In occasione della discussione pubblica sul tema: “Conflitto, coesistenza, integrazione. Maggioranze e minoranze fra Italia, Slovenia e Croazia nell’area Nord-Adriatico”, organizzato dalle Sezioni Estere ANPI in collaborazione l’ANPI Trieste per il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, che si terrà venerdì 11 febbraio online (link QUI), intervistiamo lo storico Štefan Čok, della sezione di Storia ed Etnografia Biblioteca Nazionale e ANPI-VZPI Trieste
La legge istitutiva del Giorno del Ricordo per il 10 Febbraio (n. 92 del 30 marzo 2004, ) si propone di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Ad oggi, la “più complessa vicenda del confine orientale” d’Italia pare relegata all’ombra. Come mai?
Perché, come spesso succede con la Storia e le Memorie a essa collegate, per affrontarle bene ci vogliono empatia, impegno, tempo. Tutte cose che spesso non sono invece, purtroppo, presenti quando si decide di affrontare queste tematiche. E assistiamo così a fenomeni di superficialità, nei casi in cui vicende che sono complicate vengono affrontate senza aver prima risposto a un quesito di fondo: “ne so abbastanza per poterle affrontare bene?” e a volte anche, purtroppo, di strumentalità, quando drammi, sofferenze, vicende di quasi un secolo fa vengono usati per motivazioni che, più che alla comprensione del passato, si legano all’influenza sul presente. Non voglio però essere categorico in questo: ci sono stati, anche negli ultimi giorni, casi abbastanza evidenti di quanto ho appena detto. Ma ci sono stati, nel corso degli anni, anche esempi virtuosi di realtà vicine e lontane che si sono approcciate alla vicenda con cautela, prudenza, rigore e rispetto – forse meno conosciuti perché purtroppo la polemica fa più notizia della buona pratica. E, quindi, uno degli elementi (non l’unico e non il risolutivo, ma sicuramente necessario) è quello di diffondere le buone pratiche che esistono.
Il fatto che il governo italiano si sia astenuto dall’apporre timbri di ufficialità alla pur ricca relazione finale della Commissione mista storico-culturale italo-slovena (1993-2001) solleva qua e là perplessità o addirittura rimostranze. Ma è plausibile, al giorno d’oggi, una storiografia “ufficiale”?
Il punto non è tanto aspettarsi una storia ufficiale. Io per primo sarei contrario a un’impostazione simile. In una democrazia la storiografia non può che essere libera, di indagare ogni aspetto, anche quelli che non ci piacciono, di porre domande scomode, di mettere in discussione anche le conclusioni a cui già si è giunti, se ciò viene fatto sulla base di nuove evidenze che hanno appunto rigore metodologico. La relazione della Commissione mista è innanzitutto un testo che ha ormai 20 anni e nel frattempo un altro pezzo di quella storia è avvenuto. È un testo che come ogni testo di questo tipo ha i suoi limiti. Ma continua a rappresentare un’inestimabile opportunità per iniziare una discussione, fosse anche al caso per porle dei rilievi: ma presupposto di tutto ciò è che essa sia conosciuta. E ciò che manca a livello italiano è proprio questo: il fatto cioè che non ne sia promossa la conoscenza. Dal governo italiano non mi aspetterei mai un timbro di ufficialità su una relazione storica (non lo vorrei mai per principio). Mi basterebbe qualcosa che è al contempo molto di meno e molto di più: una circolare alle scuole per segnalare che esiste e incentivarne l’uso come strumento di discussione.
Lo stato di guerra è spesso portato avanti come giustificazione di numerose atrocità che coinvolgono soprattutto popolazioni civili. Non ritiene che un riconoscimento da tutte le parti coinvolte nel conflitto, in un’area geografica di confine (come tanti altri esempi in Europa), della tragedia umana determinata dalla guerra (e quindi della sua condanna unanime) e delle responsabilità politiche e militari di precisi comandi e apparati politici sia la vera maniera per pacificare i popoli e relegare veramente alla storia una pagina nera del novecento? La Commissione mista lo è stato in tal senso?
Negli ultimi decenni (quelli appunto non affrontati dalla Commissione) ci sono stati momenti importanti. Nel 2010, con il Concerto dei Tre Presidenti a Trieste, quando i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia si recarono in due luoghi simbolici, il Narodni dom (casa nazionale) degli sloveni, centro della vita culturale economica e politica slovena distrutto dai fascisti nel 1920 e poi al Monumento all’Esodo istriano fiumano e dalmata, entrambi a Trieste, a meno di 500 m l’uno dall’altro. In quella giornata, conclusasi con il Concerto dell’Amicizia diretto da Riccardo Muti (nella foto, ndr), i tre presidenti emisero anche una dichiarazione comune, tanto sintetica quanto efficace. Nel 2020 un altro gesto simbolico, stavolta silenzioso. I presidenti di Italia e Slovenia che si tengono per mano, in silenzio, davanti ai monumenti delle due Basovizze.
La Commissione mista è stata un altro passo in tal senso. Ma per pacificare i popoli importa non solo il rapporto con il passato, ma anche con il presente. Ovvero come sono le relazioni fra i diversi popoli oggi; se, in un’area di confine dove concetti come cittadinanza e nazionalità non necessariamente coincidono, gli studenti delle diverse scuole, per esempio, hanno a disposizione occasioni di incontro. Se chi viene in questi territori, magari proprio in occasione del Giorno del Ricordo, si chiede cosa voglia dire oggi il fatto che c’è una comunità slovena in Italia o una comunità italiana in Slovenia e Croazia. Come vivono queste comunità di minoranza e in che rapporti sono con le rispettive comunità di maggioranza. Tutti quesiti che alla fin fine sarebbero molto utili non solo per capire lo ieri; ma anche l’oggi.
Puoi segnalarci una piccola bibliografia sull’argomento?
Mi permetto di segnalare una serie di materiali che sono disponibili online:
la già citata Relazione della Commissione mista- Relazione della Commissione Italo-Slovena “I rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956”
(www.anpi.it/media/uploads/patria/2008/1/00_SPECIALE_FOIBE.pdf
www.anpiroma.org/2014/02/esodo-istriano-i-rapporti-italo-sloveni.html )
e poi una serie di materiali prodotti dall’IRSML, poi IRSREC, FVG: il vademecum per il Giorno del Ricordo, la mostra virtuale “A ferro e fuoco”, sull’occupazione italiana della Jugoslavia, e la mostra virtuale “Il confine più lungo. Dai conflitti alla riconciliazione sulla frontiera adriatica”, che è stata presentata pochi giorni fa.
Riconosco che alle ultime due ho partecipato in prima persona: le segnalo qui proprio perché il loro obiettivo era di far conoscere queste tematiche a un pubblico più vasto. Soprattutto è da capire che si tratta di tematiche che sono state ampiamente sviscerate dalla storiografia, italiana, slovena, croata e non solo: le opere che ho citato prima, infatti, non ambiscono ad aggiungere qualcosa di nuovo, si basano semplicemente sull’ampia mole di studi che in questi decenni è stata prodotta, il che mi pare la dimostrazione migliore di come la storiografia (che per fortuna a volte riesce a superare i confini nazionali e ad agire come dovrebbe agire sempre, su base transnazionale) abbia già creato delle basi solidissime: il punto è costruirci sopra edifici che anche nella fase successiva, quella della divulgazione a fasce più grandi della popolazione, mantengano lo stesso rigore.
Ravel Kodrič, Edoardo Pizzoli, Paola Cairo