“Ho fatto ciò che ho fatto, sono stato giudicato, sono stato messo in un angolo… Qualcuno mi ha chiesto come mi sentissi e cosa provassi. Qualcuno ha provato a dirmi come mi sarei dovuto sentire e cosa avrei dovuto provare. La verità è che ho superato un limite che non andava nemmeno sfiorato. Il peso morale da sostenere spesso è stato insopportabile”.
Scrive così della sua esperienza personale Michele Maggio, nel racconto “Cemento Urlante” vincitore del Premio Goliarda Sapienza “Racconti dal Carcere 2016”.
L’ho incrociato quasi per caso, mentre stavo ritirando il pass per entrare alla cerimonia della sesta edizione del premio che, grazie allo sforzo di Antonella Bolelli Ferrera e il contributo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, del Dipartimento per la Giustizia Minorile, della SIAE e inVerso Onlus, si è tenuta il 7 novembre presso il Carcere di Regina Coeli di Roma.
L’ho sentito sussurrare agli addetti all’identificazione “sarei un autore…” e quel suo contegno discreto e un po’ imbarazzato mi ha colpito subito. L’ho avvicinato, ci ho scambiato qualche parola e la promessa di una successiva intervista. Poi lui ha vinto e ha anche mantenuto la promessa.
Ecco cosa mi ha raccontato.
Come nasce il tuo amore per la scrittura? Il premio Goliarda Sapienza è stato uno stimolo o già coltivavi questa passione?
Sono sempre stato un grande lettore, piuttosto “onnivoro”, dai fumetti ai classici alla saggistica. Paradossalmente da questo punto di vista l’esperienza carceraria mi ha fatto ritrovare del tempo da dedicare ai libri, che credo siano qualcosa di più di un rifugio dal mondo esterno, anzi… costituiscono un’apertura mentale che deve necessariamente essere il preludio ad un’apertura fisica. Ti dovrebbero in qualche modo preparare alle esperienze della vita ed essere sfruttati per crescere. La scrittura è stata una conseguenza del piacere della lettura. Il premio Goliarda Sapienza in testa ed altri concorsi letterari per detenuti, hanno dato il via ad una certa attitudine che forse già avevo, anche se sarebbe fuori luogo parlare di talento. Antonella Bolelli Ferrera (che non finirò mai di ringraziare) ha insistito molto sull’ applicarmi, mi ha praticamente costretto ad abbandonare quell’indolenza che un poco mi caratterizza quindi direi che il premio è stato più di uno stimolo, lo definirei decisivo, un vero invito per mettersi alla prova anche contro se stessi.
Nel tuo racconto c’è uno “spaccato” di vita all’interno del carcere. C’è qualche episodio che, nel tuo periodo detentivo, ti ha colpito maggiormente? Ti va di raccontarlo?
In otto anni sono veramente tantissimi da ricordare, persino troppi da trascrivere. Mi piace citare i (pochi ma buoni) volontari che ci venivano a trovare in carcere e ci coinvolgevano in attività varie. Anche all’interno di un penitenziario la vita continua inesorabilmente a scorrere e persino nolenti o indifferenti, gli avvenimenti ci travolgono, piacevoli o tremendi che siano.
Nel carcere si possono nascere sentimenti di amicizia vera tra i detenuti?
Considero tuttora il carcere una grossa parentesi all’interno della mia vita e potrei annoverare tra gli amici, badando bene al significato del termine, almeno tre persone proprio per gli episodi che ci hanno visti protagonisti insieme in carcere in diversi periodi. Però, per reciproco rispetto, decidemmo tempo fa che il nostro tempo uniti sarebbe terminato col fine pena. Da parte mia intendo rispettare l’accordo, mi sembra più onesto questo di false ipocrisie del tipo ” ti scrivo, ti telefono, fuori ci vedremo…”. I contesti di interazione troppo diversi (carcere/vita reale) secondo me farebbero facilmente saltare i meccanismi che in precedenza invece erano funzionali al rapporto.
Come ci si sente ad essere il vincitore della VI Edizione del Premio Goliarda Sapienza?
Più imbarazzato che orgoglioso… Personaggi importanti che ti stringono la mano e si complimentano con te. È strano anche rilasciare interviste. Ne sono felicissimo e manterrò questi ricordi tutta la vita. Però ogni tanto ho la sensazione che stia capitando tutto a qualcun’altro e non a me.
E invece è proprio tutto vero. Buona vita, Michele!
Gilda Luzzi