Dal 7 al 17 marzo torna per la sua nona edizione #LuxFilmFestival, uno dei più importanti festival cinematografici in Europa che premia il meglio del cinema internazionale nella categoria fiction, documentario e pubblico giovane. Quest’anno a rappresentare l’Italia ci sono Notti magiche di Paolo Virzì e Selfie di Agostino Ferrente, intervistato da PassaParola.
Agostino, a 5 anni da “Le cose belle”, torni con Selfie in un altro quartiere difficile di Napoli, il Rione Traiano, mettendo in evidenza tutti i limiti delle istituzioni. Napoli è questo o è anche questo?
Alessandro e Pietro sognano una vita semplice, “normale” in un contesto sociale dove la normalità implica quasi automaticamente l’arruolamento nella criminalità organizzata. Tirarsene fuori è un po’ come disertare. Il rione Traiano è un quartiere come tanti nelle periferie di Napoli ma anche in quelle di altre metropoli nel mondo: senza scuole adeguate, teatri, cinema, biblioteche. I ragazzi hanno solo motorini e sale da biliardo, come quella di fronte alla quale è stato ucciso Davide, e la presenza dello Stato è testimoniata quasi esclusivamente dalle camionette blindate delle forze dell’ordine, mentre la politica sottobanco flirta con i capi zona per racimolare voti alle elezioni. Se le forze dell’ordine individuano dei ragazzi che girano in motorino senza casco in un rione borghese della città, pensano alla bravata di qualche ragazzino figlio di papà e certo non gli sparano… Se succede nei quartieri come Traiano pensano subito a dei criminali. Anche se Davide e i suoi amici lo fossero stati, certo questo non giustificherebbe che gli si possa sparare alle spalle: per qualsiasi infrazione o presunto reato esiste (ancora, per fortuna) un codice penale che prevede e garantisce un processo equo e con possibilità di difendersi e non la licenza di giustiziare un minorenne seduta stante. Tragedia che sembra la copia delle tante che avvengono non mondo soprattutto ai danni di ragazzini Black. Ma Davide non era neanche un delinquente, ma un ragazzo incensurato e onesto. Eppure, a poche ore dalla notizia il tritacarne del pregiudizio sociale aveva già sentenziato che si trattava di un potenziale delinquente e che quindi, in fondo, era solo “uno in meno… ” . Se ne era parlato molto tra giornali e talk show e mi aveva colpito la facilità con cui un bambino colpevole solo di avere l’età sbagliata nel momento e nel posto sbagliati, per molti era diventato il colpevole e non la vittima. Certo che Napoli non è solo questo. Ogni volta che presentavamo in giro per il mondo il nostro film “Le cose belle”, ambientato in vari quartieri popolari di Napoli, c’era sistematicamente qualcuno dal pubblico che interveniva precisando che “Napoli non è solo questo“. “Ovviamente“, rispondevamo noi… C’è anche la Napoli meravigliosa del centro storico, quella che il Comune cerca di curare perché ovviamente è quella più attrae maggiormente i turisti e che è anche ben rappresentata su i media. E se non non dovessero bastare quelle rappresentazioni – aggiungevo io per scherzare – c’è Trip Advisor.
Chi faceva tali interventi tra il pubblico era spesso un ragazzo di buona famiglia inviato a studiare in qualche università prestigiosa, che magari nella sua vita a Napoli non ha mai messo piede in uno di questi quartieri periferici nei quali tra l’altro vive il 70% della popolazione complessiva (di cui spesso, purtroppo, il restante 30% si vergogna e tende a rimuove freudianamente). Oppure si trattava di qualche buon padre di famiglia che è emigrato per cercare una vita migliore, a cui dispiace che nel mondo venga mostrata un’immagine meno edulcorata della propria terra d’origine (che certo non avrebbe abbandonato se gli avesse fornito le possibilità di sopravvivenza che è stato costretto a cercare altrove). Si, le istituzioni dovrebbero prevenire, investendo sul recupero dei ragazzi a rischio, aiutandoli. Alla minima difficoltà questi ragazzi abbandonano la scuola perché non hanno aiuto. I genitori non hanno la cultura necessaria per aiutarli per i compiti a casa e neanche le possibilità economiche per pagare loro delle ripetizioni private. Se poi un ragazzino cerca di imparare un mestiere, come succede a Pietro, il nostro protagonista che sogna di fare il barbiere, nessuno si prende il rischio di fargli fare un apprendistato, a causa dei gravosi vincoli burocratici che ciò comporta. E alla fine se questo ragazzo prenderà altre strade davvero la colpa è da attribuire solo a lui? Del resto poi le retate delle forze dell’ordine saranno inutili, perché sarà come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. E una ragazzino portato in carcere, non diventa onesto, perché le prigioni italiano non redimono, anzi, come si suol dire, sono le università del crimine. Entri perché hai rubato una bicicletta ed esci, arruolato dalla criminalità organizzata, pronto a commettere reati ben più gravi.
Con un iPhone in mano in modalità selfie, i due attori sono anche operatori, sempre sotto la tua regia. Non solo scegli il punto di vista dei protagonisti ma lo porti all’estremo della tecnica. Ci racconti come nasce questa idea di narrazione?
Dopo “L’Orchestra di Piazza Vittorio” e “Le cose belle”, avevo giurato di non realizzare più documentari. Avevo sofferto troppo entrando nelle vite delle persone coinvolte: non so fare documentari diversamente, ho bisogno di immergermi a fondo nella realtà che voglio raccontare, fino a diventarne parte. Non so realizzare documentari “d’osservazione”, raccontare in maniera “neutra”. No: io sprofondo nella realtà di cui mi innamoro e non voglio più “raccontarla”, voglio modificarla, “ripararla”. Poi sono venuto a conoscenza della storia di Davide, sedicenne innocente del Rione Traiano a Napoli, ucciso da un carabiniere mentre era in motorino perché scambiato per un ricercato. A poche ore dalla notizia il tritacarne del pregiudizio sociale aveva già sentenziato che si trattava di un potenziale delinquente e che quindi, in fondo, era solo “uno in meno… ” Accettai questa nuova sfida. Ma non volevo realizzare un’inchiesta sulla dinamica dell’accaduto, Anche volendo non ne sarei stato capace, preferivo raccontare il contesto nel quale quel dramma si era consumato. Per questo ho cercato i ragazzi del rione che avevano la stessa età di Davide quando era stato ucciso. Era capitato a lui, ma poteva succedere a loro. Tra i tanti incontrati, ho scelto Alessandro, garzone nel bar, e Pietro, aspirante barbiere. Partendo dalla storia di Davide, volevo che raccontassero sé stessi e il loro universo; e per farlo al meglio, gli ho chiesto di usare lo strumento a loro più congeniale: il cellulare. Volevo dare la parola a ragazzi che solitamente non ce l’hanno, invitandoli a filmare se stessi attraverso la protesi tecnologica con cui hanno più dimestichezza di quanto possa averne un cameraman professionista. Ma, appunto, non avevo intenzione di subappaltare, anche solo in parte, la regia del film, non cercavo un documentario “partecipato”: volevo che i miei protagonisti fossero al tempo stesso anche cameraman, col compito di auto-inquadrarsi, da me guidati, guardandosi sempre nel display del cellulare come se fosse uno specchio: in cui rispecchiare sé stessi e il mondo alle loro spalle.
Questo anche perché i quartieri popolari di Napoli sono stati raccontati in lungo e in largo. Anch’io nel mio piccolo l’ho fatto, cercando “le cose belle” nascoste tra le rovine, i fiori che resistono, nonostante tutto. La mia nuova ossessione era raccontare gli sguardi di questi ragazzi, concentrandomi non su quello che vedono, che oramai tutti conosciamo, ma sui loro occhi che guardano.
E contrariamente a quello che si insegna nelle scuole di cinema, ho chiesto ai ragazzi di guardare (guardarsi) sempre in macchina. Volevo un film fatto interamente di sguardi, per raccontare un mondo in cui la criminalità non è una scelta, ma un destino che ti cade addosso appena nato, dove i ragazzi hanno solo motorini e sale biliardo, dove lo Stato è presente solo con le retate delle forze dell’ordine, dove vivere una vita normale è la cosa meno normale che ci sia.
Il film sarà proiettato domenica 10 marzo alle ore 10 presso il Kinepolis Kirchberg, lunedì 11 marzo ore 21 al Cinè Utopia e martedì 12 marzo alle ore 16 al Cinémathèque.
Stella Emolo