di Carlo degli Abbati*
SUDAN IL MOSAICO ETNICO
Già condominio anglo-egiziano dal 1899 il Sudan è divenuto indipendente dal 1° gennaio 1956. Dopo le dittature del gen. Ibrahim Abbûd fra il 1958 e il 1964 e del gen. Ja’far Al-Numeyri (1969-1985) il paese è ritornato sotto un regime militare con il colpo di stato di ‘Umar Hassan al-Bashîr del 30 giugno 1989 e l’avvento del Fronte nazionale islamico, emanazione dei Fratelli Musulmani, di Hassan al-Turabi e Omar al-Bechir, con l’obiettivo di reislamizzare l’intero Sudan, comprese le popolazioni cristiane e animiste del sud. In seguito si ebbe la trasformazione in governo civile nel 1993 a guida del NCP (National Congress Party) durato sino al colpo di stato militare del 2019.
Da allora la situazione del paese è rimasta sospesa. La dichiarazione costituzionale del 4/17 agosto 2019 aveva previsto la formazione di organi provvisori in attesa di nuove elezioni. L’organo supremo è il Consiglio sovrano del Sudan costituito di sei militari e sei civili, a cui deve rendere conto il governo, mentre manca un vero e proprio Parlamento dato che il Consiglio legislativo di transizione non è mai stato insediato. Di recente, la guerra interna scoppiata il 15 aprile 2023 fra le forze armate sudanesi (FAS) capitanate dal gen. Abdel Fattah Abdelrahman Al-Burhane e la struttura paramilitare delle Forze di Intervento Rapido (FSR) condotte dal gen. Mohammed Hamdan Daglo, detto Hemetti, ha provocato una delle piu’ gravi crisi umanitarie del continente africano e minaccia la stabilità dell’intera regione. I due generali avevano nel 2021 raggiunto un accordo per un’azione comune di rovesciamento del governo civile istaurato dopo la caduta di al-Bashir. Ma la recente prospettiva di un inquadramento delle SFR nell’esercito regolare hanno acuito le tensioni fra i due schieramenti. Dopo quasi nove mesi di conflitto il quadro del paese è totalmente frantumato. L’esercito regolare di Al-Burhane non controlla che una parte esigua di territorio fra il Mar Rosso e il Nilo Azzurro oggi incentrata su Port Sudan. Le truppe paramilitari ben equipaggiate possono contare sui mezzi finanziari accumulati dal 2013 con l’invio di mercenari nello Yemen, il contrabbando dell’oro per conto degli EAU e i saccheggi di cui si fanno responsabili. Il SFR controlla in gran parte la capitale Khartum e la zona occidentale del Darfur e avanza nel Kordofan assicurandosi le vie di approvvigionamento con Libia, Ciad, repubblica Centro-Africana. Con dei contingenti soprattutto arabi i membri delle SFR sono visti come dei miliziani tribali che difendono degli interessi clanici e proseguono nel Darfur la pulizia etnica iniziata nel 2003 dai miliziani Janjawid.
Il Sudan, secondo paese in estensione dell’intero continente africano dopo l’Algeria, con 1.844.797 km2, ha una popolazione stimata di oltre 45 milioni di ab. che costituisce un mosaico etnico di 19 etnie divise in 597 sottogruppi. Le componenti principali sono gli Arabi 40% (Kababish, Abbala), i Nubiani 10%, i Beja 7%, i Sudsudanesi 30% di cui Niloti (Nuer, Dinka, Schilluku, Jur, Annak, allevatori), Nilohamiti nomadi, Sudanidi, Africani neri non sudanesi (Fur e Nuba). Con una popolazione in maggioranza musulmana, 90,7% , ma con confessioni minori cattoliche, 3%, animiste, 2,8%, protestanti 2,1%.
Dopo un periodo in cui il richiamo all’islam aveva giocato come fattore di unificazione durante il periodo di governo islamista di al-Bashir e il riferimento ideologico alle predicazioni di Hasan al-Turabi il paese è ritornato alla sua frantumazione tribale. Le regioni meridionali sono state per decenni teatro di una sanguinosa guerra civile iniziata dal movimento Anya Nya fra il 1955 e il 1972 e poi continuata con lo SPLA (Esercito Popolare di Liberazione del Sudan) braccio armato del movimento SPLM sino agli accordi di Nairobi del 2005 e il riconoscimento del governo autonomo del Sudan del Sud. Movimenti autonomistici come il JEM (Movimento per la Giustizia e l’Equità) sono stati attivi nel Darfur dove dal 2003 popolazioni locali come i Massalit hanno formato oggetto di persecuzioni e di pulizia etnica da parte dei miliziani arabi Janjawid che in parte si ritrovano nelle formazioni delle SFR. Nelle regioni del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro una frazione del SPLM ha ripreso le armi dal 2011. La guerra interna ha prodotto in nove mesi piu’ di 12.000 morti e lo sfollamento di 7 milioni di persone di cui un milione hanno cercato rifugio nei paesi vicini come il Ciad. La possibile concretizzazione in Sudan di una evoluzione di una situazione alla libica inquieta le cancellerie. Posto all’incrocio fra il Sahel e il Corno d’Africa, confinante con paesi già teatro di conflitti un Sudan destabilizzato potrebbe coinvolgere l’intera regione e essere all’origine di correnti migratorie di grande portata. Nella confusa situazione del paese si puo’ anche distinguere il “teatro delle ombre” dei paesi esterni dal Ciad che ospita le truppe francesi allontanate da Mali, Burkina Faso e Niger che si sono anche dimessi dalla CEDEAO- la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale- l’Egitto, gli Emirati e la stessa Russia, oltre agli Stati Uniti che progressivamente riprendono nella regione un ruolo che sembrava abbandonato sin dati tempi di Obama. Eppure il paese attraversato dal corso del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro potrebbe configurarsi in condizioni di stabilità politica come il vero granaio dell’Africa e contribuire alla sicurezza alimentare dell’intero continente. Oltre al cotone prodotto nelle pianure della Gezira il Sudan produce per l’esportazione sesamo, arachidi, datteri, banane, pomodori, agrumi, canna da zucchero, sorgo, miglio, mais, frumento, manioca. E’ anche il primo esportatore al mondo di gomma arabica ricavata dall’Hashab (Acacia Senegal). Il paese possiede anche riserve di petrolio nelle regioni meridionali (Muglad, Abu Jabra, Heglig) collegate da oleodotti alle raffinerie di Khartum, El-Obeid, Port Sudan. Ma nel paese si estraggono anche oro, cromite, sale, manganese. L’industria sudanese comprende invece i settori di trasformazione, zuccherifici, oleifici, distillerie ma anche industrie tessili, cementifici ed una grande centrale idroelettrica. Ma il quadro di instabilità politica rende problematico lo sfruttamento delle reali risorse del paese.
Encadre La Repubblica del Sudan con 45,6 milioni di ab. (stima 2021) su una superficie di 1.844.797 km2 ha una densità abitativa di 24,72 ab./km2. Ha conosciuto una regressione progressiva dell’indice di sviluppo umano -HDI- passato dall’0,514 del 2018 allo 0,508 del 2021. Nelle classifiche del PNUD il paese è oggi collocato al 172° posto sui 191 paesi censiti, fra i paesi a Basso Sviluppo Umano -LHD-. Presenta un PIL di 35,151 Miliardi di USD (2020) e un PIL pro-capite annuo di 3.575 USD (in PPA 2017) nel 2021 che è stato in effettivo di appena 773 USD nel 2020. Dal 2014 (0,342) non è disponibile l’indice di Gini in vigore nel paese. Per fare un confronto nel 1997 il PIL pro-capite era invece piu’ elevato, a 3.619 USD (in PPA 2017). Nelle attività economiche l’agricoltura costituisce il 21,5 % del PIL, il settore secondario il 21%, il settore terziario il 57,5 %. In termini di forza lavoro, l’attività principale è costituita dal settore terziario con il 43,8 % degli attivi, mentre un altro 16,2 % è attivo nel settore secondario, mentre il settore primario dà lavoro al 39,9 % della popolazione attiva.
Il paese oltre ad una buona produzione cerealicola e di agrumi, cui si aggiunge la produzione di cotone (al-Gezira), presenta dei giacimenti di petrolio nelle regioni meridionali del paese (Muglad, Abu Jabra e Heglig) collegati da oleodotti alle raffinerie di Khartum, El Obeid, Port Sudan. Nel paese si estrae anche oro, cromite, manganese, sale.
La aspettativa di vita alla nascita è salita in media dai 49,73 anni del 1990 ai 65,26 del 2021, 67,87 anni per le donne e 62,74 per gli uomini. La fecondità è di 4,3 (2020) e la mortalità infantile è del 39,9 per mille (2020). La scolarità attesa è in media di 7,94 anni nel 2021 D 7,74 U 8,14. La scolarità effettiva è di 3,82 anni nel 2021 D 3,42 U 3,82. Nella difficile congiuntura conosciuta dal paese il debito estero è salito nel 2020 a 22,954 Miliardi USD. Il paese ha conosciuto nel 2021 una alta inflazione interna, 359,1 %, mentre la disoccupazione riguarda il 19,8 % della popolazione.
Il bilancio dello Stato è stato per il 2020 di in Sudanese Pound Uscite 759.925 mil. Entrate 568.003 mil., con un deficit di 25,2 %. (1 USD = 601 Sudanese Pound).
Sulle componenti attuali del bilancio non si hanno informazioni probanti. Il paese contava nel 2018 il 39,3 % di analfabeti.
La spesa pubblica per la sanità era nel 2019 del 1,0% del PIL.
Altri indicatori sociali riguardano l’accesso all’ acqua potabile del 60,4% della pop. (2020); il consumo di energia elettrica: 306 kWh/ab. (2019), la disponibilità di calorie ab./g.: 2.586 ( 2019-2021); l’emissione di CO2 /ab.: 0,43 t. (2021); disponibilità di tel. 3 pe 1000 ab. e di cell. 802 per 1000 ab. (2020).
Le statistiche di genere sono invece regolarmente fornite al PNUD. Il GDI (Gender Development Index) e il GII (Gender Inequality Index) sono stati rispettivamente nel 2021 di 0,870 e di 0,5531, entrambi in progressione rispetto ai valori registrati nel 1990, 0751 e 0,746 rispettivamente.
Bibliografia consigliata
–DONALD FEATHERSTONE, Khartoum 1885. General Gordon’s Last Stand, Praeger, 2005
–IAN KHNIGHT-RAFFAELE RUGGERI, British Infantryman vs Mahdist Warrior: Sudan, Osprey, 2021
–RICHARD COCKETT, Sudan: Darfur and the Failure of an African State, Yale Un. Press, 2016
*Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.