Dal 26 al 28 aprile, Lussemburgo sarà ancora una volta “inondata di poesia” con l’arrivo non solo del celebre festival poetico Printemps des poètes ma anche di poeti e poetesse di tutta Europa che con le loro voci daranno vita a uno scambio umano dall’impatto di inaudita forza e bellezza. L’Italia quest’anno  ha trovato il suo ambasciatore poetico in Franco Costantini, giovane e conturbante poeta che con le sue raffinatissime raccolte ha già rappresentato il nostro Paese alla Normale di Parigi e all’Università di Aix-Marseille. Il programma ufficiale del Festival è sul sito http://printemps-poetes.lu/, ma a questo calendario si aggiungono due eventi dedicati esclusivamente a Costantini: un incontro alla Libreria Italiana venerdì 26 aprile alle 17h30, per una lettura di una selezione di versi e uno scambio a tu per tu col poeta. A seguire, alle 19h15, un’originalissima Cena Letteraria nella cantina del ristorante Notaro, in un inedito intrecciarsi e fondersi di versi e sapori. Per saperne di più o per iscriversi, mandare una mail a dil.degustatori@gmail.com

Abbiamo intervistato il nostro poeta a proposito della sua visione della poesia, finendo con il ritrovarci coinvolti in una intensa conversazione sul mondo e sul senso profondo del vivere nella nostra società…

Che cosa distingue un poeta da un non-poeta?

Fortunatamente, credo niente. Tra chi pratica la poesia e chi non la pratica, forse una diversa attenzione al linguaggio

Nel pubblicare una sua raccolta di poesie, dove e a chi sogna che arrivi, prima di tutto?

Franco Costantini

Solitamente, a una persona. Penso che dietro ogni poesia si celi sempre una persona. Il resto del pubblico arriva o non arriva, è accessorio. 

Si dice che la poesia salvi l’anima. È capitato anche a lei di “curarsi” attraverso la poesia?

Non credo che le anime siano condannate, quindi non penso neanche che vadano salvate. O redente. Se così fosse, in ogni caso, di certo non sarebbe la poesia a occuparsene, non più della musica, della pittura, dei film, della religione, degli animali da compagnia. L’unica cosa che forse può salvarci da noi stessi è l’amore. Se la poesia è una forma di amore, o un mezzo per accedervi, allora perché no. 

Come immaginerebbe di avvicinare la gente (e soprattutto i bambini e i giovani) alla poesia?

Più che di un’educazione alla poesia, forse avremmo bisogno di un’educazione alla bellezza. La poesia è un linguaggio sintetico di rappresentazione e interpretazione del mondo, veicola una comprensione analogica della realtà che scopre parzialmente i fili invisibile che rilegano tra di loro le cose. Ci aiuta credo a disattivare un po’ dei filtri e degli schermi che sempre più si erigono tra di noi e gli altri, tra di noi e il mondo. Sicuramente l’educazione, familiare e scolastica, gioca un ruolo fondamentale, ma quando i valori dominanti della società sono altri, radicalmente altri, è una lotta ad armi impari. 

Secondo lei, è immaginabile rendere la poesia “utile”? Potremmo immaginare un mondo, una società, in cui la poesia abbia un ruolo diverso, più “fattuale” o “sociale” ?

Forse il motivo per cui esiste ancora della bella poesia, è appunto che non è utile. Viviamo forse nel momento della storia dell’umanità in cui maggiormente si è imposta e normalizzata una visione puramente utilitarista e materialista del mondo, delle relazioni, del corpo umano; lasciamo alla poesia la sua inutilità. 

Quanto al ruolo sociale, quello è un altro discorso. Parlare dell’inutilità della poesia, della irrilevanza del suo ruolo sociale, ma soprattutto letterario, della sua perdita di valore pubblico a partire dagli Anni ‘70 circa, senza parlare delle trasformazioni del contesto socio-economico e politico che hanno accompagnato e favorito queste evoluzioni non ha senso. La scomparsa della figura del poeta va di pari passo, almeno in Italia, con quella dell’intellettuale, nell’accezione piena del termine che ancora se ne poteva avere fino a una quarantina di anni fa. 

Il problema non è che nessuno legge la poesia; nessuno ha mai letto la poesia, in generale, anzi in numeri assoluti probabilmente oggi si legge più la poesia di cento o trecento anni fa, non fosse altro che perché nella popolazione, il tasso di alfabetizzazione e l’accesso al mercato culturale si sono immensamente accresciuti. 

Il problema appunto è che se ne fa una questione quantitativa; il sottinteso è: nessuno legge la poesia, quindi nessuno compra i libri di poesia, quindi la poesia non genera profitto, quindi è inutile. Il che è vero. Ma la cosa grave non è questa, perché di poesia sola, nessuno si è mai arricchito. 

Ciò che conta è che a nessuno importa niente della poesia. Possiamo immaginare una società in cui la poesia riacquisterebbe (ammesso che lo abbia mai avuto) un ruolo centrale? Forse; sospetto che già esistano nel mondo, in paesi magari distanti dal nostro paradigma di vita occidentale, dei luoghi in cui la poesia viene intesa e praticata differentemente. Per quanto riguarda la nostra vecchia Europa, proviamo a liberarci da un sistema socio-economico ingiusto, violento e prevaricatore, di riscoprire l’umanità e il rispetto per ciò che vive, e credo che già le cose potrebbero andare molto meglio. 

Isabella Sardo

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