Nell’Occidente dei nuovi re mida reazionari la vita del presidente uruguayano Pepe Mujica  rappresenta per la gioventù europea e mondiale un riferimento straordinario. Il ricordo del prof. Carlo degli Abbati

José “Pepe” Mujica Cordero, mancato lo scorso 13 maggio, già presidente della Repubblica Orientale d’Uruguay fra il 2010 e il 2015, nasce il 30 maggio 1935 in Uruguay in una zona semirurale ad occidente della capitale, Montevideo. La storia dell’Uruguay, il più piccolo paese del Cono Sud dell’America meridionale, grande la metà dell’Italia, si confonde con il grande fiume che ne forma il confine occidentale e confluendo con il Paranà forma l’estuario del Rio de La Plata, dove sorge a ovest Buenos Aires. Ma più a est sulla sponda sinistra, al di là dell’imboccatura dell’estuario aperto sull’Atlantico, sorge Montevideo, fortezza costruita nel 1728 dagli spagnoli per meglio resistere alla pressione portoghese che si esercitava da nord, dalle terre brasiliane. Figlio unico di una famiglia di contadini, rimasto orfano di padre a 8 anni, coltiva fiori con l’aiuto di sua madre sulla piccola parcella familiare e li vende sui mercati della capitale. Ma studia e lavora, frequenta a Montevideo il liceo Alfredo Vazquez Acevedo, dove incontra buona parte della giovane intellighèntsia del paese negli Anni ’50.

Il Paese possiede già allora un sistema di educazione pubblica esemplare in cui insegnano i più insigni intellettuali, fra cui numerosi spagnoli esuli della guerra civile oltra ad un’immigrazione più antica, formata da liguri che hanno abbandonato la Repubblica di Genova nel 1815, dopo che il congresso di Vienna  ne aveva decretato l’attribuzione al conservatore Regno del Piemonte di Carlo Emanuele, mentre nel paese non esistono più amerindi dopo lo sterminio dei Charruas che risale al 1832. Il giovane Mujica milita allora nell’ala progressista del Partito Nazionale di centro-destra che lascia nel 1962 per creare l’Union Popular, alleata al Partito Socialista. Ma i tempi stanno rapidamente cambiando. Sotto l’influenza degli Stati Uniti, fedeli alla dottrina Monroe (che gli riserva il controllo sull’intiero continente) e al vento maccartista che impregna le istituzioni americane, la lotta al comunismo internazionale si traduce in America Latina nel tentativo di invasione di Cuba e nel fiancheggiamento delle dittature militari sostenute dai grandi proprietari terrieri, di Videla in Argentina, di Castelo Branco in Brasile, sino a Augusto Pinochet in Cile e ad Alfredo Stroessner in Paraguay. Questo vento soffia anche in Uruguay dove negli anni ’50 l’economia di quella che era definita “la Svizzera d’America Latina” e, secondo Alain Touraine, il Paese “che aveva inventato la social-democrazia”, ristagna, l’inflazione e la disoccupazione sembrano incontrollabili. Mujica e i suoi compagni comprendono che il Paese si sta dirigendo verso una dittatura (parere condiviso fra gli altri da molti ambasciatori francesi dell’epoca, secondo gli archivi oggi declassified), mentre diversi settori dell’esercito cospirano dal 1964 con l’aiuto americano per il rovesciamento delle istituzioni. I giovani intorno a Mujica decidono di abbandonare i partiti e prendere le armi per ristabilire la democrazia nel paese. Si chiameranno “Tupamaros”, come i giovani fuorilegge dei tempi dell’amministrazione spagnola. Soltanto, la gioventù educata dell’Uruguay che si sente in grado di prendere in mano il proprio destino, non segue esempi stranieri, il “foco” di Che Guevara o l’accerchiamento maoista delle campagne sulle città. La sua azione sarà esclusivamente urbana. Grazie alla sua creatività il gruppo diviene un esempio per decine di gruppi armati del mondo intero. Non tanto per avere commesso delle azioni spettacolari quanto, perché, come scrive Régis Debré “per avere inaugurato con successo una nuova maniera d’intraprendere la rivoluzione socialista”, sino al punto da provocare una riunione il 16 giugno del 1972 di un Consiglio della NATO a Bruxelles per un case-study affidato a Geoffrey Jackson, ambasciatore britannico in Uruguay detenuto otto mesi nella locale Prigione del Popolo. La sconfitta del movimento nel 1972 significherà la prigione per Pepe Mujica e gli altri leader Tupamaros, dopo il colpo di stato del giugno 1973 che installa la dittatura militare di Juan Maria Bordaberry.

Mujica subirà tredici lunghi anni di prigione di isolamento totale e di torture. Sarà liberato solo nel 1985, nel quadro di una amnistia generale, dopo il ritorno della democrazia nel Paese, con la presidenza di Julio Maria Sanguinetti, chiavarese di origine,  del Partido Colorado.

Nel 1999 Mujica e i Tupamaros creano il Movimento di partecipazione popolare (MMP) che si integra nella Alleanza del Frente Amplio, costituendo la componente più importante del raggruppamento da cui proviene l’attuale presidente, eletto il 24 novembre 2024, Yamandu Orsi. Mujica, dopo una elezione a senatore (2000) e a ministro dell’Agricoltura (2005) viene eletto Presidente fra il 2010 e il 2015 per i cinque anni previsti dalla Costituzione. Durante i tre governi del Frente Amplio, fra il 2005 e il 2020, l’Uruguay si ispira perfettamente allo spirito social-democratico che aveva caratterizzato il periodo delle riforme di José Batile fra il 1903 e il 1915 ed era stato alla base del benessere sociale vissuto dal paese nel periodo. In particolare, sotto il profilo ecologico, il Paese è uno dei rari al mondo a produrre il 98% della sua energia elettrica con fonti rinnovabili.

Non solo sono note le conquiste sociali intervenute sotto la presidenza Mujica (recupero del livello salariale, dimezzamento della povertà, la povertà estrema ridotta all’1%, le riforma sanitaria assicurante una protezione universale grazie ad un mix pubblico-privato). Ma viene internazionalmente riconosciuta l’integrità morale espressa da Mujica durante l’esercizio del suo mandato, sino ad essere definito come “il presidente più povero del mondo”, che cedeva alle associazioni caritative del suo  paese il 90% dei suoi emolumenti, conduceva una vita frugale, alla guida di una semplice Coccinelle VW e viveva non nel palazzo presidenziale, ma in una modesta casa di campagna, “la chacra”, con la sua compagna, Lucia Topolansky,  in cui riceveva le personalità del mondo intero. Un presidente che esprimeva la convinzione che “il potere non è che una circostanza” e ciò che è invece importante è lasciare in eredità una barra (una banda) di militanti giovani con l’energia per continuare le trasformazioni sociali. Diceva ai giovani Tu non sei una formica o uno scarabeo perché tu hai una coscienza. Invece di seguire un destino naturale, una tradizione o di condurre una vita senza senso, tu puoi fare qualche cosa per il mondo in cui vivi. Prendi la vita fra le tue mani e costruisci un progetto collettivo.  E poi, avvertendo il pericolo dell’alienazione sociale: “Non perdere tempo a lavorare per guadagnare del denaro. Tu avrai solo perso la tua vita, il tuo tempo di vita, di cui la sola cosa importante è di vivere con gli altri… Vivi come pensi o finirai per pensare come vivi!”. Contraddicendo coloro che lo definivano “povero”: “Io non sono povero, solo non mi sottometto all’obbligo di sprecare il mio tempo a guadagnare dei soldi. Mi conservo la libertà di stare con gli altri” . Lasciata nel 2020 la carica di senatore dichiarava nell’opera “Semillas al viento-Semi nel vento”, 2022: “A cosa serve un vecchio albero se non lascia passare la luce affinché dei nuovi semi possano crescere attraverso il suo fogliame?”. Il suo passaggio terreno intriso di spiritualità e di umanesimo costituisce l’antinomia del materialismo individualistico che forma una delle caratteristiche più evidenti della deriva attuale forse definitiva dei valori occidentali che sembrano essere ormai solo proclamati più che perseguiti ed effettivamente rispettati. Al suo esempio umano, l’augurio di perpetuarsi e diffondersi grazie anche alle documentazioni filmate di Alain LabrousseLos Tupamaros. Guerrilla urbaine en Uruguay”(1971), Emir Kurustica, “El Pepe, une vie supreme” (2018), Alvaro Brechner Compañeros” (2019), ma anche alla stessa diretta testimonianza di Mujica, con Carlos Martell e Mario Mazzeo, nella citata opera “Semi nel vento”. Destinata ai giovani e che i giovani devono raccogliere, senza lasciare che i semi si disperdano nella terra arida della mitizzazione imperante della riuscita economica individuale che fa dei pretesi vincitori i veri perdenti della vita.

Carlo degli Abbati

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