Chi ha visto Palazzina LAF, il suo film d’esordio in qualità di regista, ispirato alla vera storia degli impiegati altamente qualificati dell’ILVA, l’acciaieria tarantina nota per le sue vicende ambientali, che nel 1997 vennero confinati e ricattati al fine di accettare il demansionamento, ne ha apprezzato non solo la regia, ma anche l’interpretazione nei panni dell’operaio Caterino che pensando di essere furbo e aggirare il sistema ne resta intrappolato. Ma Riondino – che seguiamo fin dai suoi esordi nel mondo del cinema con “il Giovane Montalbano” – non è solo un attore ma anche un attivista che a Taranto si è impegnato con il Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti. E che, con questo film, ha voluto raccontarci la complessità del problema tarantino, della città e del rapporto con la grande industria.
Lo abbiamo intervistato qualche giorno fa durante la 47a edizione (ancora in corso) del Festival del film italiano di Villerupt che gli ha assegnato l’Amilcar de la Ville de Villerupt come riconoscimento del suo talento e del suo impegno nel corso della sua carriera
Palazzina LAF è il tuo debutto alla regia. Com’è nato ? Cosa avrebbe detto Alessandro Leogrande autore del libro “Fumo sulla città” (Fandango, 2013; Feltrinelli, 2022) al quale in parte ti sei ispirato ?
Il riferimento a “Fumo sulla città” sta a dimostrare la voglia che c’era di realizzare insieme ad Alessandro questo film per raccontare la storia di Taranto. Citare il suo libro era dovuto perché con lui abbiamo iniziato ad immaginare questo progetto che avrebbe dovuto ripercorrere i passaggi del libro; invece, dopo che Alessandro è venuto a mancare improvvisamente, ci siamo ritrovati soli, io e Maurizio Braucci, l’altro sceneggiatore e, quindi, il film è diventato qualcos’altro.
L’idea di raccontare questa storia nasce dalla necessità di far capire la complessità del problema tarantino, della città e del rapporto con la grande industria. Nel 2012 scoppia il caso e si parla di Taranto dal punto di vista del problema ambientale e sanitario; io però, con questo film, ho cercato di spiegare che questi due problemi sono una conseguenza di un impatto ben più grave che è quella che ha portato alla guerra fra poveri, fra lavoratori. Il film racconta la “guerra” tra due tipologie di lavoratori che non si fidano l’una dell’altra e si tradiscono tradendo anche la tradizione operaia italiana e internazionale legata alla lotta di classe. Con questo film volevo raccontare la morte della lotta di classe.
Il film fa leva sui racconti che loro mi hanno fatto. Io sono partito anche da un libro scritto da uno dei confinati “Palazzina LAF. Mobbing: la violenza del padrone”, scritto da Claudio Virtù, pubblicato con un editore locale (Archita) che stanno ridistribuendo. Lui che è uno dei confinati racconta diverse storie legate alla palazzina e mi ha fornito una lista di altri colleghi confinati. Ho raccolto diverse testimonianze, ho studiato le carte processuali e nel film non c’è niente di inventato se non il protagonista che è l’unico elemento di semi-finzione che è esistito ma non a Taranto.
Hai incontrato quegli operai? Hanno apprezzato il film? Tu stesso sei figlio di operai, attivista e cittadino. Com’è la situazione a Taranto?
Sì, lo hanno visto e mi hanno accompagnato nella promozione. E’ stata un’ottima occasione per poterli riascoltare dal vivo. Loro il film lo hanno apprezzato molto perché questo ha permesso anche una rilettura della storia. Va sottolineato che quando hanno subito questa umiliazione, agli occhi dell’opinione pubblica e degli altri operai e anche della città, erano considerati dei lavativi, erano disegnati come gente che non aveva voglia di lavorare. Passava questo tipo di narrazione, invece, questo film ha restituito ha riequilibrato la verità. Io racconto una storia del 1997 ma il parallelismo con quello che succede a Taranto oggi è evidente. Io racconto la storia di 79 lavoratori che sono stati tenuti in un luogo senza fare niente per piegarne la loro volontà.
Oggi a Taranto abbiamo circa 4500 cassaintegrati che non sono altro che i nuovi confinati che stanno a casa senza lavorare.
Arcelor Mittal (colosso industriale dell’acciaio dalla proprietà franco-indiana che, nel 2017, è diventato proprietario dell’ILVA di Taranto, ndr) ce l’avete in casa anche quì (Riondino fa riferimento all’Arcelor Mittal Lussemburgo, sede sociale del gruppo siderurgico mondiale, ndr). Sono venuti a Taranto a fare i padroni di casa e ci sono riusciti anche abbastanza bene. Ci sono riusciti perché abbiamo avuto un governo completamente inetto, un ministro (all’epoca Calenda, ndr) che ha peggiorato la situazione perché ha regalato la seconda acciaieria più grande d’Europa ai competitor più agguerriti. Sono venuti a Taranto, hanno preso quote di mercato e hanno ulteriormente aggravato la situazione non permettendo né le bonifiche né i lavori legati all’AIA (autorizzazione integrata ambientale, ndr). Poi il governo li ha ricacciati. E nel frattempo sono diventati sempre più forti.
Nessuna delle classi dirigenti dei governi che si è succeduta si è mai caricata delle scelte che vanno fatte, in un senso o nell’altro! la situazione non si risolverà senza una decisione.
Dal mio punto di vista a Taranto non si può più produrre o almeno non lo si può più fare in questa azienda. Quello che noi attivisti ci auspichiamo dal 2012 è un percorso che ci permetta almeno di chiudere l’acciaieria, quindi, un percorso lungo con un cronoprogramma specifico. Nel frattempo si potrebbero formare questi lavoratori, che sono in cassa integrazione, per fare le bonifiche, perché per es. quello che sta succedendo oggi a Bagnoli dove con la stessa azienda, stessa sorte: appaltiamo le bonifiche ad aziende spagnole piuttosto che formare i lavoratori ad una nuova professione. Quell’azienda non può produrre rispettando i parametri che l’Europa ha stabilito.
Palazzina LAF ha ricevuto tanti riconoscimenti: David di Donatello, Nastri d’argento, Ciak d’oro. Quanto sono importanti i premi per il cinema indipendente?
Prima di cominciare a vincere i premi bisogna dire che il film ha avuto una “vita importante”. Perché sì, i premi mi riempiono di gioia e mai avrei pensato a un risultato del genere, ma la cosa importante è di aver percepito interesse da parte del pubblico. Non solo degli addetti ai lavori ma dei cittadini. Avevo paura di fare un film che alla fine potesse interessare solo a pochi mentre ha interessato molti. E questo ci restituisce l’idea che forse film legati al nostro territorio alla nostra vita quotidiana, come il cinema di Petri, Scola, Germi, Monicelli, siano ancora temi importanti. Un film che diventa narrazione della nostra vita, penso ad Albanese in “Cento domeniche”, anche la stessa Cortellesi, che ci parlano di noi a casa noi professori, operai, persone.
Cosa pensi della nuova legge italiana che stringe i cordoni della borsa al cinema?
Ridurre l’accesso al tax credit immaginando dei percorsi impercorribili per produzioni, registi e progetti che non appartengono al mainstream, quindi, che non hanno grosse produzioni e distribuzioni porta il rischio che molti film che abbiamo in Italia, film indipendenti come anche Palazzina LAF non potrebbero mai trovare l’accesso ai finanziamenti.
Da Il Giovane Montalbano, passando per I leoni di Sicilia, Acciaio, Pietro Mennea, La guerra è finita fino al Il Conte di Montecristo. Quali sono i tuoi modelli di riferimento, se ci sono, cosa dignifica fare cinema nell’Italia degli anni 2000 per un giovane che viene dal Sud?
Ho cominciato insieme a un serie di coetanei che sono diventati anche miei colleghi che appartengono alla mia stessa generazione e, devo dire, che ricordo che uno dei problemi di quando ho cominciato a lavorare era legato a un “parco” attori che non brillava. Io devo essere sincero: la mia generazione e quella successiva hanno molto risollevato le sorti della cinematografia italiana. I miei riferimenti, oltre a quelli storici – ognuno ha i suoi attori preferiti, come per es., Gian Maria Volontè -, io ce li ho nei miei colleghi di oggi dei quali riconosco la capacità e la leggerezza nell’interpretare ruoli divertendosi allo stesso tempo.
E’ vero che l’idea di organizzare il concerto dell’UNO MAGGIO TARANTO venne a te con Roy Paci e Diodato?
Quello di Roma è ormai solo un concerto. La nascita del primo concerto UNO MAGGIO TA, è nato dalla necessità di riappropriarsi di una giornata che è quella della festa del lavoratori, di festa, riflessione e protesta. Il Comitato cittadini liberi e pensanti nasce nell’agosto 2012 durante una protesta, quando le tre sigle sindacali italiane insieme all’azienda (Arcelor Mittal) decisero di manifestare contro la decisione della magistratura di porre sotto sequestro gli impianti ritenuti pericolosi per la società civile.
Con un gruppo operai e pensionati decidemmo di chiedere microfono ma non ce lo diedero. Noi occupammo la piazza, occupata dalla manifestazione sindacale, per denunciare il corto circuito attraverso il quale il sindacato difendeva l’azienda che non rispettava la legge. Quel giorno nacque il Comitato di cui faccio parte. E per allargare la nostra protesta il 1 maggio dell’anno successivo, il 2013, decidemmo di occupare un’altra piazza riappropriandoci della giornata del 1 maggio. E poi, in quell’anno vennero, a suonare Roy Paci e Daniele Diodato che dall’anno successivo entrarono nel Comitato.
Hai ricevuto l’Amilcar de la Ville de Villerupt. Cosa ne pensi?
Non sapevo che questo Festival fosse così longevo e con una programmazione pazzesca. In questi giorni ho avuto modo di scoprire la passione e la dedizione che c’è dietro questo Festival. Sono contentissimo. Ho la possibilità di parlare di questo film in luoghi particolari che sono particolari perché hanno qualcosa di dire. Sono luoghi che hanno cose da dire. Quindi, si crea sempre quello scambio che per me è importante. Essere premiati in un luogo come questo è molto importante per me, perché qui ci sono gli argomenti.
Intervista raccolta da Paola Cairo (ha collaborato Maria Grazia Galati)
https://www.facebook.com/festival.film.italien.villerupt
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