A volte basta “un soffio di vita” perché la nostra esistenza acquisti significato e ci faccia cambiare il nostro modo di essere

Daniele Coluccini e Matteo Botrugno hanno realizzato un delicato e appassionato film-documentario – presentato lo scorso mercoledì 9 febbraio al cinema Anteo di Milano – che racconta la storia di Lucy, la donna transessuale più anziana d’Italia. Lucy ha quasi 96 anni e un passato e una vita intensi che l’ hanno portata a diventare Lucy dopo essere nata come Luciano. Lucy è una donna forte e volitiva, ma anche combattuta e con un grande dolore: la deportazione a Dachau e l’ esserne sopravvissuta. È stata deportata perché ha disertato dall’esercito e lì ha visto tutti gli orrori che una persona non vorrebbe mai vedere. Ha dovuto portare i prigionieri nei forni crematori, anche quelli che erano ancora vivi e questo ricordo la segnerà per sempre. 

Il film inizia con il primo piano della sua mano che nervosamente accarezza una lettera. È un invito – si scoprirà dopo – a Dachau per un’ennesima commemorazione. Lucy ci andrà ma, come sempre, non vorrà vedere i forni che le suscitano un grande dolore.

La sua vita è stata segnata da questo, ma è stata anche una vita alternata a gioie e dolori: una molteplicità di vite e identità in una persona sola. Infatti, è stata prostituta, amante, amica e anche madre: aveva ” adottato” una ragazza che poi si è sposata, ha avuto un figlio ed è morta giovane. Quando ha raccontato questo episodio, gli occhi si sono velati di lacrime ed è emerso il suo lato materno.

Ha dovuto lottare contro le discriminazioni e il fatto di non essere accettata, ma non per questo si è mai arresa. 

Lucy dice di se stessa di essere un “intruglio” e che è nata così e ha dovuto accettarsi. C’è un’ autodeterminazione della propria identità.

Il film è nato da un’ intervista che le hanno fatto i due registi che, poi, sono rimasti con lei per un anno, immergendosi nella sua vita, ma rimanendone spettatori, seppur estremamente coinvolti. Hanno voluto che fosse lei a gestire il film in prima persona, aprendo il suo scrigno di ricordi piacevoli e dolorosi. E per fare questo hanno cercato di coinvolgere persone che le volessero bene e che interagissero con lei.

Il finale suggestivo a Dachau mostra Lucy, sulla carrozzina, davanti al cancello del campo da dove è cominciata, paradossalmente, la sua nuova vita: è rinata dalle ceneri come l’Araba Fenice.

Anna Violante

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