Ritrovare Luca Fassina sulle nostre pagine è un po’ come riaprire un vecchio vinile: familiare, caldo, sorprendente ogni volta. Lo avevamo già ospitato su Voices Passaparola per parlare della cucina nell’immaginario horror di Stephen King (https://passaparola.info/web/2022/10/07/stephen-king-la-cucina-nellhorror/) e oggi torniamo ad accoglierlo per un nuovo viaggio che intreccia ancora una volta cibo, cultura pop e narrazione visiva.
Dal 7 novembre è in libreria Vino/Vinile (Oligo, 2025), un saggio che sfoglia decenni di storia musicale attraverso le copertine che hanno trasformato alimenti e bevande in simboli, dichiarazioni artistiche, piccoli detonatori di immaginario. Dalla banana sbucciabile dei Velvet Underground al surrealismo culinario dei Rolling Stones, dagli spaghetti ribelli dei Guns N’ Roses alle etiliche epopee dei Tankard, Fassina ci conduce in un banchetto iconografico che attraversa generi, epoche e continenti. Un percorso che non solo racconta il peso culturale delle immagini, ma lo amplia grazie a un ulteriore livello di gioco: le ricette ispirate ai dischi, a metà strada fra gusto, musica e suggestione.

Lo abbiamo intervistato per farci raccontare come nasce un libro che si legge come un viaggio – tra copertine, aneddoti, ritrovamenti inaspettati – e che ci ricorda quanto il vinile sia, ancora oggi, un oggetto capace di unire musica, immagine e ritualità.
Come nasce l’idea di “Vino/Vinile”? C’è stato un momento preciso in cui hai capito che il cibo e le copertine dei dischi potessero dialogare così bene?
Ogni anno io e Giulio Girondi di Oligo troviamo un modo nuovo per raccontare il cibo legato alla cultura pop. Ci piaceva tornare alla musica come avevamo fatto con Spaghetti, dopo la pausa del cinema di Gusto/Disgusto e Come Taste the Band dei Deep Purple è stato il punto di partenza, con quella sua bella coppa di liquido ambrato in cui galleggiano i faccioni della Mark IV.
Qual è la prima copertina che ti ha fatto intuire il potere narrativo delle immagini nel mondo dei vinili? Nel libro citi Steinweiss, la Blue Note, Crepax… ma qual è stata la tua porta d’ingresso emotiva?
Powerslave degli Iron Maiden, 1984: cercando la firma che l’illustratore Derek Riggs nascondeva sempre nei suoi artwork ho trovato una scritta incisa nella tomba del faraone: “Indiana Jones was here, 1941”. Geniale.
Nel libro racconti molte storie dietro copertine iconiche. Ce n’è una che ti ha sorpreso più delle altre durante la ricerca?
Intervistando Mark Kohr per Sailing the Seas of Cheese dei Primus, ho scoperto che il corto in claymation – la tecnica cinematografica della plastilina animata – dal quale era stata tratta la copertina è stato girato nello stesso posto e dallo stesso team – che lui dirigeva – che ha fatto parte delle animazioni per The Nightmare Before Christmas. Amo quando nel mio lavoro giri un angolo e ti trovi davanti a un tesoro nascosto.
Il vinile è un oggetto fisico che unisce musica, grafica e ritualità d’ascolto. Cosa pensi stia spingendo le nuove generazioni a riscoprirlo?
Temo di snaturare la natura romantica della domanda dicendo che purtroppo c’è molto marketing dietro alla riscoperta del vinile. Quando le case discografiche riporteranno l’oggetto a un prezzo corretto, potremo parlare di vera riscoperta.
Hai parlato con designer, fotografi, musicisti: qual è l’elemento comune che hai trovato nel rapporto tra artisti e copertina? È più un’estensione della musica o un’opera autonoma?
Ogni caso è a sé. Non esistono veri e propri filoni o periodi storici, ci sono magari citazioni, riferimenti… di sicuro quando l’artista lavora a stretto contatto con i musicisti, il messaggio è più coinvolgente di quando l’artwork è deciso a tavolino da altri.
Se dovessi scegliere tre copertine “a tema cibo” per raccontare a un lettore l’estetica del vinile, quali sarebbero e perché?
Velvet Underground & Nico, perché la storia della sua genesi racconta molto bene il rapporto tra musica e arte: Warhol trovava che la loro ricerca musicale avesse un’affinità con quello che voleva esprimere lui con la sua arte. In origine, la banana poteva essere sbucciata togliendo l’adesivo della buccia e rivelava un provocatorio frutto rosa al suo interno; Yesterday and Today dei Beatles, perché mostra come i musicisti a volte siano capaci di inviare messaggi subliminali nelle copertine dei loro dischi: dato che la Capitol Records aveva l’abitudine di “macellare” i loro album spostando o cambiando le tracce per adattarne la pubblicazione al mercato americano, scelsero di farsi ritrarre con camici da macellaio, ricoperti da pezzi di carne cruda e bambole smembrate; quelle dei Tankard perché hanno preso una passione – la birra – e ne hanno fatto un leit motiv, creando una storia che va dalla copertina di un disco all’altra.
Cibo e musica hanno una forte componente sensoriale ed evocativa. Ti è mai capitato che una copertina influenzasse davvero il tuo ascolto?
No. Faccio il giornalista musicale da trentacinque anni, sono abbastanza vaccinato in tal senso. Sicuramente mi sono trovato di fronte a copertine che incuriosivano, ammiccavano, alludevano, ma… forse Mechanical Animals di Marilyn Manson è stata una che aveva attirato l’attenzione, ma lo conoscevo già quindi non ha influenzato nulla.
Nel libro compaiono anche ricette ispirate agli album. Quanto conta, per te, il gioco culturale tra ascolto e gusto? È un modo per avvicinare le persone ai dischi o un pretesto narrativo?
Stephen King, nel suo saggio On Writing scrive “Parla di ciò che sai”. Io adoro cucinare, adoro la musica, il cinema… i miei saggi sul cibo per Oligo indulgono tra queste mie passioni e spero che questo traspaia dalle mie parole. Se poi leggendomi scoprirai anche un solo nuovo disco, avrò fatto la mia parte di divulgatore.
Oggi molte copertine vivono soprattutto in formato digitale e in miniatura. Pensi che il valore dell’artwork stia cambiando o resiste?
Per una recente lezione che ho tenuto all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro ho fatto molta ricerca e ho scoperto che i servizi di streaming mettono a disposizione dei tool per creare la propria copertina, questo perché è importante sempre e comunque differenziarsi, soprattutto in un ambiente che tende ad appiattire e omologare. Certo, in un gatefold come Nuda dei Garybaldi disegnato da Crepax o come l’interno lisergico di Eat a Peach della Allman Brothers Band avevi lo spazio per metterci un sacco di cose.
Se dovessi immaginare la “copertina perfetta” per raccontare la cultura contemporanea dei vinili, che immagine sceglieresti?
Cavolo… dipende a quale contemporaneità ti riferisci: il progetto grafico dietro In Through the Out Door dei Led Zeppelin è una monumentale opera di design, oltre che di marketing. I gatefold dei gruppi progressive come il Banco con Salvadanaio, School’s Out di Alice Cooper si apriva e diventava un banco di scuola, in Come Out and Play dei Twisted Sister Dee Snider usciva da un tombino… Poppy ha collaborato con la fumettista spagnola Maria Llovet per l’EP A Very Poppy Christmas, affiancando una graphic novel al disco per entrare maggiormente in contatto con l’anima dell’artista; anche Caparezza per Orbit Orbit ha collaborato con la Sergio Bonelli Editore per un fumetto che fosse complementare al disco. Ogni periodo ha le sue eccellenze. Impossibile scegliere.
Elisa Cutullè
