“Gli attori sono come soldati. I soldati temono il nemico; gli attori temono il pubblico. Paura dell’insuccesso. Paura di dimenticare. Paura dell’arte.” Alan Bennet in scena a Milano
Ne Il vizio dell’arte la poesia sta a Wystan Hugh Auden come la musica sta a Benjamin Britten, interpretati rispettivamente da Ferdinando Bruni ed Elio de Capitani, entrambi personaggi della celebre opera di Alan Bennet in programma all’Elfo Puccini di Milano dal 10 Maggio al 2 Giugno. Lo spettacolo ci racconta da molto vicino e con estrema criticità la vita del poeta britannico, il quale, tramite il suo eccessivo carattere, le sue espressioni colorate prive di filtri e velature e le sue inclinazioni omosessuali, quest’ultime rappresentate in parte da una giovane, sfrontatata e curiosa marchetta (Alessandro Bruni Ocana), scatenò all’epoca grande sgomento. Una vita la sua, circondata da personalità che ci aiutano a capirne in modo singolare e dettagliato il suo labirinto interiore e le fattezze del mondo esterno che lo circondano, che lo hanno un tempo ardentemente ispirato, accolto e acclamato e dal quale oggi si sente invece escluso e dimenticato: dal suo vecchio amico musicista e compositore, nonché collaboratore, (amante e confidente) Benjamin Britten, ad Humphrey William Carpenter, (Umberto Petranca) in futuro biografo del poeta. L’opera di Bennet ricorre a una forma di “teatro nel teatro”,e in questa trasposizione un autore polemico (Michele Radice), un’assistente dalle mille risorse (Ida Marinelli), un musicista (Matteo de Mojana) e un tecnico di sala (Vincenzo Zampa), insieme a de Capitani, Bruni e Francesco Frongia (quest’ultimi due alla guida della regia) riescono nell’impresa dell’autore: si spezzano e mitigano i rigidi ritmi di un’opera così fittamente articolata. D’innanzi al pubblico tutti sono attori che a loro volta si fanno interpreti di un’altra storia. Un testo figurato su due dimensioni. La finzione nella finzione. E mentre ogni personaggio lotta sul palco per imporre la propria essenza e le proprie intenzioni distintamente l’uno dall’altro, l’imperativo categorico di questa’opera si manifesta: ognuno è “prigioniero della propria arte” e “schiavo del proprio vizio”, che, se non soddisfatto costantemente, rischia di divenire ossessione. “Devo ancora lavorare, altrimenti chi sono?” (esclama Auden, ormai sull’orlo del fallimento). Tutti devono essere assecondati e guidati, “Questi sono gli attori, bambini”, spiega Ida Marinelli . Come soldati infatti, temono il nemico e la guerra, ma ne sono dipendenti. Dunque, come il poeta deve scrivere, il musicista deve comporre e il biografo deve raccontare, l’attore, deve per natura e necessità solcare il palco ed esibirsi per sé e il suo pubblico. Il vizio dell’arte, una tematica “inflazionata”, ma resa in modo ineccepibile da coloro che hanno e stanno continuando a scrivere le pagine del nostro teatro contemporaneo.
Sonia Cerrato