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I suoi folti capelli ricci, ora diventati bianchi, sono la sua caratteristica inconfondibile: ecco Ninetto Davoli, lo si riconosce immediatamente quando arriva a parlare con il pubblico della Cinémathèque di Lussemburgo, prima della proiezione del film “Uccellacci e uccellini”, lo scorso giovedì 3 dicembre.

I modi spicci, la parlata romana, il fare genuino e la simpatia ci coinvolgono dal primo istante e ci danno l’impressione che in questo signore di mezz’età viva ancora il ragazzino di borgata protagonista di tanti film di Pierpaolo Pasolini. Un fiume in piena Ninetto Davoli, non appena gli viene dato un microfono in mano non la smette più di manifestare la sua devozione e il suo affetto: “Per me era tutto: un fratello, un padre, un amico…” per l’intellettuale scomparso quarant’anni fa a cui la Cinémathèque ha dedicato la retrospettiva di questo mese.

Dopo la proiezione Ninetto Davoli si trattiene ancora a lungo a rispondere alle tante domande del pubblico, da quelle più leggere inerenti al film e in generale ai suoi esordi del tutto casuali nel mondo del cinema, alle sue origini umili e alle tante possibilità che il cinema rappresentava e che lo hanno spinto a continuare verso questa strada.

Ninetto riesce ad essere divertente anche quando ci racconta le sue iniziali perplessità a partecipare ad Uccellacci e Uccellini e a recitare per la prima volta di fronte alla telecamera, perplessità scomparse una volta conosciuta la cifra del compenso…, fino alla fatidica, inevitabile domanda sul mistero della morte di Pasolini: in quel momento l’atmosfera cambia completamente, Davoli si fa serio e con lo sguardo cupo smentisce la teoria del complotto collegata al romanzo incompiuto “Petrolio”. L’attore afferma con certezza che “Pierpaolo era incappato in una serata sbagliata”, nelle mani di chi era mosso dal desiderio di “far del male a un omosessuale” e sollevando il dubbio su un’eventuale coinvolgimento di terze persone nell’omicidio.

Una serata piacevole e interessante quella trascorsa in compagnia di Ninetto Davoli; ne viene fuori il ritratto di un allievo devoto al suo maestro, che per sua stessa ammissione fa fatica a misurarsi con il mondo criticato da Pasolini. Grazie alle sue parole e ai suoi racconti, sentiamo tutti più vicino l’artista e intellettuale di origine friulana, e non possiamo fare a meno di sentirne oggi la mancanza per una morte prematura e ancora avvolta dal mistero.

Alberta Acri

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