Il museo di Storia della città del Lussemburgo, a pochi passi dalla Camera dei Deputati in pieno centro della capitale (14, rue du Saint-Esprit), completa, in questa giorni, un’importante azione di rinnovamento. Un’azione che cade proprio nel 150° anniversario del Trattato di Londra del 1867; un evento centrale nella storia del Paese e in particolare in quella della città, perché decide lo smantellamento della fortezza, la partenza della guarnigione prussiana e la neutralità del Granducato.
Il museo cambia nome – Lëtzebuerg City Museum – ed è possibile visitare la collezione permanente fin dal 5 maggio. Il visitatore è immerso in un percorso cronologico che si snoda tra le sale e i diversi livelli del museo. Il percorso parte dalle cantine di uno degli edifici storici che uniti tra loro compongo la struttura attuale e risale verso il piano terra, per lasciare spazio, ai livelli superi, al continuo della mostra e alle esposizioni temporanee.
Le sale sono dedicate a diverse fasi della storia della città: dalla cittadella medievale alla fortezza, dalla città industriale a quella sede di istituzioni europee e alla piazza finanziaria. Un nesso logico, sempre presente, porta il visitatore a collegare gli eventi tra loro. Così, ad esempio, lo smantellamento della fortezza nel 1867 apre la strada allo sviluppo della città industriale. Al piano terra, una sala è dominata da un grande modello della città attuale. Delle consolle permettono di ottenere informazioni sui progetti in corso come il tracciato del tram e illuminarli sul modello. Una curiosità per i più attenti ai progetti urbanistici: molte parti del modello, come ha mostrato il sindaco Lydie Polfer durante l’introduzione alla visita per la stampa, sono facilmente smontabili e pronte per essere sostituite con altre che mostreranno i nuovi quartieri realizzati.
Gli orari e i dettagli riguardo le tariffe dei biglietti e delle visite guidate sono disponibili sul sito internet del museo e cliccando QUI; va ricordato che il giovedì dalle 18.00 alle 20.00 l’ingresso è libero per tutti.
Alberto Manzini