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In occasione di WOMEN IN JAZZ 2019, tre concerti del Duo Fil Rouge by Fil Rouge Quintet che si terranno in Lussemburgo per celebrare la festa della donna, 

giovedì 7 marzo, ore 20 al Café littéraire Le Bovary (1 Rue de Laroche, 1918 Luxembourg) – Telefono: 27 29 50 15, info QUI

venerdì 8 marzo, ore 20 al Cherubino Ristorante (Rue de Turi, 3378 Livange) – Telefono: 26 52 26 26, info QUI

sabato 9 marzo, ore 19 alla Società Dante Alighieri – Lussemburgo (25 Rue Saint Ulric, 2651 Luxembourg) –  Telefono 691 72 04 96 (Paola Cairo), info QUI

organizzati da PassaParola Mag in collaborazione con Café littéraire Le Bovary, Cherubino Ristorante, Società Dante Alighieri – Lussemburgo  e TRAVEL MUSIC AGENCY  riproponiamo l’intervista realizzata da Paolo Travelli e pubblicata sul numero di PassaParola Mag (aprile 2018).

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Fil Rouge Quintet: fra il jazz e la chanson francese

Incontriamo le autrici e interpreti de L’inconnue, una moderna e personale reinterpretazione del jazz che ci riporta alle fumose atmosfere dei locali parigini delli Anni’60.

Maria Teresa Leonetti e Manuela Iori: una grande amicizia, una grandissima intesa artistica. Ci raccontate com’è nata e come si è sviluppata dal punto di vista musicale?

Maria Teresa:

Io e Manuela ci siamo conosciute nel lontano 2011 e piano piano abbiamo iniziato a conoscerci, anche musicalmente, iniziando a suonare insieme brani di musica dal mondo di artisti come Cesaria  Evora,  Souad Massi, Hindi Zahra, per citarne alcuni.

Un giorno abbiamo iniziato a lavorare ad un progetto funk. I nostri incontri sono diventati regolari e ad un certo punto la voglia e la “necessità” di scrivere ha preso il sopravvento, e così è nato Fil Rouge e sono nati i brani del primo disco “L’inconnue”.

Un suono ricercato, variegato che non perde mai d’intensità emotiva – grazie anche a musicisti del calibro di Nicola Cellai alla tromba, Ettore Bonafé alla batteria, Michele Staino al contrabbasso- con sonorità molto coinvolgenti e mai scontate e cantato in lingua francese. Come avete costruito il vostro suono?

Manuela:

Diciamo che il nostro suono più che averlo costruito si e` definito da solo strada facendo, ed è il prodotto,  secondo me,  principalmente di tre elementi, elaborati negli anni tramite ascolti e vari progetti musicali.

Da una parte il repertorio di musica dal mondo che abbiamo eseguito per tanto tempo con Maria Teresa; si trattava prevalentemente di artiste femminili, già citate precedentemente: Cesaria Evora, Souad Massi, Hindi  Zahra; poi c’è il filone jazzistico: in particolare, di fondamentale importanza e di ispirazione sono stati  Michel Petrucciani, il contrabbassista Avishai Cohen, per il quale nutro un amore profondo soprattutto come compositore, il sassofonista John Zorn, ma anche Horace Silver e Yann Tiersen, seppur quest’ultimo fuori dal mondo del jazz; l’ultimo elemento è quello della chanson française e dei suoi principali interpreti, Edith Piaf e Jacques Brel.

Da questi 3 elementi nasce l’anima del progetto, jazz world appunto, il quale non poteva che essere coronato dalla lingua francese, che ne è il fil rouge!

Un grosso arricchimento per il progetto è stata sicuramente l’aggiunta delle percussioni che in un primo momento era mancata, la quale ha soddisfatto il nostro desiderio e la nostra esigenza di dare al progetto un sapore ancor più etnico ed appunto world. In questo il maestro Ettore Bonafé della cui presenza sono onorata essendo stato il mio  insegnante di batteria e percussioni durante gli studi a Siena Jazz, ha contribuito sicuramente in maniera creativa; anche Michele Staino e Nicola Cellai hanno dato il loro forte contributo nell’arrangiamento delle proprie parti.

Ciò che ci ha guidato in questa ricerca è stato il desiderio di trovare dei colori caldi, che potessero rispecchiare il calore e l’atmosfera dei paesi che si affacciano al Mediterraneo, in maniera mai scontata; per questo siamo ricorsi anche all’utilizzo del rap, per dare al sound un sapore europeo/ underground.

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L’inconnue è un titolo molto evocativo. Qual è la vostra parte sconosciuta e che proteggete dalle influenze esterne?

Maria Teresa:

Beh, difficile dire quale sia la parte sconosciuta…  Sicuramente L’Inconnue, la sconosciuta, è una donna e l’album riflette questo essere donna nelle varie sfaccettature che esso comporta. Il titolo dell’album è importante e significativo per me , ovviamente. Parla del sentirsi sconosciuti agli occhi di qualcuno che ci ama ma che per qualche ragione non riesce a cogliere il nostro essere nella sua completezza, in tutte le sue sfumature. Come biasimarlo!  Del resto neanche noi ci riusciamo nei nostri confronti. E proprio questo sentirsi estraneo suscita vari sentimenti e pensieri che poi si ritrovano nei brani, perlopiù autobiografici, e nei personaggi descritti, persone realmente conosciute che fanno o hanno fatto parte della mia vita.

La scelta del francese poi nasce sì da un amore profondo per questa elegante e splendida lingua, ma certamente sopperisce ad un desiderio profondo, quasi inconscio, quello di proteggere l’intimità del raccontato presente in ogni pezzo: la riservatezza e la voglia di prerservare il proprio sentire, come fosse uno scrigno, viene così soddisfatto dall’uso di una lingua che non è la mia madrelingua.

Ogni traccia di questo disco, che mi ha colpito fin dal primo ascolto, è una sorta di acquerello sonoro accostabile in termini poetici alla musica cantautoriale brasiliana e per altri ovviamente collegabile alla raffinatezza dei jazz club transalpini. Da cosa traggono spunto i brani che lo compongono?

Manuela:

Il termine acquerello mi piace molto,  perché coglie in pieno l’esigenza di descrivere e rendere in chiave musicale il calore dei colori del Mediterraneo: il rosso, il giallo, l’arancio…credo sia così per tutti, la prima immagine che visualizziamo quando ascoltiamo musica sono i colori.

È passato ormai un po’ di tempo da questo vostro primo eccellente lavoro, cosa dobbiamo aspettarci dai FIL ROUGE QUINTET nel futuro prossimo?

Maria Teresa:

In realtà abbiamo già due pezzi nuovi che suoniamo nei nostri live e stiamo lavorando su altri due, in questo periodo.

I brani finiti sono: una suite dal titolo La suite des promeneurs solitaires e Les villes cachées. Il primo è una sorta di quadro composto da quattro temi, ciascuno dei quali dedicato a una persona diversa che non c’è più ma che continua a vivere e a passeggiare sulle nuvole e nei miei pensieri.

Il secondo brano parla invece di tutti coloro che, attraversando il Mediterraneo per arrivare nella nostra Europa, hanno perso la vita. L’idea del brano nasce da un’immagine: un giorno vidi per caso in tv l’opera di un artista nordico che ha creato delle statue di uomini,  donne e bambini africani con movenze che rappresentano la loro quotidianità e il loro essere vivi, e le ha calate in fondo al mare. Le città nascoste parla proprio di questo: di tutti coloro che hanno terminato la loro traversata in fondo al mare, immaginandoli vivi e indomiti nella loro ricerca di una vita migliore.

 Manuela:

Aggiungerei, vivi, ancora forti e vigorosi, cantare e danzare tra i colori  della loro musica e delle loro tradizioni.

Diciamo che una prima evoluzione c’è già  stata, la si percepisce chiaramente  negli ultimi 2 brani posteriori al disco, che comunque stiamo eseguendo già da un paio di anni. Questo nasce da un’esigenza di ricerca musicale e se vogliamo di complicazione; vi è quindi l’utilizzo di tempi dispari e di scale e armonie appartenenti ad altre culture musicali, Africa e Medio Oriente in particolare, che va di pari passo con la voglia e la necessità, appunto, di ampliare il linguaggio musicale ed i suoi colori.

Paolo Travelli

La Brume
Ghir Enta 
Fistful of love

https://youtu.be/10HvvTOO3d4

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