Proseguiamo nella narrazione delle vicende della Sardegna passata dagli aragonesi ai piemontesi agli inizi del ‘700. Passando per l’Editto delle Chiudende e l’assassinio di re Umberto I

La dinastia dei Savoia, discendente dagli Umbertini, dal nome di “Umberto dalle Mani bianche” cui il Sacro Romano Impero riconosce all’inizio del secondo millennio la Contea alpina di Maurienne, divenuta poi contea di Savoia, si incrocia molto tardivamente con i destini della Sardegna, solo all’inizio del XVIII secolo. In realtà la dinastia savoiarda ha una ascendenza antropologica che sta alla base della geopolitica che casa Savoia perseguirà con coerenza attraverso i secoli. In realtà sono i discendenti di quelle tribù germaniche ormai romanizzate, gli Alemanni e i Burgundi, che i Romani avevano collocato sui passi alpini del Moncenisio e del Monginevro per difendere i carriaggi di trasporto dei cereali provenienti dalla Francia e diretti a Roma dai frequenti attacchi da parte delle popolazioni autoctone abitanti le vallate alpine. In epoca più recente, questa memoria storica si era tradotta geopoliticamente nei Savoia nel perseguimento di un mitico Regno delle Alpi, esteso al di qua e al di là delle Alpi, ad un tempo verso la Francia e verso l’Italia. Chiuse a nord dalla chiara resistenza del Regno di Francia le mire savoiarde si erano presto ristrette alla ricerca di una espansione verso sud, verso la penisola italiana. Poco prima dell’acquisizione della Sardegna, dopo aver già acquisito dopo il Piemonte con Oneglia nel XVI secolo un primo sbocco sul Mar Ligure, la dinastia  aveva tentato la conquista del genovese Marchesato del Finale.

L’incontro dei Savoia con la Sardegna agli inizi del Settecento è in realtà la storica conseguenza della guerra di successione spagnola, originata dalla morte nel 1700 del re di Spagna Carlo II che, sul letto di morte, aveva deciso di affidare tutto il suo impero al pronipote Filippo il quale, essendo anche nipote del Re Sole, Luigi XIV, riunendo Francia e Spagna, avrebbe minacciato con la sua incoronazione ogni equilibrio in Europa. Contro la Francia si uniscono riformando la Grande Alleanza, definita questa volta “Quadruplice”, l’Inghilterra, le Province Unite dei Paesi Bassi, l’Austria e gli alleati del Sacro Romano Impero, dichiarando guerra ai francesi nel maggio 1702 in nome dell’arciduca Carlo, figlio di Leopoldo I d’Asburgo. Si chiameranno “carlisti”. I due successivi trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714) avrebbero sancito che la Spagna, diminuita di alcuni territori andati soprattutto agli austriaci, fosse attribuita a Filippo come legittimo erede di Carlo II, con tutti i suoi domini in America Latina.

Da tutti questi complessi accadimenti, la repubblica di Genova, nel 1713, aveva acquistato il lungamente conteso Marchesato del Finale dall’Imperatore Carlo VI di Austria, cui era pervenuto dopo le complicate vicende delle diverse guerre, per 1.800.000 pezzi genovesi, ma aveva in seguito sempre dovuto badare alle ribellioni e congiure ordite nel Finalese dal Duca di Savoia Vittorio Amedeo II. Questi, avido di nuove conquiste territoriali, aveva già fatto una prima incursione a fianco dei Borboni contro l’Impero asburgico per subire nei fatti una sonora sconfitta da parte del cugino Eugenio di Savoia, comandante delle truppe imperiali. Ribellioni piemontesi si sarebbero ripetute poi nel 1726, nel 1729, nel 1732. Comunque nel 1720, alla fine della guerra di successione spagnola, il regno di Sardegna conteso fra gli Asburgo e i Borbone venne offerto ai Savoia con Vittorio Amedeo II che, aspirante al più importante Regno di Sicilia,  accetta a malavoglia solo tre anni dopo.

Poco più di quattro secoli prima, nel 1297, come sappiamo, il Papa Bonifacio VIII con il trattato di Anagni aveva concesso la Sardegna al re di Aragona dopo la guerra dei Vespri siciliani e la rivolta dei Palermitani contro la dominazione francese degli Angiò. Gli aragonesi avevano completato il possesso dell’isola solo nel 1420 dopo aver vinto la resistenza di pisani, genovesi e dei quattro giudicati sardi di cui abbiamo già raccontato. Nel 1723 il Regnum Sardiniae si unisce così agli altri stati sabaudi, il Principato di Piemonte, la contea di Nizza, il ducato di Aosta, il ducato del Monferrato e il Ducato di Savoia. Allargando il proprio dominio alla Sardegna i Savoia, dopo la proclamazione del regno di Sardegna, entravano comunque in contatto con una regione che aveva avuto un suo forte passato e poggiava con i suoi antichi Giudicati anche su di un  assetto costituzionale che anche gli Aragonesi avevano nei secoli rispettato: la Carta de Logu. I Savoia se avevano formalmente rispettato  almeno sino alla “fusione perfetta” del 1847 le particolari istituzioni storiche sarde, di fatto avevano deluso le aspettative autonomistiche dei sardi. Se come scrive Pino Aprile, “nella confederazione con gli stati di terraferma dei Savoia i sardi chiedevano di entrare alla pari e nel rispetto delle loro prerogative, incluso il vecchio parlamento feudale, suddiviso in tre rami o stamenti mentre possidenti, feudatari, e la modesta borghesia delle professioni miravano a essere associati nell’isola alle funzioni dello Stato, alla gestione del potere…. invece dal Piemonte (secondo un classico modello centralista, ndr) arrivavano funzionari di ogni ordine e grado, a ondate successive, per occupare ogni posto che valesse la pena…”. Prima ancora della questione meridionale si apriva nella storia dell’Italia pre-unitaria la “questione sarda”, la dicotomia Nord/Sud di cui il progetto di autonomie differenziate  caldeggiato dall’attuale governo di destra non è che l’ultima espressione. Era una situazione, quella sarda, particolarmente favorevole alla penetrazione delle nuove idee della Francia repubblicana. Il 28 aprile 1794 furono cacciati dall’isola il viceré e tutti i funzionari piemontesi. Il Parlamento e la Reale udienza (Suprema Corte) presero il controllo della situazione  e governarono l’isola fino alla nomina di un nuovo viceré. L’inviato governativo a Sassari Giovanni Maria Angioy marciò verso Cagliari per proclamare la Repubblica sarda ma nel 1796 l’esercito piemontese stroncava il tentativo (Angioy morirà in esilio) e sull’isola si abbatteva la restaurazione che doveva soffocare altri moti rivoluzionari scoppiati nel 1802 e nel 1812. Venti condanne a morte vennero comminate in meno di tre anni, tra cui spicca quella di Francesco Cilocco, notaio cagliaritano, impiccato a Sassari nel 1802.

Le riforme piemontesi in Sardegna furono poi inaugurate nel 1820 con il famigerato Editto delle Chiudende che privatizzava le terre permettendo a chiunque fosse riuscito a cingere un pezzo di terra non gravato da diritti proprietari (cioè la grande maggioranza delle estensioni agricolo-pastorali dell’isola) di diventarne automaticamente proprietario. Solo una diffusa opposizione popolare permetterà di ridurre l’importanza di questa iniqua riforma.

Per migliorare in qualche modo la propria situazione la borghesia sarda chiederà poi trent’anni dopo nel 1847 sotto re Carlo Alberto la “fusione perfetta” rinunziando alle proprie istituzioni e diventando una semplice regione del Regno. Ma la situazione dell’isola non migliorò. Considerata come scrive Francesco Casula semplicemente “una colonia” l’isola conobbe la mano di ferro dei dirigenti piemontesi, con tribunali speciali, procedure sommarie e misure di polizia. Seguì un periodo di dittatura militare che vide la mano dei generali Alberto La Marmora nel 1849,  del generale Durando nel 1852 nella provincia di Sassari, poi nel 1855, sino  all’anno più nero della dominazione piemontese in Sardegna, il 1899. In occasione della visita della coppia reale formata da Umberto I e Margherita di Savoia. Con uno scempio passato alla storia come la “Caccia grossa”, dal dire di uno dei tenenti che vi prese parte ”una intera società – come scrive Eliseo Spiga – si vedeva invasa e tenuta in cattività come un popolo conquistato…gli arresti a migliaia, donne, vecchi, ragazzi…Gli arrestati avviati a piedi, in catene ai luoghi di raccolta. Un sequestro di persona in grande, per fare scuola”. Migliaia di persone fatte prigioniere e in seguito prosciolte ma con uno sfregio permanente per la comunità sarda e l’economia dell’isola. L’anno seguente il re Umberto I sarà assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci venuto dall’America per vendicare gli 83 morti di Milano di due anni prima sotto le cannonate del gen. Bava Beccaris con la popolazione in rivolta  per il nuovo aumento del prezzo del pane e la Sardegna rientrerà a pieno titolo nella Questione meridionale in cui l’attenzione sarà catturata soprattutto dalle condizioni del Regno delle Due Sicilie, restando insoluta sino ad oggi. Nell’ambito di una storia unitaria italiana, in fondo mai veramente conosciuta  se non da pochi studiosi, che nasconde la profonda diseguaglianza di un Paese  mantenuta per  colpa di molti e  poggiata su di una generale ignoranza storica delle vicende autenticamente vissute dai residenti della penisola non solo dopo, ma anche prima dell’avvento del fascismo e della riunificazione del Paese. Il buco nero della storia ufficiale d’Italia che copre più di due secoli ed impedisce ancora oggi la nascita di un vero sentimento di appartenenza nazionale. Nutrendo il macabro fantasma delle autonomie differenziate.

Carlo degli Abbati

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