al servizio, lancia la prima palla. Si tratta di una richiesta di solidarietà europea costituita da emissioni di Eurobonds o Coronavirus intese a permettere oggi agli Stati maggiormente colpiti ma in seguito a tutti gli altri – checché se ne pensi in certi Paesi con il corona i confini non servono – di affrontare le conseguenze sanitarie ed economiche della terribile pandemia attuale. Piazzati a rete, i due antagonisti dotati delle racchette più grandi rinviano vittoriosamente la palla nel campo opposto, mentre nove compagni di squadra hanno abbassato le racchette e altri sedici agitano minacciosamente delle racchettine talmente minuscole da sembrare invisibili.
Comunque fra dritti e rovesci la squadra bianco-nera è riuscita a ributtare la palla nel campo opposto e la partita è finita. Punto e Match alla squadra bianco-nera degli Stati membri. I giocatori rientrano.
Negli spogliatoi la BCE comunque rimugina sulla sconfitta e finisce per palleggiare da sola, inventandosi schemi di strumenti di ingegneria finanziaria, di nuovi quantitative easing. E sono gli stessi Stati straordinari membri della squadra bianconera che hanno rinviato la palla nel suo campo che cominciano a mugugnare, criticandone il solitario palleggio. Alla fine gli atleti vanno a casa in un stadio vuoto, ma non per colpa del coronavirus. E’ da tempo che gli spettatori hanno lasciato lo stadio, non solo delusi, ma stomacati dal ripetersi del bassissimo livello di gioco di questa finale di importanza capitale.
Buona notte Europa e tanti auguri. Qui in Italia si muore, al Nord come al Sud, speriamo che la cosa faccia riflettere in tempo utile anche altrove. Perlomeno, amici, ricordate che, a due dita dalla Grande Falce, vi avevamo avvertiti.
Carlo degli Abbati, professore associato di Politica Economica e Finanziaria
Insegna nelle Università di Trento, Genova e alla ULB di Bruxelles