In occasione della presentazione in musica e parole del libro AMORE e RABBIA di Massimo Priviero (Volo/Libero edizioni, 2019), organizzata dal Circolo Ricreativo e Culturale “E. Curiel” il prossimo venerdì 25 ottobre (ore 19) in presenza dell’autore, PassaParola ha intervistato in anteprima il musicista, e l’uomo, che si ritrova a fare il punto della sua vita e del suo destino aprendo l’anima fino in fondo, fino a farsi male.

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Hai deciso di raccontare la tua storia attraverso un libro che si intitola “Amore e rabbia”. Una bella storia di un uomo libero che, tra alti e bassi, ha condotto la sua vita senza incorrere in compromessi ma seguendo il proprio istinto fino in fondo. Qual è stata l’esigenza che ti ha spinto a raccontarti e quale messaggio vorresti che un giovane, che si avvicina alle scelte importanti della propria vita, possa fare suo?

“Amore e Rabbia” è autobiografia, romanzo e autocoscienza allo stesso tempo. E’ prima di tutto la storia di un uomo libero. Un ragazzo in un paese di costa veneta decide che la sua vita vivrà attraverso i suoi dischi, le sue canzoni, i suoi concerti. Passano 30 anni di vittorie e sconfitte, se così vuoi chiamarle, di partenze e di cadute. Di album che scalano classifiche come di altri che restano sotto scala. A un certo punto quest’uomo si ritrova a fare il punto della sua vita e il destino lo porta a scrivere in un inverno davanti al mare dove è cresciuto. Lo fa senza sconti, senza darsi medaglie, aprendo l’anima fino in fondo fino a farsi male. In partenza, senza neppure voler pubblicare quel che ha scritto. Poi questo accade. E inizia un nuovo viaggio che ha ormai quaranta presentazioni in pochi mesi dove incontra soprattutto quella che chiama la sua gente per guardarsi meglio negli occhi. Raccontando e suonando magari per dirsi, “questa è una strada che abbiamo fatto insieme”.

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Il tuo ultimo lavoro discografico “All’Italia” ha come tema centrale la migrazione italiana e prende in esame sia quella di qualche decennio fa sia quella attuale che vede tanti giovani partire dal proprio Paese verso nuove mete e che registra ogni anno un preoccupante aumento. Quanto è importante per te lo studio di questo fenomeno e come sono cambiate le cose nei vari decenni fino ad arrivare ai giorni nostri?

Esiste un ideale filo rosso che lega la migrazione italiana di ieri e di oggi. “All’Italia” è esattamente questo. Un veneto che parte cento anni fa per l’Argentina e un ragazzo che se ne va oggi a Londra. Il filo rosso tiene stretta la caratteristica comune di essere da un lato costrizione, partenza causata da assenza di opportunità e dunque se vuoi aspetto che chiameremo di sofferenza, dall’altro viceversa coraggio, forza di mettersi in discussione, cambiamento. Le condizioni di vita sono ovviamente cambiate in modo enorme, tuttavia credo che tu possa individuare questo tratto comune. Ed “All’Italia”, che abbiamo suonato e portato in giro un po’ ovunque con tanti concerti, in Italia e non solo, è esattamente questa narrazione di storie che si dipanano una dopo l’altra. Cercando sempre il motivo che le unisce per farle diventare un’unica grande storia.

Sei già stato a Lussemburgo qualche mese fa. C’è qualcosa che ti ha colpito di questo paese e in particolare degli italiani che vivono qui?

Torno volentieri in Lussemburgo perché conservo uno speciale ricordo di quando ci son venuto precedentemente. Empatia e attenzione prima di tutto. E bella umanità. In più, ti dirò che ultimamente vado sempre con più piacere all’estero magari per parlare di Italia anche se soprattutto per suonare, naturalmente. Per esempio, sarò a gennaio 2020 a Città del Messico, invitato dall’Università. Ma questo è domani. Oggi sono felice di essere di nuovo con voi.

 Paolo Travelli

 

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