Quella che un tempo era la prima abitazione diventa, per i residenti all’estero, “seconda casa”, con tutti gli svantaggi fiscali che ne conseguono. Ma alcuni politici italiani all’estero stanno cercando di porvi rimedio

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 Casa dolce, cara, casa. Chi lascia l’Italia per trasferirsi all’estero non si lascia dietro le spalle soltanto il proprio Paese. Il più delle volte, infatti, abbandona quello che era un tetto sicuro sulla propria testa che, dentro i confini natali, diventa un immobile da gestire; custode di tanti ricordi e scrigno da dover conservare e mantenere.

Così, una volta iscritti all’Aire, il mattone italiano diventa “seconda casa”, rispetto al quale il fisco riconosce obblighi precisi per i proprietari. Dall’Imu alla Tasi fino alle opportunità inserite nel Decreto rilancio: è fra questi corridoi che si dipana il labirinto fiscale di chi passa oltreconfine. Sull’Imu il dibattito è in continua evoluzione. Se, da un lato, alcuni Comuni stanno abrogando l’imposta per arginare il fenomeno dell’abbandono degli immobili e il conseguente svuotamento dei piccoli borghi che tornano a rivivere grazie al turismo di ritorno, la maggior parte delle amministrazioni locali non può fare a meno di entrate indispensabili a riequilibrare bilanci spesso in predissesto, vincolati a drastici piani di rientro o soggetti alle disposizioni dell’Ue sulla finanza pubblica italiana. Sul punto la senatrice renziana Laura Garavini, presidente della Commissione Difesa, spinge forte per l’esenzione Imu agli italiani all’estero proprio perché “sarebbe utile per tante località minori, spesso al Sud. L’apporto dei concittadini emigrati alle rispettive comunità di origine – sostiene – è una boccata d’ossigeno per tante località. Non possiamo lasciarci sfuggire un capitale umano ed economico di questo valore”. Per quanto riguarda la Tari, la tassa sui rifiuti, già la legge stabilisce che ne sono esenti i pensionati iscritti all’Aire e possessori di un unico immobile in Italia che non risulti locato o dato in comodato d’uso.

Sul fronte delle agevolazioni, invece, nel Decreto rilancio in discussione tra Montecitorio e Palazzo Madama, spunta l’opportunità di poter usufruire, anche per gli italiani espatriati, dell’Ecobonus e degli interventi antisismici con la cessione del credito d’imposta e uno sconto in fattura del 110%, ovvero la possibilità di apporre miglioramenti statici o energetici alle proprie case praticamente a costo zero.

Per la deputata piddina Angela Schirò, quindi, “il vantaggio di cedere il credito allarga la platea dei potenziali beneficiari, facendo rientrare i soggetti incapienti (tra cui i nostri connazionali) che non possono sfruttare le detrazioni già previste per lavori di efficientamento. Vale la pena sottolineare – specifica – che, data la complessità della materia e l’intreccio di norme, il decreto affida a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate il compito di definire le modalità attuative delle disposizioni. È quindi utile e prudente attendere i chiarimenti e le istruzioni dell’ente pubblico per informare al meglio i nostri connazionali che sono interessati ai lavori di efficientamento energetico e antisismico sulle case di loro proprietà in Italia”. Insomma, c’è attesa, ma anche tanta curiosità per un provvedimento destinato a favorire gli italiani sparsi per il mondo e a migliorare, sotto ogni profilo, anche il contesto urbanistico del nostro Belpaese.

 Rino Strambelli

 

UN INCUBO CHIAMATO IMU

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Mentre in Parlamento ancora si discute sulle opportunità inserite nel Decreto rilancio come gli Ecobonus e i vantaggi sull’efficientamento antisismico degli immobili, a tenere banco è sempre l’Imu, un’imposta sulle “seconde case” che riguarda fortemente anche gli italiani residenti all’estero. Il dibattito intorno alla tassa sulla casa è in continuo aggiornamento, ma per adesso le norme vigenti impongono scelte spesso dolorose per il portafoglio dei proprietari. Assodato che non debbano pagare quei pensionati che hanno portato a termine la loro carriera contributiva in Paesi diversi dall’Italia, sempre a condizione che l’immobile non sia locato o dato in comodato d’uso, la situazione è diversa per quanti, pensionati in Italia e successivamente emigrati, continuano ad avere proprietà che restano, ovviamente, assoggettate ad aliquota ordinaria deliberata dal Comune in cui l’immobile è ubicato. Ogni città, attraverso propri regolamenti, stabilisce le quote di pagamento. La situazione, quindi, si complica per quelle realtà immobiliari presenti sui territori in cui gli enti locali soffrono condizioni di forte difficoltà economica, con piani di riequilibrio o dissesti dichiarati che obbligano al calcolo massimo dell’aliquota. Per pagare l’Imu, quindi, bisogna effettuare un bonifico in favore del Comune in cui trova sede il proprio bene. La prima rata è scaduta lo scorso 16 giugno, ma, considerata l’emergenza Covid-19, ogni Comune ha scelto (anche in base alle proprie esigenze di cassa) se prorogarla o meno. Il saldo, invece, è previsto per il prossimo 31 dicembre. In caso di ritardato pagamento viene applicato un tasso di interesse pari allo 0,05%. (RS)

 

 

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