Lunedì 6 marzo 2023 al Centre Català de Luxembourg si è svolto un interessante incontro con una traduttrice e un traduttore che hanno tradotto opere letterarie in lingua catalana. Come entrambi hanno premesso, la traduzione letteraria non dà pane, come molte altre attività ad alta intensità di creatività
La traduttrice Esther Tallada Seco, laureata in traduzione e interpretazione e docente di scuola secondaria, negli ultimi cinque anni si è impegnata nella traduzione dall’inglese di opere di grande rilevanza letteraria. Tra i suoi autori George Orwell, Sherman Alexie, Angela Readman, Elizabeth Strout, Marilynne Robinson, William Faulkner e Daniel Defoe. Il suo collega Pau Vidal Gavilán è filologo, traduttore, scrittore e crea giochi di enigmistica. Ha tradotto dall’italiano in catalano grandi autori contemporanei come Tomasi di Lampedusa (Gattopardo), Roberto Saviano (tutti i libri) Federico de Roberto, Antonio Tabucchi, Erri de Luca, Gianni Rodari e altri. Va inoltre ricordato che ha tradotto una quarantina di opere di Andrea Camilleri e il suo ultimo lavoro è la traduzione di Vita violenta di Pierpaolo Pasolini.Nel corso dei loro interventi sono stati affrontati una serie di problemi e di dilemmi con cui ogni traduttore si deve misurare. Occorre documentarsi adeguatamente prima di mettersi al lavoro, eventualmente consultando specialisti. Nella traduzione si deve cogliere la dimensione stilistica adottata dall’autore, osando anche, alle volte, un aggiornamento all’uso contemporaneo della lingua straniera, magari cercando un modello di lingua letteraria. Come ha evidenziato Pau Vidal, talvolta il traduttore deve inventare nuove parole. Ma come fare di fronte a registri linguistici differenti? Il lavoro allora diventa quello di assimilarli e riprodurli. Va altresì evitato un livellamento che segua passivamente i tratti stranieri, l’apporto estero va unificato in una gamma straniante di varietà, riproducendo gli usi di tipo sociale o il gergo usato. Per esempio per tradurre la varietà linguistico-dialettale dei testi di Camilleri, Gavilánha fatto ricorso alle varietà dialettali locali della lingua catalana, anche seguendo riferimenti di tipo geografico. Nel suo lavoro il traduttore deve sì seguire il testo originale ed eventualmente riprodurre alcune della caratteristiche, per esempio la lingua secca, aspra e severa di Pasolini. Lo stesso vale alle volte anche per la punteggiatura, da seguire se l’autore la usa a fini stilistici e comunicativi, come faceva Faulkner. Il lavoro del traduttore, specialmente di quello letterario, è comunque sempre in bilico tra l’umiltà, ossia il timore perenne di aver sbagliato il senso, e l’orgoglio di presumere che il contenuto colto nella lingua straniera è quello e soltanto quello nella lingua di destinazione. Il metodo pertanto esige sempre una revisione scrupolosa, anche se spesso ci si accorge che la prima soluzione sgorgata da sola nella mente è la migliore. Ma in questo campo ogni traduttore ha i suoi metodi. Del resto la traduzione è solo un tentativo sempre inesatto di tappare il più possibile i buchi che scava la polisemia di ogni lingua in quanto strumento di comunicazione. Il traduttore è soltanto un lettore per conto di altri, è un ambasciatore che non porta pena e che giocando con le parole cerca sempre di coprire un ventaglio più ampio di significati al fine di riprodurre l’enigma della comunicazione di tipo linguistico. Per certi versi il traduttore è l’ancella dello scrittore, l’uno crea un testo, l’altro cerca di renderlo creativamente appetibile in un’altra lingua.
Antonio Dellagiacoma