Dopo il blocco trumpiano dell’invio di armi all’Ucraina, la Presidente della Commissione UE, Ursula Von Der Leyen, lancia il grande piano di riarmo europeo, a prescindere, senza indicare né una strategia, né una fonte di finanziamento (quindi a debito sulle future generazioni). Riflessioni
A questo proposito, l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano diretto dall’economista Carlo Cottarelli fa chiarezza e corregge le stime diffuse dall’International Institute for Strategic Studies puntualmente riportate fra gli altri dal Financial Times sulla spesa russa per armamenti nel 2024. Secondo i calcoli dell’ISS tale spesa sarebbe stata nel 2024 più elevata di quella di tutti paesi europei messi insieme (inclusa la Svizzera).
Correggendo gli errori del rapporto citato, l’Osservatorio CPI ha provato invece che era nello stesso periodo la spesa militare europea ad eccedere quella russa del 58%. La differenza sta nel modo di calcolo adottato dallo ISS che contiene almeno due errori. La spesa russa viene prima calcolata in rubli e poi convertita in dollari ai tassi correnti ottenendo la somma di 145,9 miliardi. Poi, per tener conto della differenza nel potere di acquisto, ricalcola la somma a tassi di cambio USD PPP (a Parità del Potere di Acquisto) ottenendo la somma di 461,6 miliardi di dollari internazionali, leggermente superiore alla somma europea per armamenti stimata in 457,3 miliardi USD.
Il problema è che il rapporto ISS contiene i seguenti errori. Il confronto si fa utilizzando due definizioni di spesa militare uno (NATO “Defense Expenditure”) per la spesa russa e uno differente (“Defense Budget”) per la spesa europea.
Ma il secondo è ancora più importante: il calcolo delle spese europee viene fatto a tassi correnti senza la conversione a tassi di cambio PPP fatta per la spesa russa. Applicando per omogeneità questo metodo la spesa europea salirebbe a 730 miliardi di USD internazionali, ossia sarebbe il 58% più alta rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia.
Secondo lo studio dell’Osservatorio nel termine “Europa”, l’IISS comprende tutti i Paesi del continente (eccetto la Russia), inclusi i quattro paesi che non sono né nella NATO né nell’UE (Serbia, Bosnia, Kosovo e Svizzera) e che quindi non sarebbero tenuti a rispondere militarmente a un attacco russo. Escludendo questi Paesi, la spesa militare di tutti gli Stati membri o dell’UE o della NATO (o di entrambe), sempre nella definizione NATO e a tassi PPP, risulta di 719 miliardi di dollari internazionali nel 2024, il 56% in più della spesa russa (Fig. 1, seconda colonna).
Per i soli Paesi UE (e quindi escludendo, in particolare, Regno Unito, Turchia e Norvegia), la spesa militare è stata di 547,5 miliardi di dollari internazionali, definizione NATO (Fig. 1, terza colonna), pari all’1,95% del Pil, restando comunque più elevata di quella russa del 18,6%.
Altra considerazione fatta direttamente da Carlo Cottarelli è che la Commissione intende per la spesa militare utilizzare la “clausola di salvaguardia” prevista dal nuovo Patto di Stabilità e Crescita approvato l’anno scorso per consentire agli Stati membri di finanziare in deficit l’aumento delle spese militari. Questo perché- sostiene la VDL- siamo in un periodo di crisi per il rischio di attacchi esterni (allude senza dirlo alla Russia). Quindi necessario il passaggio delle spese militari nella UE dal 2% al 3% e più del PIL. Ora, la Russia ha un PIL che è 1/9 di quello UE e una popolazione, in grave decremento demografico, che è un quarto di quella UE. Quanto alle spese militari russe anche se si tiene conto del diverso potere di acquisto, il suo livello è, come visto sopra, a tassi correnti ¼ della spesa UE e a tassi PPP raggiunge a malapena il 58%.
Ora, il problema non sembra quello di spendere di più ma piuttosto quello di coordinare la spesa fra i 27 Stati membri, dato che oggi i sistemi d’ arma della UE sono più di 100 e quelli russi solo cinque. Ma rimane comunque il problema di un finanziamento in deficit per una spesa che non si capisce si debba intendere temporanea (come quella per il Covid) oppure permanente. Finanziare una spesa per armamenti in deficit costituisce già un aggravio per l’oberato bilancio europeo. Ma anche sul piano strettamente economico produrre armi vuole dire anche rinunziare ad altre attività produttive, data la situazione di piena occupazione esistente in molti Stati membri. Per di più l’Europa, addormentata da decenni sotto l’ombrello nucleare americano, non ha neppure una capacità produttiva conseguente per aumentare la sua produzione di armamenti per cui sarà nel breve termine costretta ad importare armi dagli Stati Uniti con conseguente aggravio della sua bilancia commerciale, quasi come accondiscendente risposta agli alti lai commerciali del nuovo corso americano. Negli ambienti europei si immagina questo nuovo corso come un ritorno alla mai esistita Comunità Europea di Difesa (CED), vittima del famoso “crimine d’agosto” 1954 con la mancata ratifica francese. Ma se allora i sei paesi CECA erano in contrasto con l’URSS di Stalin, oggi si confrontano ad una Russia di oligarchi non impegnati nel dovere internazionalista di esportazione della Rivoluzione comunista e ben poco desiderosi di annettersi territori dove non vivano cittadini russi per i quali pretendono invece doverosamente delle corrette condizioni di esistenza come minoranze. La Russia conosce l’ideologia della russkaja zemlja o del russkii mir, del mondo russo, non più l’ideologia comunista, anche se molti paesi dell’Est europeo con la Gran Bretagna vivono in un’altra epoca, nell’eterna fabbricazione della Russia come nemico strutturale. Così tutta la UE deve armarsi – a debito, levando ogni tetto di spesa- senza strategia, senza una linea diplomatico-negoziale, senza definire uno scopo. Vogliono compiacere gli Stati Uniti di Trump? Vogliono pezzi di Federazione Russa? Vogliono la defenestrazione di Putin? Vogliono salvare l’Ucraina, come, in che modo? Immemori in Europa di un vecchio detto militare: “La tattica senza strategia sta solo un soffio prima della sconfitta”.
Carlo degli Abbati
Professore associato di Politica Economica e Finanziaria e cultore della materia di Diritto della Unione europea e di Organizzazioni Internazionali presso la Facoltà di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova