Non viaggiano più da tempo con le valigie di cartone, nè fanno le lunghe traversate oceaniche per raggiungere la “Merica”. Ma arrivano ancora, anche nel Granducato di Lussemburgo, tanti italiani carichi di aspettative e speranze. Le stesse che i nostri antenati avevano nel cuore quando partivano dalla Penisola per fame. I nostri compatrioti partono, oggi, spesso per disperazione, per insofferenza. E nelle loro valigie c’è lo stesso carico di delusione che accompagnava i vecchi migranti raccontati in tanti film e cantati nelle canzoni.

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Si sente sempre più spesso parlare in italiano mentre camminiamo in strada sulla Grand rue o da Auchan, si incontrano e si conoscono perchè sono amici di amici, approdati in questo lembo di terra europea quasi sempre per caso. Ma non per caso è nata la scelta di emigrare, di espatriare da una Terra che non lascia quasi più speranze a chi vi abita. Le speranze di cambiamento per una vita migliore si assottigliano come, forse in molti di noi si assottiglia la volontà di crederci.

E’ faticoso per tutti all’inizio. Lo è stato per chi è venuto a lavorare in miniera nel secolo scorso. Lo è stato per l’ondata migratoria italiana degli Anni ’50-’70, quando si partiva con la consapevolezza di un buon posto di lavoro nelle banche o nelle istituzioni europee. E anche nei primi anni del 2000 quando si espatriava alla scoperta di una nuova vita, per fare un’esperienza internazionale e sfruttare i diplomi e le lauree italiani.

Ma lo spirito di attesa di allora è lo stesso di oggi. E quando si arriva, anche oggi, nel 2013, è forte il desiderio di rendersi protagonisti della propria vita. Per non subire più un sistema che ci vorrebbe succubi ai compromessi e alle ingiustizie. Con la consapevolezza che solo attraverso il lavoro ci si rende indipendenti e solo grazie all’indipendenza si rafforza il proprio desiderio di cittadinanza, di giustizia, di solidarietà.

Dalla Sicilia, da Milano, dall’Abruzzo, dalla Puglia eccoli, dunque, i nuovi italiani che approdano nel Granducato. Così come Francesco De Gregori e Giovanna Marini cantavano Sento il fischio del vapore del mio amore che va via, mamme, padri, nonni, famiglie intere vedono i propri figli partire e si interrogano sui perchè si debba continuare ad emigrare. Mentre si cercano definizioni politicamente corrette per definire i nuovi migranti: talenti o cervelli in fuga, espatriati, nuovi expat, qualcuno calcola che l’Italia butta dalla finestra oltre 100mila euro per ciascun giovane professionista che lascia il nostro Paese. Mentre si aprono dibattiti sulla stampa nostrana appena esce un nuovo dato di quanti partono per non tornare, nella rete nascono nuovi siti e blog che danno consigli, informazioni, segnalazione per chi ha deciso di cambiare vita.

Mentre in Lussemburgo i presidenti di alcune Associazioni, non solo regionali, ci raccontano dei curricula che ricevono per email, entriamo in un noto bar cittadino (gestito da italiani), proprio nel momento in cui arriva una telefonata di un ragazzo che cerca lavoro e chiede la possibilità di un impiego.

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Cosa si lasciano gli italiani alle spalle, perchè scelgono di partire?

«In Italia avevo una Famiglia con la F maiuscola, che ho ancora e che avrò sempre – ci racconta a cuore aperto Claudio Chirco, avvocato palermitano con alle spalle un Master in diplomazia e relazioni internazionali e un internship all’Ambasciata d’Italia a Washington -. Vivevo tra Cinisi e Palermo (come la canzone i 100 passi dei Modena City Ramblers) che sono un paesino ed un paesone, ero conosciuto da tutti, conoscevo tutti e forse tutto. Sarò banale, forse, ma abitavo a 2 minuti dalla spiaggia, in una gran bella casa con centinaia di metri di terreno e coltivazioni attorno che mio nonno prima e mio padre poi mi hanno insegnato ad amare, palmo dopo palmo. Questo in Italia ce l’avevo e qui sono sicuro che non l’avrò mai. Lo sapevo, lo so e voglio andare avanti per la mia strada: So che all’inizio sarà dura – continua l’avvocato- ma mi piacciono le sfide e l’idea del sacrificio per raggiungere un obiettivo. Le strade in discesa non le ho mai percorse, meglio quelle pianeggianti e le salite, forse le più belle».

Profondamente insoddisfatto dalla situazione professionale e da quella politico-economico-sociale del Paese, Claudio, che è arrivato da pochissimo tempo insieme alla sua compagna Angela dice: «L’alternativa sarebbe stata l’impegno politico concreto, me l’hanno chiesto ma ho scelto di rifiutare. Non sono il tipo adatto per i compromessi e la politica italiana vive solo di questo. Non esiste meritocrazia, non esistono servizi, non esiste voglia di cambiamento, non esiste l’amore per il bene comune. Esiste solo l’interesse per il proprio orticello ed il proprio tornaconto, unica cosa per cui si vive, secondo me, in Italia. Non ci sono più stimoli, ti senti “tagliare” le gambe ogni volta che dici o pensi che qualcosa si potrebbe e si dovrebbe fare, perché capisci e ti rendi conto che, alla fine, a tutti sta bene quello che hanno, piccolo o grande che sia. Ci sia accontenta e non si aspira a migliorare sia singolarmente sia come comunità». 

 

Chissà cosa risponderebbe il nuovo presidente del consiglio Enrico Letta all’avvocato Chirco? Chissà cosa avrà intenzione di fare, nei fatti, per onorare le parole che ha pronunciato nel suo discorso in aula lo scorso il 29 aprile: «Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero»?

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Certo, il Lussemburgo appare come il paese dei balocchi in confronto alla Penisola. «Sono molto grata a questo Paese perché mi ha permesso di avere quello che fino a un anno fa mi sembrava un sogno impossibile: essere economicamente indipendente, nonostante io sia solo una stagista» afferma Sara M. di Vasto (CH). Laurea in Filosofia, dopo aver mandato con insuccesso curricula in mezza Europa è stata chiamata per uno stage nella ditta italiana che produce il più famoso prodotto spalmabile del mondo e dopo 6 mesi è approdata in una ditta americana. «La forte difficoltà a trovare un buon lavoro in Italia ha contribuito in qualche modo ad alleggerire il mio senso di colpa nei confronti della mia famiglia, che un po’ si aspettava questo nuovo trasferimento, perché vivevo già all’estero».

I connazionali si scontrano, a volte, con i limiti di una città piccola e ancora forse, troppo provinciale. In particolare è sugli orari i dei negozi che puntano il dito o sul grigio perenne del cielo. Ma quando il cielo grigio e la pioggerellina fine lasciano il posto al sole, soprattutto nei mesi più caldi, si vedono molte persone che passeggiano o mangiano, durante la pausa pranzo, nei parchi della capitale, che costituiscono una cintura verde della città. Si estendono dalla valle de la Pétrusse a sud, fino alla valle dell’Alzette a nord est. Qui relax ed aria pura sono un privilegio per tutti.

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«Apprezzo l’organizzazione, la tranquillità del posto, il verde e la multietnicità di questo Paese, però è un po’ troppo piccolo, lato che può avere risvolti negativi oltre che positivi– dice Livio L. – Sapri (SA) laurea magistrale alla Luiss in Finanza da 1 anno in Lussemburgo. Mi sono traferito qui per disperazione dato che in Italia non si riesce a trovare lavoro, nemmeno gratis. Oltre al sole e al mare sento ovviamente la mancanza della mia famiglia e delle melanzane in bottiglia di mia nonna!».

Disperazione. Che a volte diventa rabbia. Per un futuro che lì non c’è mentre quì è tutto da costruire. Da soli o in coppia gli italiani cercano stabilità economica e serenità. Vogliono sottrarsi al destino di precarietà che attanaglia ormai ben 3 milioni di disoccupati in Italia. E se mi volessi sposare? Si chiede Luca Bassanese ne La canzone del laureato «Dovrei fare un mutuo ma non ho le credenziali. Chi può dare quattrini ad un esistenza precaria»? Mentre, quì, per esempio, molti dei 106 Comuni del Granducato, se ti sposi con rito civile, offrono il rinfresco ai novelli sposi e ai loro ospiti.

«Al momento la mia priorità è continuare a studiare il francese – dice Rita C., ragioniera –  per integrarmi meglio nella quotidianità lussemburghese e per propormi per dei colloqui di lavoro». Rita C. ha già vissuto a Lecce, Milano e Ferrara ed è arrivata da qualche mese per raggiungere la figlia. La decisione di partire l’ha condivisa con la sua famiglia che pur con grande dispiacere, ha compreso la sua necessità di ricercare possibilità diverse che l’Italia non offriva più. 

Cosa sognano i nuovi espatriati?

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Sognano di farsi semplicemente una famiglia come Livio L. che esprime il desiderio di sposarsi e avere dei figli o come Francesco L. di Capo D’Orlando (ME), da 1 anno nel Granducato che precisa: «Desidero crescere professionalmente, avere una vita tranquilla senza preoccuparmi di arrivare a fine mese….»

Gli italiani che si scrivono all’AIRE (dati al 1 gennaio 2012) sono circa 500 in più ogni anno. Assolutamente in minoranza rispetto ai neo arrivi portoghesi e, invece, molti di più rispetto agli spagnoli.

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Il fenomeno della nuova emigrazione è stato intercettato dal Clae, la piattaforma di associazioni straniere del Granducato che, nel febbraio del 2011, ha organizzato una tavola rotonda e si è chiesta se quei Paesi che erano stati terra di immigrazione nello scorso secolo, offrendo braccia alle imprese di costruzioni, alle acciaierie e ancora prima alle miniere di ferro, siano tornati ad essere, a causa della crisi economica i  Paesi della nuova emigrazione. La risposta è stata affermativa. C’è, da un paio d’anni almeno, una ondata di italiani che rispecchia questi criteri. Famiglie o giovani altamenti qualificati con esprienze variegate.

Come Rachele Maggiolini, milanese, che racconta: «La mia scelta è stata del tutto casuale e dettata dall’opportunità lavorativa che mi si offriva. A posteriori, direi che il Lussemburgo è, per chi come me ama le lingue e il confronto con altre culture, un microcosmo per molti aspetti unico». La Maggiolini ha una laurea in  Scienze internazionali e istituzioni europee e una seconda laurea in Traduzione e interpretazione. Nel 2010 decide di fondare, assieme a Christian Tognela, un magazine dedicato ai viaggi e alla cultura del viaggio, NoBordersMagazine.org, nominato per due anni consecutivi tra i 10 migliori siti di viaggio italiani.

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Arriva nel Granducato a dicembre 2012, attratta dall’opportunità di fare finalmente ciò per cui aveva studiato: occuparsi di traduzione per le Istituzioni europee. «Sono quasi sei mesi che vivo in questa micro-capitale e, facendo un bilancio altrettanto micro, sono felice della mia scelta. Mi aspetto di continuare a vivere qui – dice Rachele – finché la città avrà qualcosa da dirmi e da darmi, e viceversa. Mi sembra che, a distanza di 5 mesi dal mio arrivo, ci siano ancora moltissimi aspetti da esplorare e conoscere. Per quanto riguarda il lavoro, non ho progetti a lungo termine se non quello di imparare il più possibile da ciò che sto facendo adesso e di farlo al meglio delle mie capacità».

“Ho immaginato di essere al centro dell’Europa e di poter capire cosa significa l’idea di prendere la macchina e passare il “confine”… Ho immaginato a portare i bambini al parco…Ho immaginato a parlare due-tre lingue contemporaneamente… Ho immaginato di portare i miei figli a scuola e di sapere che cresceranno in un ambiente sano, moderno, stimolante, aperto…Non so se ci sono altre ragioni per cui ho scelto il Lussemburgo, so solo che non mi interessa arricchire, io cercavo dignità professionale, meritocrazia e civiltà, istituzionale e sociale. Volevo respirare l’aria di benessere che si respira qui e che nemmeno immaginavo potesse esistere”. (Claudio Chirco)

 

Paola Cairo

 

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