In anteprima mondiale il prossimo 7 novembre alla 47 edizione del Festival du Film italien de Villerupt (Francia) e in uscita ufficiale il 20 novembre in Lussemburgo « La Fourchette à gauche », il film documentario del regista italo-lussemburghese Donato Rotunno, ripercorre cinquant’anni di storia del “Circolo” che aveva la sua sede al 107, di route d’Esch (nella capitale del Granducato) e ne analizza l’influenza che lo stesso e la trattoria “dei comunisti”- che ne faceva parte integrante – hanno avuto sulla vita politica e culturale del Lussemburgo. Dalla nascita nel 1971 ad opera di militanti italiani e sede del Partito comunista, passando per le molteplici tappe della sua storia impregnata non solo nelle vicende della sinistra italiana ma anche di quella lussemburghese, fino all’abbattimento delle sue mura, avvenuto di recente, il Circolo – intitolato al militante antifascista triestino Eugenio Curiel ucciso a Milano dai fascisti nel 1945 – ha accolto in sé molteplici anime di uomini e donne che condividevano valori di solidarietà, umanità, uguaglianza. Ne parliamo con il regista

Nella foto: Donato Rotunno. Credits: Tarantula Luxembourg

Il tuo primo contatto con il Circolo Ricreativo e culturale “Eugenio Curiel” e quali sono i tuoi ricordi legati al Circolo?

Il Circolo Eugenio Curiel è legato alla mia vita nel mondo associativo intorno al CLAE (prima Comité de Liaison des Associations d’Etrangers, oggi Comité de liaison des associations issues de l’immigration, ndr ) perché era il posto dove, finite le riunioni, si organizzavano dibattiti, incontri politici con le associazioni che facevano tutte parte della piattaforma associativa; associazioni che erano di sinistra, ma non erano tutte associazioni italiane e si trovavano lì a discutere, a mangiare. Negli Anni ’90 era il posto d’incontro delle associazioni. Un altro elemento fondamentale è stato l’evoluzione della sinistra lussemburghese che ho vissuto all’interno del Circolo. Da altermondista, passando per la spaccature del KPL, alla nascita di Déi Link, oggi Déi Lenk . Ci sono stati dibattiti fondamentali e manifestazioni. Quel luogo era un nido di pensieri, dove tutte le sinistre più o meno radicali di quella generazione si trovavano.

Come hai scelto i tanti testimoni Barilozzi, Di Bartolomeo, Grilli, Rimbau, Turmes, Wagner, solo per citarne alcuni, che nel documentario raccontano il loro legame con il Circolo ?

Innanzitutto, perché facendo parte del mondo politico lussemburghese, ne ho fatto parte e ne faccio ancora parte, tutti questi personaggi li ho frequentati all’epoca. Ho organizzato la ricerca della memoria, tramite parole diverse, in diverse lingue, in uno spettro più largo possibile non soltanto della sinistra riconoscibile, ma anche di altri partiti e ho scelto una ventina di persone che io conosco perché le ho viste lì. Le ho viste passare, nascere, crescere, discutere e poi diventare ministri, deputati e altro. Il film è la mia visione del Circolo Curiel, non è la visione del Comitato che non ha nessuna influenza. Infatti, la responsabilità del Comitato è quella di avermi cercato e proposto un progetto, in tempi brevissimi, con la speranza di mantenere una memoria viva. Poi bisognava trovare una metodologia, un modo di fare che fosse cinematografico, insomma, che mi corrispondesse. Ho scelto lo stile documentario.

Non è un film che si rivolge solo sul passato con nostalgia; è un film che pone delle domande sul futuro

L’idea di ricreare l’atmosfera del Circolo Curiel in studio è stata scelta per ritrovare questa memoria intima che permette di arrivare alle emozioni. Ho scelto di realizzare dei capitoli. E’ stato un film di montaggio importante perché avevo tante ore di discussioni. Ne abbiamo ricostruito delle tappe. La politica, la cultura, il futuro, le nuove generazioni, quello di cui c’è bisogno per trovare una nuova formula di impegno politico. Non è un film che si rivolge solo sul passato con nostalgia; è un film che pone delle domande sul futuro. Non è un film che si rivolge solo sul passato con nostalgia; è un film che pone delle domande sul futuro.

Perché hai voluto fare un parallelismo con il Coopi , il circolo svizzero che ha chiuso nel 2023?

Perché posti come il Circolo Curiel ci sono un po’ dappertutto. L’unica differenza è che “il nostro” è stato autogestito ed era proprietario della casa. Gli altri posti chiudono. A Zurigo, per es. dopo 117 anni di militanza, visto che gli affitti sono enormi, quello spazio non ha avuto più possibilità di continuare. Ce n’è un altro a Liegi, uno ad Amburgo. Ma come dice Maria Luisa Caldognetto: “Hanno funzionato per cent’anni ora non ci sono più”.

Nell’ultima serata di arrivederci (7 dicembre 2022, ndr) prima della chiusura del Circolo “E. Curiel” abbiamo cantato insieme alla musicista Susanna Buffa che venne personalmente in Lussemburgo. Come hai scelto la musica?

Ho ripreso le canzoni cantate quella sera diverse volte nel film. E poi ho scelto “Manifesto” per la mia vicinanza personale con Enriquez (frontman della Bandabardò, ndr) che ormai non c’è più. E’ stata una band  presente più volte intorno alle attività del Circolo e mi sembrava un omaggio dovuto. Oltre alle parole di “Manifesto” e la voce di Susanna che ha ripreso dei canti popolari importantissimi – 8 ore, avanti popolo e anche bella ciao, legate alla storia del Partito Comunista italiano – c’è poi la prima canzone cantata da Giovanna Marini. E anche li le parole sono importanti, infatti sono sottotitolate.

Da cittadino come vorresti fosse il nuovo “Circolo”?

Non mi interessa molto l’edificio in sé. Una delle cose essenziali che traspare dal documentario è che quel posto è nato perché persone di varie generazioni, per diversi anni, hanno condiviso ideali personali che si ritrovavano in ideali collettivi. Se questo può nascere di nuovo nel prossimo spazio sono interessato, se diventa solo un ristorante allora no. E’ stato unico. Sono molto ottimista riguardo le nuove generazioni. In un mondo diverso, con forme diverse, sta a  loro trovare i metodi di vivere il pensiero politico. La domanda è probabilmente: hanno bisogno di uno spazio fisico? Secondo me sì, se questo spazio li invita a venire.

“Persone di varie generazioni, per diversi anni, hanno condiviso ideali personali che si ritrovavano in ideali collettivi”

Se ti senti di casa, come dice Paca. Se sei di casa perché fai parte delle mura allora funziona. Questo spirito si può ritrovare. Esiste già nello sport, nelle maison de jeunesse, potrebbe anche funzionare di nuovo. Con nuove generazioni. La porta deve essere spalancata. Se rimane il comitato di una generazione si rischia che si spenga tutto. Il cambiamento è necessario.

Paola Cairo

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