Come si fa ad essere dotato di una semplicità sincera ed umile quando si possiede un così esorbitante talento? Bisognerebbe che Stefano Bollani ce lo spiegasse una buona volta: jazzista, musicista classico, compositore, scrittore, raro affabulatore ed intrattenitore, detentore di una intelligenza artistica a tutto tondo e fuori dal comune.
Ha aperto il concerto all’Auditorum Parco della Musica di Roma nella sala Santa Cecilia al completo, con un pezzo di sua composizione di cui neppure ci dice il nome. Da lì in poi la musica in un crescendo di entusiasmo, i suoi “fasulli” personaggi musicali attraverso i quali frulla per il pubblico strane variazioni su Mozart, standard jazz immortali e Renato Carosone. Il maestro napoletano verso il quale il debito di Bollani è immenso ed esplicito. Come Carosone (ed anche come Zappa) Bollani è il maestro capace di giocare con i generi e le convenzioni, capace di ribaltare le attese del pubblico in un attimo, con un livello esecutivo costantemente strabiliante.
Alla fine del concerto di Roma dello scorso 15 ottobre, come è ormai consuetudine nei suoi live, sono gli spettatori a decidere i bis. Tra 2800 persone che urlano il loro brano preferito non è semplice destreggiarsi. Lo spettacolo nello spettacolo.
Bollani prende qualche appunto sui brani proposti da un pubblico diviso per settori. Il risultato è un medley sconcertante di virtuosismo, intelligenza e sfrontatezza in un amalgama interpretativo riuscitissimo.
Ma Bollani non ci manda via così e, ridacchiando, riapre al terzo bis un varco di bellezza smisurato: chiude il suo concerto con Mattinata di Ruggero Leoncavallo.
Un paio di ore in compagnia di un alieno (il musicista ha anche scritto un libro sul tema della vita extra terreste!) che ci vuole far credere di esser come noi.
Valentina Pettinelli