Si è svolto nel giugno scorso a Roma il workshop “Pronti per il 55%? Sfide e opportunità del FuelEU Maritime” organizzato dal Gruppo Giovani di Confitarma, in collaborazione con RINA e Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera. Al centro del confronto le principali criticità del Regolamento FuelEU Maritime, che fra pochi giorni, il 1° gennaio 2025, entrerà in vigore e sarà applicato alle navi che operano da/verso l’Unione Europea, ponendo numerose sfide agli armatori da un punto di vista sia amministrativo che economico
Argomento non trascurabile per l’Europa dato che la flotta mondiale ha speso in media il 17% del proprio impiego totale in un anno in viaggi europei e il 38% delle unità sopra le 5 mila tonnellate di stazza ha toccato almeno una volta il Continente. Ma non si tratta solo di navi extra large per rinfuse liquide o solide, di tanker, portacontainer, grossi multi-purpose, ma anche di roll-on roll-off , di navi traghetto. Il pacchetto comunitario FIT FOR 55 si articola in due provvedimenti: la FuelEU citata per la riduzione progressiva del GHg (gas ad effetto serra) e l’ European Trading System ( ETS) già adottato rivolto alle riduzioni delle emissioni di anidride carbonica. Anche qui come per il Green Deal le autorità europee hanno scelto la via della mandate policy, delle politiche vincolanti, assistite da scadenze e sanzioni, come per l’automotive.
Come affermato da più parti ed in particolare dal presidente dell’italiana Confitarma, Mario Zanetti, “il Green Deal europeo non è adeguato né per i tempi né per le modalità. Le normative locali – in particolare ETS e FuelEu Maritime” sono disallineate, per approccio e obiettivi rispetto a quelle dell’IMO (international Maritime Organisation) a livello internazionale e generano in questo modo un aggravio gestionale e una distorsione di mercato”, questo nonostante l’impegno profuso dall’armamento nazionale italiano nella transizione ecologica.
Ora l’IMO – the International Maritime Organization – United Nations specialized agency with responsibility for the safety and security of shipping and the prevention of marine and atmospheric pollution by ships – ha già fissato a livello globale delle norme meno stringenti di quelle europee cui si è già conformato il naviglio mondiale. L’idea di dare al mondo un esempio come Europa di una superiore purezza ecologica potrebbe mettere così in grave disagio economico anche il settore marittimo come già è avvenuto per l’automotive nei confronti della concorrenza mondiale. Non perché l’obiettivo non sia nobile, ma perché i provvedimenti sono stati platonicamente adottati in maniera autoreferenziale sulla testa di operatori, consumatori, mercati. Già provocando, per mancanza di coscienza e attenzione alle vie di concreta realizzazione della misura, il disastro dell’unica industria europea manifatturiera che funzionava, l’automobilistica, gettando sul lastrico centinaia di migliaia di lavoratori impegnati nella produzione delle auto a propulsione termica.
Elemento chiave del pacchetto “Pronti per il 55%” l’ Iniziativa FuelEU Maritime adottata dal Consiglio il 25 luglio 2023 ha la lodevole intenzione di contribuire alla decarbonizzazione del settore marittimo, grazie alla quale un maggior numero di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di carbonio ridurrà l’impronta di carbonio del settore marittimo nell’UE.
Ma il provvedimento appare completamente astratto rispetto alla situazione operativa reale del naviglio europeo. Per Salvatore d’Amico, proprietario di una delle più importanti flotte mondiali di navi portarinfuse e di navi cisterne “La prossima entrata in vigore del FuelEU è un tema delicato….Spesso, purtroppo, le norme non tengono sufficientemente conto della voce dell’industria e, soprattutto, delle tecnologie effettivamente disponibili.”
Non ci sono dubbi, tenendo conto che l’iniziativa FuelEu si congegna, come già il provvedimento sull’automotive non su misure di accompagnamento per favorire il graduale mutamento produttivo, ma su termini perentori e sanzioni che possono arrivare per gli armatori, come calcola l’istituto specializzato Clarksons, sino a 58 mila USD al giorno. Il calendario europeo prevede in effetti una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che vanno dal 91,6% del 2020 sino al 18,23% del 2050 quando si raggiungerà una riduzione dell’80% delle emissioni.
Se l’unica via per evitare le sanzioni -previste anche per le imprese automobilistiche, che non vendono l’elettrico dato che nessuno aveva pensato in anteprima a preparare una capillare rete distributiva di refilling (con la fornitura passata a 7 ampere nei garage della capitale granducale il settore elettrico andrebbe oggi direttamente in tilt) – è decarbonizzare e rendere più verde la flotta, non sempre è possibile seguire le tempistiche inventate dall’UE, semplicemente perché gli obiettivi stabiliti dal pacchetto FIT FOR 55 per il settore marittimo, secondo il presidente della ASSARMATORI Stefano Messina, “non sono sufficientemente realistici.
Di conseguenza il alcuni casi sono diventati uno shock per il settore, soprattutto per i segmenti più fragili”. Nel Mediterraneo non circolano solo portacontainers ma roll on /roll off e navi traghetto spesso di cabotaggio con le isole. In questo modo il provvedimento europeo finisce per sanzionare armatori che usano carburanti tradizionali anche quando questi non hanno di fatto alternative percorribili su larga scala, come aggiunge ancora Stefano Messina. Il che comprova che l’approccio che sottende l’iniziativa europea ha dimenticato le condizioni del mercato europeo in nome di una sorta di affermazione di un primato ecologico neo-platonico, che è del resto autistico, dato che non compara con una colpevole sineddoche olistica l’Europa nelle sue modeste dimensioni con il resto del mondo. Rendendo problematiche le condizioni operative delle stesse industrie europee indebolendone le capacità concorrenziali proprio con il resto del mondo. Con una sola via d’uscita: fare cambiare al più presto la regolamentazione europea – cioè il regolamento e la direttiva in vigore – per la stessa sopravvivenza della industria marittima europea.
Carlo degli Abbati
Professore associato di Politica economica e Finanziaria insegna Diritto dell’Unione Europea e Organizzazioni Internazionali al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento