Due conti della serva. I costi sopportati dalla UE per le sanzioni comminate alla Russia e le spese militari a sostegno dell’Ucraina hanno superato ad oggi i 1300 miliardi di EURO. E il caso Italia
Prima ancora del “ bacio della pantofola” di Trump a Turnberry, in Scozia, ai bordi di un campo di golf, l’assenza di ogni politica estera e la scelta delle istituzioni europee di indebolire comunque la Federazione Russa sino all’ultimo ucraino è costata sinora ai cittadini europei più di mille trecento miliardi di EURO, quasi due volte il NEXT GENERATION EU e programmi collegati immaginati dopo il COVID. Al di là dei proclami di guerra e della psicosi anti-russa chi pensa nelle istituzioni ai cittadini europei e alla loro compromessa condizione? Procediamo con ordine e definiamo prima il costo puramente economico della interruzione di ogni contatto economico con la Federazione russa.
Come abbiamo già scritto su PassaParola, dotata di una economia di trasformazione e poco ricca di risorse energetiche, l’Unione europea aveva trovato nella Federazione Russa un fornitore a basso costo di energie indispensabili come il petrolio e il gas, di cui è il primo produttore mondiale (terzo per il petrolio) sino alla distruzione del Nord-Stream, che gli permetteva di restare concorrenziale sui mercati internazionali, soprattutto nei suoi settori energivori, come p.e. acciaio e ceramiche. Ma non solo: la Russia è anche il terzo produttore di carbone e il terzo produttore di grano e mais del mondo insieme all’Ucraina. Dipendono dalle forniture di grano di Russia ed Ucraina fra l’altro paesi come il Kazakistan, la Turchia, l’Egitto, il Sudan, la Libia, il Libano, l’Algeria, la Tunisia, il Pakistan, lo Yemen e l’Indonesia. Per l’economia europea un gas sostitutivo di quello russo non è reperibile né in Algeria, né in Libia, né in Kazakhistan, né in Turkmenistan-Azerbaigian, né nei paesi del Golfo come invece sperato da Boris Johnson con i primi infruttuosi contatti avviati con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Forse l’Iran potrebbe in parte supplire, ma i gasdotti attraversano la Crimea sotto controllo russo. Ma non basta. Restavano guarda caso gli Stati Uniti con il loro shale gas costoso ed inquinante frutto di fracking di strati geologici, che può arrivare a quattro/cinque volte il costo del gas di tubo russo (anche per via del processo di trasporto e di rigassificazione). La Russia produce anche alluminio, uranio, palladio, vanadio, germanio, terre rare, tutti componenti che rientrano nelle produzioni europee siderurgiche, metallurgiche, nucleari o di alta tecnologia, per non parlare delle componenti produttive che entrano nel nostro agroalimentare sino al cibo per animali, o nella propulsione dei nostri mezzi di trasporto. Non solo. Le ca. 18.000 sanzioni europee approvate sinora, ancora di recente, con il 19° treno di sanzioni, mettono anche in questione il delicatissimo insieme del mondo finanziario internazionale facendo mancare la base per molte attività di assicurazione e riassicurazione che sono alla base delle attività del mondo bancario europeo.

Per l’Italia, poi, si devono osservare due cose. Un mercato relativamente modesto in dimensione come quello russo è invece importantissimo per comparti come la moda o l’agroalimentare. In secondo luogo l’Italia ha fra i paesi UE lo stigma di essere caratterizzato da una gravissima diseguaglianza distributiva che ha ormai raggiunto gli indici negativi dei peggiori – in questo senso – Paesi OCSE come la Turchia, gli Stati Uniti, Israele, la Gran Bretagna. In altri termini, in Italia esiste una grande massa di poveri che vivono al limite delle risorse per i quali diventa sempre più una tragedia quotidiana assorbire i rincari comportati dalle sanzioni anti Putin.
Ora se si vuole dare delle cifre sulle perdite derivanti dalla cooperazione con la Russia, in termini energetici e di scambi commerciali, le stime della maggior parte degli esperti coincidono proprio con le cifre riportate dal Ministero degli esteri russo. Si tratta di un trilione di EURO, 1.000 miliardi di EURO. Questa cifra è frutto ad un tempo della fine della cooperazione energetica, del decouplig Europa/Russia, sempre ardentemente desiderato del resto dagli Stati Uniti per il loro egoismo commerciale, ma anche della drastica riduzione del commercio euro-russo. Nel 2013 il valore degli scambi commerciali fra la Federazione Russa e la UE aveva raggiunto il picco di 417 miliardi di EURO , dieci anni dopo, nel 2024, è sceso a 60 miliardi, oggi è praticamente nullo, almeno sul piano ufficiale. Oggi con il cambio del sistema delle forniture il prezzo del gas naturale in Europa è da quattro a cinque volte superiore rispetto al prezzo pagato negli Stati Uniti, mentre l’elettricità costa due o tre volte di più. Per non parlare del caso limite dell’Italia, dove nessun governo di destra o di sinistra ha mai osato staccare il calcolo del prezzo del gas dal prezzo di fonti molto più costose cui è riferito il prezzo finale del gas consumato, con l’effetto di produrre bollette addirittura insostenibili per moltissime famiglie. Anche se è ben noto dai notiziari nazionali che l’Italia del Governo Melloni sta invece andando economicamente benissimo, addirittura a gonfie vele.
Ma un trilione di EURO non basta. Occorre aggiungerci le cifre ufficiali del sostegno UE armato all’Ucraina. Non solo l’UE ha già speso secondo i dati ufficiali del Consiglio 158,6 miliardi di aiuti militari all’Ucraina, ma si dice pronta a stanziare in armi per altri 800 miliardi, mettendo subito a disposizione degli Stati membri 150 miliardi di prestito per spese militari, con il Fondo Save.
Risultato: ai cittadini europei sono sottratti più di 1300 miliardi, che non ci sono nei bilanci, saranno pagati dalle future generazioni. A cui vanno poi aggiunte le forniture nazionali all’Ucraina dei singoli paesi UE aderenti alla NATO ( 23 su 27) per importi sulla cui natura paesi come l’Italia fanno poi valere il segreto di stato su importi, consistenza e destinazione, rendendo impossibile ogni calcolo motivato.
Avevamo anche detto all’inizio che non contavamo nel calcolo le conseguenze dell’accordo doganale con gli Stati Uniti, meglio della sottomissione doganale della UE avvenuta in Irlanda sui campi di golf di Trump agli interessi americani.
Ma dobbiamo perlomeno sottolineare gli impegni militari sottoscritti nell’ambito della NATO al recente vertice dell’Aja. La recente decisone dell’Aja di far passare al 5% del PIL entro il 2035 la spesa militare degli Stati membri NATO, cioè nei i prossimi dieci anni (cioè tutti i paesi UE tranne Austria, Cipro, Malta, Repubblica d’Irlanda) ne è il corollario piu’ evidente. Innanzi tutto, visto che il riarmo dell’Europa è indirizzato verso un nemico indicato come planetario, la Federazione Russa, diamo qualche dato sui rapporti di forza attuale fra UE, Gran Bretagna e Norvegia rispetto alla Federazione Russa che già oggi va tutto a favore, nonostante il corrente narrativo, della UE e dei suoi alleati. Correggendo gli errori di un noto rapporto puntualmente riportato fra gli altri dal Financial Times sulla spesa russa, l’Osservatorio CPI -Osservatorio dei Conti Pubblici- diretto da Carlo Cottarelli dell’Un. Cattolica di Milano- ha provato come già pubblicato da PassaParola, che nel 2024 è stata a parità di potere di acquisto la spesa militare europea ad eccedere quella russa del 58%. Ma scendendo nei dettagli, una recente configurazione dei rapporti attuali di forza NATO/Russia secondo le statistiche mondiali delle forze miliari è pubblicata da Le Point – Géopolitique per il 2025, rivista che appartenente al gruppo editoriale di François Pinault, può essere difficilmente accusabile di filo-putinismo. Detto in soldoni, il linguaggio delle cifre della fonte citata dimostra chiaramente che la Federazione Russa sta sotto in tutto tranne che in riservisti e sottomarini nucleari.
Quindi, ci si domanda quale sia stata l’urgenza che ha visto la NATO nella sua ultima riunione dell’Aja decidere: “Allies agree that 5% commitment will comprise two essential categories of defence investment…3,5% of GDP annually ..to resource core defense equipment….1,5% to inter alia protect our critical infrastructure, defend our networks, ensure our civil preparedness and resilience…”.
Ma a noi interessano soprattutto le cifre conseguenti dell’impegno europeo con la NATO. Affidiamo a questa tavola riassuntiva lo sforzo che l’aumentato impegno militare richiederà ai sistemi sociali, sanitari ed educativi degli stati Europei. Senza contare il basso leverage in temine di moltiplicatore degli impieghi del settore militare rispetto ad altri settori concorrenti e di altrettanta se non maggiore importanza (I.A., numerico, spaziale, etc.).
Il caso Italia
Se si prende il caso dell’Italia ci si può domandare come potrà passare dall’1,5% al 5% del PIL in spese militari promesso all’Aja quando già spende per la salute e l’educazione cifre di PIL (6,2% contro media UE del 6,8% e 4,1 % contro media UE del 4,7%- rispettivamente con dati aggiornati al 2024) nettamente inferiori a quelle dei principali Stati membri? Infine se manteniamo la promessa di non infierire sul 15% di dazi concessi a Donald Trump dalla presidente della Commissione UE delegata al commercio, Ursula Von der Leyen nata Albrecht, per le importazioni americane di prodotti europei, dobbiamo perlomeno fare un’osservazione capitale sul resto del contenuto della trattativa.
La signora Von der Leyen non solo ha rinunziato a proporre delle contropartite come una tassazione europea sui servizi americani, settore in cui la bilancia americana nei confronti della UE segna un surplus quasi pari al deficit commerciale americano verso l’Europa, ma ha assunto nei confronti di Trump degli impegni politici per i quali non aveva legalmente il minimo mandato. Si tratta dell’impegno ad investimenti europei in USA per 600 miliardi e all’ acquisto di altri 750 miliardi in energia statunitense entro la fine del mandato di Trump, cioè entro il gennaio 2029. In questo modo, impegnando l’Europa al di fuori di un preciso mandato, ha ulteriormente indebolito la posizione europea sino a renderla una sottomissione totale, dando a Trump l’argomento dialettico di poter ulteriormente aumentare il livello dei dazi se le condizioni accettate dalla Von der Leyen non fossero concretamente rispettate. Perché lo ha fatto? Qual è stata la sua logica negoziale nell’immaginare la deindustrializzazione dell’Europa o la sua totale dipendenza al 60% dalla energia americana, un livello che non solo è costosissimo e rovinoso sotto il profilo economico ed ambientale, ma neppure risponde alle effettive possibilità produttive dell’industria americana? La storia risponderà delle ragioni di una tale sottomissione, che porta l’Europa con i suoi 450 milioni di consumatori a non essere altro che un vaso di coccio manzoniano, stritolato fra americani e cinesi. La stessa condizione vissuta dall’emiro afghano Abdurrahman alla fine del 1800, schiacciato fra l’orso russo e il leone britannico. Ma l’Emiro di Ferro aveva almeno una qualità: agiva nel rispetto e nella convinzione del miglioramento della vita dei suoi sudditi.
Carlo degli Abbati
