Anno Domini 2011: i ragazzi suonano la sveglia ad un paese in letargo.
Nell’inverno scorso, in un Paese intorpidito e assonnato, gli studenti universitari hanno rotto il tran tran dello shopping natalizio e sono scesi in piazza contro la legge Gelmini prima, occupando i monumenti di tutte le principali città italiane e poi, dando vita ad una grande manifestazione nella quale non sono mancate né auto bruciate né vetrine in fiamme. Il dovere della politica in questo caso è quello di dare delle risposte e analizzare i motivi della protesta che, a ben guardare, non sono solo legati alla riforma del sistema universitario. Che il 2011 porti consiglio?
“Buona sera e Buon Anno a voi tutti, italiane e italiani di ogni generazione. Non vi stupirete, credo, se dedico questo messaggio soprattutto ai più giovani tra noi, che vedono avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano un’occupazione, cercano una strada. Dedico loro questo messaggio, perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia”.
E’ cosi che il presidente della Repubblica italiana ha aperto il tradizionale discorso di fine anno il 31 dicembre scorso, rivolgendosi direttamente alle giovani generazioni. Per la prima volta dopo anni, i giovani si trasformano da appendice a fulcro intorno al quale il Capo dello Stato ha sviluppato tutta la sua riflessione. Le parole che abbiamo ascoltato la sera di Capodanno, magari in modo distratto mentre eravamo presi dai preparativi del cenone, hanno delineato un discorso che possiamo definire “del tempo della crisi”. Napolitano ha guardato in faccia un’Italia smarrita e preoccupata e ha snocciolato una ad una le difficoltà del nostro paese, chiarendo che “Proprio perché non solo speriamo, ma crediamo nell’Italia, e vogliamo che ci credano le nuove generazioni, non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo. C’è troppa difficoltà di vita quotidiana in diverse sfere sociali, troppo malessere tra i giovani. Abbiamo bisogno di non nasconderci nessuno dei problemi e delle dure prove da affrontare : proprio per poter suscitare un vasto moto di energie e di volontà, capace di mettere a frutto tradizioni, risorse e potenzialità di cui siamo ricchi”. Durante i periodi di crisi è forse normale rivolgersi ai giovani perche essi rappresentano l’energia propulsiva di un paese, rappresentano il futuro e quindi, si dirà, che è naturale che Napolitano si sia rivolto a loro, ma evidentemente le proteste degli studenti, culminate nella giornata del 14 dicembre scorso, hanno offerto più di uno spunto al Presidente della Repubblica.
A cavallo tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno scorso, il mondo universitario ha dato vita ad una serie di proteste senza precedenti contro il DDL, oggi legge, predisposto dal ministro Maria Stella Gelmini, che è destinato ha modificare nel profondo il volto dell’università italiana. La protesta è corsa alla velocità di internet, i collettivi degli studenti si sono moltiplicati nelle università, i monumenti in ogni città italiana sono stati simbolicamente occupati dai ragazzi che li hanno vestiti con le loro parole: Così è successo a Torino, sulla Mole Antonelliana, a Padova, sulla facciata della Basilica del Santo, a Pisa, sulla Torre pendente, a Venezia sulla Basilica di San Marco, e a Firenze sulla cupola del Brunelleschi. Hanno appeso li le loro parole perché sentono che il mondo politico è sordo alle loro esigenze e hanno voluto srotolare i loro striscioni li dove non potevano non essere notati. E infatti non sono passati inosservati. I video degli striscioni sui monumenti hanno fatto il giro di tutti i TG nazionali e i blitz degli studenti hanno riempito le prime pagine di tutti i giornali, in un clima di scontro sempre più duro tra governo, deciso a convertire in legge il DDl il prima possibile, e gli universitari, che non arretrano di un millimetro. Questo clima ci ha accompagnato fino al 14 dicembre scorso, quando il centro di Roma si è trasformato in un campo di battaglia con vetrine rotte, macchine date alle fiamme e, come da tradizione, scontri continui con le forze dell’ordine. Mentre riflettevo sulla protesta mi sono chiesta se veramente quella rabbia era il frutto esclusivamente del provvedimento Gelmini o se invece dietro a quella violenza si nascondeva qualche cosa di più. Veramente l’oggetto della contestazione è la sola riforma dell’Università?
Io credo di no. Penso piuttosto che la legge Gelmini sia stata insieme, l’elemento scatenante e un collante eccezionale per un mondo, quello giovanile, pervaso da un profondo malessere. Quello che mi è sembrato di scorgere dietro quegli striscioni è stata la volontà di ribellarsi ad una serie di cose che impediscono oggi, ad un giovane in Italia, di guardare serenamente al proprio futuro. E Futuro è una delle parole che mi è capitato più spesso di leggere nei manifesti dei ragazzi. Vedendo quelle immagini alla televisioni l’Italia ha avuto la sensazione di svegliarsi in qualche decennio precedente ed anche alcuni commentatori spiegavano che “una protesta del genere non si vedeva dagli anni 70”. E’ veramente cosi? Io credo di no. I ragazzi che scendevano in piazza qualche decennio fa erano animati, a torto o a ragione, dalla speranza, dalla volontà di cambiare le cose, dalla convinzione che era possibile farlo. Nei loro figli oggi le speranze hanno lasciato il passo alla rassegnazione condita con la rabbia per una situazione a cui nessuno, o quasi, sembra interessarsi o prestare la dovuta attenzione.
Lo scorso novembre l’ISTAT ha reso noto che il tasso di disoccupazione tra i giovani (dai 15 ai 24 anni) è pari al 28.9% con un aumento di 0,9 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto a novembre 2009. Quei fortunati che il lavoro ce lo hanno si devono dimenare nella giungla contrattuale che prevede diverse formule, ma un unico risultato: precarietà. E precario è il lavoro, ma lo diventa anche la vita. E’ di pochi mesi fa la notizia che il presidente dell’ INPS, Antonio Mastrapasqua, nel rispondere a chi gli chiedeva perché l’INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori, ha detto:“Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Non saranno forse queste, insieme ha molte altre, le motivazioni sotterranee che hanno spinto i giovani ad andare in piazza? Non sarà che allo “scontro di classe”, di antica memoria, si sta sostituendo oggi lo “scontro generazionale”? Non sarà che per la prima volta nella storia i figli hanno avuto la certezza che staranno peggio di come sono stati i loro padri?
Questa è la situazione in Italia, situazione nei confronti della quale, forse, non si presta la dovuta attenzione. In questo caso ci si chiede dove è e cosa fa la politica? Con 314 voti a favore della fiducia e 311 contrari, il 14 dicembre 2010 alle ore 13.40, il Parlamento Italiano ha concesso al governo Berlusconi di andare avanti e intanto gli studenti avanzano su corso Rinascimento, chiusa da tre camionette blindate della polizia, al grido «branca branca branca leon leon leon». Forse l’unica soluzione per un giovane italiano è partire?
Marina Moretti