“Apriamo i nostri occhi per guadare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia, della fraternità”.
E’ questa una delle riflessioni che Papa Francesco ha preparato per i pellegrini che varcheranno la Porta Santa della Carità presso l’ostello intitolato a don Luigi Dio Liegro in via Marsala a Roma. L’invito che il Santo Padre rivolge a tutti i fedeli è quello di riuscire a vivere il passaggio della Porta della Carità come occasione profonda di conversione, condivisione e servizio. Ed è per questo che dopo il percorso più strettamente religioso, che prevede una introduzione attraverso un video che racconta la storia della Caritas romana, una riflessione intima all’interno della chiesetta e infine il passaggio della Porta Santa, ci si sposta presso una delle strutture Caritas di Roma.
Oggi presto il mio servizio presso la mensa del Colle Oppio. Sono stata assegnata alla prima sala, quella dove avviene la registrazione e la firma di presenza da parte degli ospiti e, in qualche modo, posso godere di un inaspettato punto di vista privilegiato. Davanti a me passano davvero tutti, uno a uno, posso vederli in faccia e magari cercare di capire qualcosa di loro attraverso i loro occhi, i loro sorrisi, i loro silenzi, le loro chiacchiere e i loro mugugni.
Dall’apertura alle 11 l’afflusso è costante e ininterrotto. Sono bianchi, neri, italiani, stranieri, islamici, cattolici, donne, uomini, giovani e vecchi.
C’è chi ride, chi saluta, chi abbassa gli occhi quando incontra i miei, chi fissa sempre il pavimento anche mentre entra in mensa, chi ha lo sguardo fisso nel vuoto, chi si sente accolto e coccolato dal mio “ciao!”.
C’è chi mi stupisce per la sua voglia di vivere, chi invece dalla sua espressione lascia trapelare tutto il suo dolore. C’è chi mi sorprende per quanto è giovane, chi per quanto è anziano e Giuseppe che mi sconcerta un po’ perché ha proprio la mia età. C’è chi mi meraviglia con un imprevedibile “buon servizio!” rivolto a me e chi per firmare non usa la penna attaccata allo spago che gli porgo ma che tira fuori una MontBlanc gelosamente custodita nel taschino interno di una giacca troppo leggera per essere gennaio.
C’è chi non comprende quello che dico ma che risponde con un sorriso al mio “buon appetito” e allora penso “ha capito!”. C’è chi mostra senza problemi i segni della sua povertà, indossando abiti sporchi e stracciati e c’è chi veste quasi elegante e mantiene i modi e l’aspetto di un tempo che fu.
C’è chi nella grafia mi fa pensare a una grande preparazione culturale e chi quando firma fa una x o una sola lettera dell’alfabeto, o una stella come Moussa. C’è chi si sente povero e non ha problemi a mostrarlo e chi, invece, cerca di rimanere ancorato alla vita reale ostentando cuffiette e telefono.
C’è chi, come una tartaruga, si porta dietro una intera casa e chi non ha nulla da portarsi dietro se non la propria sofferenza che i volontari con il loro amore incondizionato cercano almeno di attenuare.
Io, grazie a tutti loro, mi porterò dietro una grande esperienza di solidarietà, condivisione e fratellanza che non rimarrà unica e che consiglio davvero a tutti.
Per quelli che vogliono varcare la Porta Santa della Carità e a seguire il servizio per i poveri ci si può prenotare (singolarmente o in gruppo) sul sito della Caritas di Roma al seguente link http://www.caritasroma.it/2015/12/porta-santa-della-carita/
Gilda Luzzi