Quarant’anni dopo la questione morale invocata da Enrico Berlinguer dov’è finita la responsabilità collettiva? L’opinione del nostro esperto

Nella intervista del 1981 rilasciata ad Eugenio Scalfari, Enrico Berlinguer affermava: “I partiti di oggi sono macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero.  Gestiscono interessi, i più disparati, i più contradditori, talvolta anche loschi, comunque sempre senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille…macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere: seggi in comune, seggi in Parlamento, governo centrale e governi locali, ministeri, sottosegretariati, assessorati, banche, enti. Se no, non si muovono”.

Questi propositi sembrano formulati ieri e non quarant’anni fa, se si guarda alle manovre del governo Meloni per la liberalizzazione del contante e la depenalizzazione dei reati fiscali che incontrano innanzi tutto  gli interessi dei gruppi sociali di riferimento intorno ad almeno due dei partiti del nuovo governo. Mentre il lobbysmo italiano appare come un vero Far West per l’assenza di ogni criterio di regolamentazione, Ma oltre l’Italia c’è anche l’Europa. Un’Unione europea sempre più passivamente integrata nelle scelte dell’impero europeo dell’America, priva di un esercito e di un ruolo geopolitico unitario, attestata militarmente intorno alla Polonia in pieno riarmo anti-russo condotto con il sostegno dell’Anglosfera (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada) che da un lato domanda, dal settembre scorso, alla Germania 1400 miliardi di Euro di riparazioni di guerra risalenti alla II Guerra Mondiale e dall’altro esige una no-fly-zone sull’Ucraina che se approvata farebbe della Unione un co-belligerante diretto della Federazione Russa. Un’Unione europea impegnata sul piano interno, dopo l’abbandono della economia sociale di mercato delle origini ad inseguire il culto neoliberista delle felicità private come nuovo codice etico dell’efficientismo economico. Trascurando in nome delle libertà individuali il terreno comunitario della lotta alle diseguaglianze distributive territoriali, generazionali, di genere, favorendo così la progressiva perdita di consenso dei cittadini europei intorno alla politica di integrazione. Sin dal 1997 si è sollevata la questione della scarsa democraticità del processo decisionale comunitario, del gap democratico. Quasi trent’anni dopo si deve constatare per di più la perdurante mancanza di trasparenza del mondo dei lobbisti che cercano a migliaia di orientare e condizionare il lavoro delle istituzioni europee. Lobbisti che rappresentano gli interessi di Stati, multinazionali, confederazioni di interessi, ONG. Lobbisti tollerati, favoriti, posti al di fuori di un quadro giuridico cogente basato sulla chiarezza dei ruoli, con ogni opportunità di “porta girevole” fra funzioni europee e funzioni private di ex-commissari, ex-eurodeputati, ex-funzionari.

In breve, le parole di Berlinguer ricordano l’abbandono di una scelta etica che prima che essere italiana (il recente scandalo, indicato dai media come italian job) riguarda anche i criteri del funzionamento del processo decisionale in Europa. La presidente del Parlamento la maltese Metsola ha promesso di fronte all’evidenza del Qatargate di non nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma è chiaro che i fatti di corruzione sono  stati accertati dai  servizi segreti di cinque Stati con delle procedure condotte integralmente al di fuori degli organi di controllo del Parlamento europeo, che non avevano percepito i reati di corruzione dei propri collaboratori. Nel passato delle istituzioni  europee, la Commissione presieduta da Jacques Santer si era dimessa collettivamente per molto meno. Ma probabilmente nel frattempo, in circa vent’anni, il concetto di responsabilità collettiva nelle istituzioni europee è passato largamente di moda.

Carlo degli Abbati, professore associato di Politica Economica e Finanziaria insegna Diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi di Genova

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