Dal 23 al 26 maggio 2019, i cittadini dei 28 Stati dell’Unione europea si sono recati alle urne per rinnovare i 751 membri del Parlamento europeo. L’affluenza alle urne è aumentata o si è mantenuta stabile in tutti i Paesi europei, tranne che in Italia, Portogallo e Lussemburgo.
Diverse le ragioni dell’aumento in molti Paesi: in alcuni casi c’è stato un traino delle elezioni locali, tipo in Spagna, in altri casi la polarizzazione del dibattito Europa si – Europa no, ha coinvolto gruppi di cittadini normalmente refrattari al recarsi alle urne per il voto europeo.
Marea nera, no grazie!
Come alcuni attenti commentatori avevano già evidenziato durante la campagna elettorale, dati alla mano, non c’è stata e non ci poteva essere nessuna “ marea nera” che poteva incidere come numero di eletti negli equilibri del nuovo Parlamento europeo.
Ci sono state delle riconferme, rispetto a cinque anni fa, di forze conservatrici, come il Rassemblement Nationale francese guidato da Marine Le Pen o del partito del primo ministro ungherese Orban, che però siede all’interno del Partito Popolare Europeo – il gruppo dei democristiani di Angela Merkel per intenderci- in Grecia i neofascisti di Alba Dorata dimezzano i loro voti, in Olanda diminuiscono gli eletti. Insomma, a parte dall’Italia con l’aumento degli eurodeputati della Lega nord, e gli eletti della Gran Bretagna del Partito del Brexit di Farange (che però dovrebbero comunque decadere quando a Gran Bretagna uscirà dall’Unione), i diversi gruppi a cui fanno riferimento le destre europee, rimangono marginali per i futuri equilibri politici del Parlamento.
Fine del bipolarismo a livello europeo
Come era normale aspettarsi, conoscendo i risultati elettorali dei vari Paesi europei degli ultimi anni, i partiti tradizionali (colonne del bipolarismo partitico che ha retto le sorti del Parlamento europeo dalla sua fondazione) il Partito del Socialismo Europeo e Partito Popolare Europeo, sono andati in crisi, con una netta diminuzione di eletti. Per continuare a governare il Parlamento europeo saranno costretti ad un’alleanza con i liberali e/o i Verdi.
A causa del veto del Partito Popolare Europeo, nello specifico dalla tedesca Angela Merkel, è assolutamente da escludere un coinvolgimento delle destre razziste dagli organigrammi del futuro Parlamento, come chiesto a gran voce da Silvio Berlusconi.
E in Italia?
In Italia, la Lega nord per l’indipendenza della Padania – così ancora si chiama il Partito del Ministro degli Interni Salvini – risulta essere diventato il primo partito, raggiungendo soglie anche del 20 % anche al sud e sulle isole, compreso in territori come Riace e i maggiori centri Notav del Piemonte.
Il Partito democratico perde altri 100.000 voti rispetto alle elezioni del 4 marzo, ma pare aver fermato l’emorragia di voti.
Il movimento 5 Stelle perde 6 milioni di voti rispetto ad un anno fa. Più della metà sono finiti alle Lega, il resto nell’astensione e una piccolissima parte al Partito Democratico.
Nessun risultato positivo dei Verdi, che non riescono ad approfittare dell’onda Verde avviata dalla giovane Greta Thumberg diversi mesi fa e che in molti Stati europei crea un risultato a doppia cifra per i partiti verdi.
Il raggruppamento di +Europa, guidati dall’inossidabile Emma Bonino, non raggiunge il quorum, subendo una perdita molto grande di voto di opinione, attirato dal Partito Democratico.
Stessa sorte per la lista della Sinistra, che si ferma ad un magro 1.7%.
Un paio di fatti meriterebbero un maggiore approfondimento: nei comuni dove si è votato anche alle amministrative, spesso il centrosinistra si è imposto a livello locale, mentre gli stessi votanti hanno preferito la Lega Nord per il voto europeo, in una sorta di maionese impazzita del voto disgiunto.
Da alcuni dati pare che il Partito democratico si affermi più nelle grandi concentrazioni urbane, la Lega invece più nelle realtà piccole e medie, mentre il M5S sembra avere una distribuzione dei voti quasi indipendente dalla grandezza delle città al voto.
Il voto degli italiani all’estero
Forze politiche come il Partito Democratico e +Europa stanno propagandando enormemente il risultato del voto degli italiani all’estero, che ad una prima analisi, parrebbe in netta discontinuità dal voto degli italiani che votano in Italia.
Peccato che l’affluenza nei 220 seggi dislocati in Europa, si sia fermata poco sopra il 7% (seppure in aumento dal 5.5% delle scorse elezioni del 2014).
Questo dimostra che solo una piccolissima minoranza degli emigrati è interessata al voto italiano e, quindi, è poco rappresentativo e non generalizzabile nei risultati. Probabilmente votano solo quelli che fanno già parte di reti civiche e associative dell’emigrazione, che spesso fanno riferimento storicamente a partiti di centro sinistra, mentre il resto dei nostri emigrati o ha votato per le liste del nuovo Paese di residenza, segno questo di integrazione, o se ne é proprio infischiato. Ovviamente al netto delle disfunzioni nel dislocamento dei seggi e della loro diminuzione, voluta dal governo giallo verde di Salvini & C.
Per concludere, pare che in Italia per vincere le elezioni bisogna promettere, promettere e ancora promettere. Lo ha fatto Renzi con gli 80€, il M5S con il reddito di cittadinanza e ora Salvini con il suo “comanderemo in Europa”.
Pietro Lunetto