Nata nella regione del Lancashire, nel nord-ovest dell’Inghilterra, la Leah dopo aver concluso gli studi all’Università di Leeds, ha lavorato come maestra elementare. Oggi si dedica a tempo pieno alla scrittura, con sei romanzi all’attivo  e il settimo appena uscito in libreria.

PassaParola l’ha incontrata per parlare con lei proprio del suo ultimo romanzo ambientato sul Titanic (ed. Newton Compton) citato nella trasmissione radiofonica VoicesbyPassaParola di sabato 14 aprile 2012.

 

Leah Fleaming

Quanti anni avevi quando hai sentito per la prima volta la storia del Titanic?

Devo essere stata molto piccola. Andavo ancora a scuola quando ho visto un vecchio film in bianco e nero chiamato A night to remember (Titanic, Latitudine 41 Nord) tratto dal libro di Walter Lord. Ricordo di essere rimasta scioccata dalle scene del naufragio e dalla colonna sonora che faceva venire i brividi.

Che cosa ti ha particolarmente affascinato dell’accaduto?

Più che affascinata sono rimasta terrificata dalla morte e dalla mancanza di scialuppe di salvataggio.

Come mai hai deciso di scrivere un romanzo ispirato a questa tragedia?

Ero a conoscenza del centesimo anniversario della tragedia. Nella cittadina di Lichtfield, dove vivevo, c’era nella cattedrale la statua del capitano Smith. Ricordo bene come il nome è stato maltrattato per diversi anni dopo l’affondamento della nave e, questi due pensieri insieme mi sono sembrati un ottimo modo per cominciare.

Come mai la storia si concentra sulla salvezza di due donne? È un evento casuale o intenzionale?

Nella mia mente continuavo a vedere due donne, di classi sociali diverse, che si ritrovano nella stessa scialuppa di salvataggio Una scena di vita reale. E le vedevo anche prendersi cura l’una dell’altra creando così un legame che andava ben oltre il singolo evento e che le avrebbe permesso anche dopo, a distanza di diversi anni, di continuare ad essere unite a causa della tragedia.

Quale è stata la parte del romanzo che è stata per te la sfida maggiore?

Non essere una donna di mare e non avere alcuna nozione di nautica. Quando ho letto tutto quello che potevo trovare sulla struttura del Titanic, sul personale e sulla ciurma, ho trovato  però tutto estremamente interessante. Arrivare a Sansepolcro e continuare a seguire le tracce è stata una sfida ancora più interessante anche perché le mie conoscenze di italiano sono praticamente pari a zero. La storia mi ha portato a conoscere posti che non conoscevo e assumere ruolo che non erano mai, come quello di un cappellano cattolico nella seconda guerra mondiale.

Hai incontrato qualcuno dei protagonisti della tragedia?

Personalmente no. L’ultima bambina, Milvina Deane, sopravvissuta alla tragedia, è morta nel 2010. Ho letto molte memorie dei sopravvissuti e negli Stati Uniti ho avuto la fortuna di incontrare un uomo che ha avuto l’onore di conoscere alcuni di loro. Mi ha raccontato diversi aneddoti che mi hanno permesso di accedere ai loro ricordi  di integrare i concetti nel mio romanzo.

Hai visto il film Titanic diretto da James Cameron? Che effetto ha avuto su di te?

Sì. Una volta me lo sono goduta proprio come film; in seguito l’ho visto diverse volte per verificare i vari dettagli. Ci sono molte imprecisioni, ma ritengo che James Cameron sia riuscito a proporre lo spirito di questa tragedia epica.

Quale è il messaggio che desideri trasmettere ai tuoi lettori?

Il messaggio contenuto nel libro è quello di non perdere mai la speranza di scoprire la verità. A volte la verità arriva proprio quando non la si sta cercando. Anche l’amicizia tra donne ha una forte valenza, specialmente se è nata da eventi tragici. È quasi come per i soldati in battaglia: solo chi c’è stato è in grado di condividere l’esperienza in toto. Il resto di noi può solo immaginare e rispettare questo coraggio.

Elisa Cutullè

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