All’ultima edizione del Festival di Villerupt [Voir Naples et sourire(?)] il film Tatanka, diretto da Giuseppe Gagliardi e ispirato all’omonimo racconto di Saviano, ha ricevuto l’Amilcar des exploitantes. PassaParola ha intervistato il regista calabrese vincitore di numerosi riconoscimenti.

 Tratto dalla raccolta “La bellezza e l’inferno” di Roberto Saviano, edito da Mondadori, il film racconta la storia di un ragazzo (Clemente Russo) vissuto a Marcianise insieme ad un altro amico. I due una volta cresciuti prenderanno due strade diverse: Clemente Russo diventerà campione dei pesi massimi a Chicago nel 2007, l’amico invece diverrà un boss mafioso. Tatanka riporta sul grande schermo la storia raccontata a Roberto Saviano di come un ragazzo di Marcianise si sia preso il riscatto sulla vita attraverso l’unico mezzo che aveva: un pugno potente.

Qual è la differenza tra fare un videoclip e fare il lavoro di regista per un film?

L’approccio che ho cercato di avere nei miei videoclip è stato quello di raccontare una microstoria all’interno di quel tempo così ristretto. È necessario allontanarsi dal didascalismo del testo e invece cercare  di interpretare la storia di cui parla la canzone in un modo che va oltre le parole del brano. Ci sono tante strade per fare un videoclip: quella che a me piace è quella di poter raccontare una storiella all’interno di questi pochi minuti, che sono pochi, ma che se interpretati bene possono essere tanti.

 

Hai ricevuto molti premi. L’ultimo, cronologicamente parlando, è stato l’Amilcar des exploitantes a Villerupt. Come ti senti quando ricevi un premio? Un riconoscimento del  tuo lavoro e/o un onere che, in certo senso, ti costringe a fare di più?

Ricevere un premio è importante soprattutto perché la gestazione di un film complesso come Tatanka è sempre dura. Preparazione inclusa abbiamo lavorato al film circa due anni, comprese riprese e post-produzione. Sono due anni in cui vengono coinvolti iù di 100 persone, più di 100 professionalità che mettono il proprio lavoro nel film, si lasciano coinvolgere, non dormono.

Per cui ricevere un premio è soprattutto, il riconoscimento del lavoro di tutti. E, a livello personale,  ti sprona sicuramente a dire  che sei riuscito a capire. Il problema non è quello se vinci o meno; il problema è se riesci a capire quali errori sono stati fatti nel tuo film e nel successivo cercare di limitarli.

Dei premi ricevuti finora, quale ti ha emozionato di più?

Difficile da dire. Spesso il premio è anche solo aprtecipare ad un Festival importante, come può essere, per esempio, il Tribeca Film Festival di De Niro a cui ho potuto presentare il film La vera leggenda di Tony Vilar, un film molto “piccolo”. È stato molto importante. Come lo è anche importante ricevere quando avevo 20 anni, un premio da Nanni Moretti per un mio corto. Sono tutti premi importanti. Non per ultimo ma importante è stato ricevere il premio di Villerupt. Nel mio caso il premio della giuria formata da chi il cinema lo porta agli spettatori. I proprietari delle sale sono l’ultimo baluardo della possibilità. Il premio ricevuto per Tatanka ad Annecy, per esempio eraquello del pubblico, questo invece è quello degli addetti alla distribuzione. È come se ci fosse un riconoscimento per il lavoro che fai. Un film lo fai per il pubblico, per chi lo distribuisce, per la stampa e per la critica. Per fortuna è avvenuto tutto questo, quindi: passiamo al prossimo.

 

Doichlanda, La vera leggenda di Tony Vilar e Tatanka vedono Peppe Voltarelli come responsabile musicale. Come è nato questo rapporto?

Con Peppe ci siamo inseguiti per un po’. Io ero un fan della sua ex band Il Parto delle nuvole pesanti e lui aveva visto alcuni miei lavoretti. All’epoca c’è stata la voglia di andare a cercare la “Calabria” fuori dall’Italia e siamo andati a cercarla,  con questo primo episodio,  proprio in Germania attraverso il racconto di quelli che erano i nuovi emigranti legati alla gastronomia. Noi non volevamo fare un film che parlasse dell’emigrazione con le valigie di cartone, le fabbriche  o le miniere.  Noi volevamo raccontare questo universo divertente fatto di pizzaioli, camerieri, venditori di prodotti tipici calabresi in Germania.

Poi abbiamo fatto questo secondo atto della trilogia sugli italiani all’estero, che era La vera leggenda di Tony Vilar,  spostandoci oltreoceano a Buenos Aires e New York. Questa trilogia si completerà in futuro, chissà dove. Per ora siamo al secondo episodio.

Come è stato lavorare insieme a lui?

Sin dal 2003 abbiamo instaurato un ottimo sodalizio artistico ed abbiamo collaborato a diversi progetti. Peppe, per esempio, ha scritto le musiche per alcuni miei cortometraggi, io ho realizzato alcuni dei suoi videoclip musicali. Direi che, in qualche modo, c’è stata proprio una affinità a livello tematico; un modo di raccontarci al di fuori degli schema della “soppressata” (La soppressata calabrese è uno dei più famosi salumi calabresi. Viene fatta con carne di suino locale cresciuto con una alimentazione sana. La carne viene poi messa a stagionare in budello naturale per almeno due mesi e affumicata. Viene prodotta in due varianti: dolce e piccante, ndr).

 

Hai realizzato anche video musicali.  Ce ne parli?

Ho curato diversi videoclip: per i Mambassa, Eugenio Bennato, Roy Paci e per Patty Pravo. Per i 40 anni di La bambola, Patty ha realizzato il remake ed io ho diretto il videoclip divertendomi davvero molto.

 

Elisa Cutullè

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