Dopo l’inizio della “operazione militare speciale” iniziata con la invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, la Federazione russa ha conosciuto nonostante le sanzioni europee una crescita costante ben superiore a quella dei paesi della UE, che sembra però subire un rallentamento rallentarsi scendendo all’1,4% nel periodo 2024/2025. In questo articolo cerchiamo di analizzare le ragioni di questa decrescita recente
Dopo il crollo dell’URSS, la Federazione russa ha conosciuto dal 1994 sino al 2022 una crescita costante, secondo i dati censiti dal PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). Oggi occupa il 64° fra i 170 paesi censiti da questa agenzia specializzata dalle Nazioni Unite e si colloca fra i paesi ad alto sviluppo umano (HDI), con l’indice di 0,832 contro lo 0,696 del 1994. Ha una popolazione di 145,4 mil. di ab. distribuiti sulla più vasta estensione statale del pianeta (17,125 mil.km2) che hanno raggiunto nel 2023 un reddito pro-capite ( calcolato in USD PPP 2021) di 39.222 USD, doppio rispetto a quello calcolato nel 1994 (USD 19.081). Ma occupiamoci dei dati disaggregati più recenti. Nel 2021, l’anno prima dell’inizio della “operazione militare speciale” la Russia aveva conosciuto una crescita annua del 4,7% con una inflazione del 6,7%, nel 2022, anno di inizio delle ostilità, invece una crescita del -2,1 con una inflazione del 13,8, nel 2023 una crescita del 3,6 con una inflazione del 5,9%, nel 2024 la crescita è stata del 4,3% con una inflazione dell’8-10%. Una crescita costante quindi, nonostante i 18 treni – il 19° è stato votato lo scorso luglio – di sanzioni europee che si sono invece rivelati un vero boomerang per l’insieme delle economie europee, come era del resto scientificamente prevedibile, date le forniture di energia a basso costo che la Russia faceva all’Europa sotto forma di petrolio, gas di tubo, ma anche di fertilizzanti e materie rare. Se osserviamo i dati della crescita nel primo trimestre 2025, siamo invece effettivamente confrontati ad un rallentamento importante della crescita della Federazione: +0,9% secondo il FMI (Fondo Monetario Internazionale) corretto in 1,4%, se valutiamo lo “scivolamento annuale” confrontando i dati 2025 a quelli dello stesso periodo del 2024.
Cerchiamo di analizzare le cause profonde di questo rallentamento che sembra manifestarsi in modo molto rapido. Il che implica la ricerca di un approfondimento dei vari componenti della realtà economica e finanziaria russa.
Primo elemento. L’altezza dei tassi di interesse fissati dalla Banca Centrale diretta da Elvira Nabiullina, che hanno toccato il 21%, il 20% sino alla ultima riduzione del 25 luglio scorso al 18% SINO AL 17% del settembre scorso. Qui effettivamente si può dire che la paura dell’inflazione ha fatto fare, come si dice tecnicamente, alla Banca centrale russa dell’overshooting, attestandosi su di una linea troppo difensiva con la fissazione dei tassi di interesse a livelli più alti del necessario. E’ chiaro che questo livello di interesse seleziona solo progetti di investimento ad alto tasso di profitto atteso o sperato, sacrificando gli altri investimenti a più bassa redditività o costringendo il sistema bancario ad accordare dei tassi più favorevoli, correndo comunque dei rischi seri di insolvenza.
Secondo elemento. La penuria di mano d’opera. La disoccupazione russa si è mantenuta negli ultimi anni sui livelli di quella che possiamo chiamare una disoccupazione frizionale. Con una disoccupazione del 2,4% che si riduce al 1,6% nelle regioni federali e nella regione del Volga, nel 2024 la disoccupazione russa è rimasta ai ¾ una disoccupazione frizionale, la disoccupazione temporanea di chi passa da un impiego ad un altro probabilmente per prospwttive di migliore retribuzione. La immigrazione tradizionale dall’Asia centrale si è ridotta dall’inizio della guerra, fenomeno a cui si è aggiunta una limitata “fuga di cervelli” (si parla di 80.000 nel 2022)- ben lontana comunque p.e. dalla emorragia costante italiana che raggiunge ben altre cifre di giovani “educati” che formiamo per perderli annualmente in maniera sistematica, causa il piu’ basso livello salariale di Europa – ma che comunque ha inciso negativamente soprattutto nei settori più innovativi. Oggi si può stimare che il bisogno di mano d’opera non qualificata sia intorno alle 300.000 -400.000 unità, quella qualificata di altre 100.000 unità. Ci avviciniamo quindi ad un gap di quasi mezzo milione di unità. A parte le vecchie correnti di immigrazione dall’Asia centrale, Tagikistan, Kirghizistan, ma anche Uzbekistan principalmente, che potrebbero ricostituirsi, la necessità di una immigrazione “educata”, di livello elevato, potrebbe trovare in Cina e Vietnam i due principali fornitori, tenendo conto per entrambi i paesi del buon livello educativo e dell’alto tasso di disoccupazione giovanile. Oltre alla migliore accoglienza che sarebbe riservata ai giovani asiatici del Sud-est, rispetto agli immigrati di Asia centrale, per ragioni che potremmo definire storiche, legata alla nota rivolta dei basmaci dell’inizio del XX secolo.
Terzo elemento. I limiti della capacità produttiva. La Russia ha raggiunto nel frattempo i limiti della sua capacità produttiva, è all’81-82%, dovrebbe arrivare almeno all’85%. Naturalmente siamo ben oltre il 74-75% della Francia, ma qui entrano in conto ben diverse ragioni. Comunque, nonostante i progressi registrati fra il 2022 e il 2025, la Russia è confrontata ad un “muro” di produttività. Per superarlo ha bisogno di un flusso maggiore di investimenti e di immigrazioni, tenendo conto del tasso ancora negativo di crescita demografica (-0,57 nel 2024) di una popolazione di 143,9 milioni con un tasso di fertilità di 1,50 figli per donna. Evidentemente, solo i guadagni di produttività sono in grado di rafforzare l’intero quadro sociale (che in Italia si sta proprio disfacendo per trent’anni di crescita reale fra zero e uno o negli ultimi tempi addirittura negativa). Si potrebbe anche pensare di migliorare la produttività con una intensa robotizzazione, ma il paese ad oggi figura nelle classifiche solo al 25° posto mondiale nei processi di automazione e quindi una maggiore automazione non sembra prevedibile nel breve termine. Se si analizzano poi i vari comparti separatamente dobbiamo fare delle distinzioni. I più colpiti sono il comparto delle costruzioni e dei servizi. Il settore estrattivo – se si esclude la crisi del settore carbonifero dovuta alla privazione dello sbocco europeo tradizionale – che non è solo quello degli idrocarburi, si pone su livelli inferiori al 2022, ma ciò è essenzialmente dovuto all’andamento dei prezzi internazionali degli idrocarburi, con il petrolio passato dai 100-110 USD al barile di allora agli 60-65 USD di oggi, senza contare il cap di 47,60 USD previsto nel quadro del 18°pacchetto europeo di sanzioni. Nel quadro comunque di un mercato minerario molto volatile, dove se si abbassano temporaneamente gli idrocarburi sono in rialzo i metalli, mentre se passiamo al settore manifatturiero siamo sempre su una crescita di 3,4-3,5% annuo, ma se si esclude il settore automobilistico in recessione produttiva, e anche il settore metallurgico, dove il colosso Magnitogorsk ha ridotto la produzione del 18% nel corso del secondo trimestre di quest’anno. Se passiamo poi dal lato della Offerta al lato della Domanda interna, notiamo di recente in Russia una riduzione della crescita dei consumi, un indebolimento del fattore C, mentre l’aumento dei salari è stato continuo, con un +8% se ci riferiamo al primo trimestre 2025. Ma questo si spiega. Se il tasso dei prestiti al consumo può raggiungere anche il 25-26%, la remunerazione dei depositi è oggi del 15%, con un tasso centrale al 17%, un guadagno netto per il risparmiatore con un tasso di inflazione intorno al 10%. E’ un po’ questo l’effetto perverso dell’overshooting sopra menzionato, che comporta con l’aumento dei risparmi anche una riduzione delle importazioni. Se bilancia commerciale e bilancia dei pagamenti restano eccedenti, si nota infatti una riduzione delle importazioni dei beni di consumo ed un aumento del deficit statale, che sta superando del 30 % l’1,7 % previsto dal governo. E’ importante quindi che la Russia consegua un cambio di modello superando gli ostacoli costituiti dagli alti tassi di interesse, dalla penuria di mano d’opera, dai limiti della produttività arrivando a conseguire dei guadagni di produttività che dal 2,5 raggiungano il 3,5-4%. Questo mentre i livelli di investimento sono rimasti comunque del 14% nel 2024 e dell’8% nel primo trimestre 2025, contro tassi negativi registrati negli stessi periodi in paesi come la Germania, la Francia o l’Italia. Come osserva l’eminente economista Jacques Sapir, l’adeguamento della economia russa diverrà comunque indispensabile soprattutto dopo il raggiungimento della pace in Ucraina. Il successo economico della Russia prima della “operazione militare speciale” era di fatto legato ad una moneta come il rublo con un tasso debole di cambio (73,71 Rubli per USD nel 2021).
Da allora il tasso di cambio reale del rublo contro USD e Yuan (tasso che tiene conto delle rispettive inflazioni interne) è salito del 10% rispetto al 2022, mentre il paese deve far fronte alla agguerrita competizione della Cina, da cui cerca di difendersi per esempio nel comparto automobilistico con misure di effetto equivalente ai dazi (la famosa tassa di riciclo delle automobili). Evidentemente, le vie d’uscita devono passare attraverso la riduzione dei tassi di interesse che potrebbe accompagnarsi alla introduzione, secondo Jacques Sapir, di tassi multipli, per consumi, investimenti, con differenziazioni settoriali, oltre che all’orientamento a lungo termine del risparmio verso i settori produttivi. Ma conta anche conseguire, nel campo dell’educazione, un miglioramento generale dell’offerta scolastica, soprattutto nel comparto professionale, offerta che si è molto ridotta dopo il crollo dell’URSS, con i suoi tradizionali inquadramenti VUS e TUS. L’aumento degli investimenti dovrà poi anche comportare l’impegno di investire in nuove infrastrutture, in regioni asiatiche come la Siberia, per adattarsi alla durevole riduzione dell’approvvigionamento dell’Europa in idrocarburi, passato dal 45% ante 2022 sino al 20% attuale, con prospettive di ulteriore decrescita, a causa della ideologia anti-russa espressa recentemente dalla Unione Europea, e anche all’enorme aumento delle forniture verso l’Asia (soprattutto Cina ed India) che hanno da tempo aumentato in senso esplosivo il vecchio livello del 25%. Ecco, quindi, i passaggi obbligati della nuova crescita russa: riduzione dei tassi di interesse, aumento della mano d’opera, guadagni importanti di produttività, maggiori investimenti anche in nuove infrastrutture, impegno nel miglioramento in particolare dell’istruzione professionale. Quindi una situazione, quella della Federazione, che esige certo dei miglioramenti, ma va anche va vista con obiettività. Siamo comunque ben lontani dal wishful thinking di chi sperava dal 2022 una riedizione del crollo dell’URSS vittima delle Guerre stellari dell’epoca di Reagan. Al momento, la Federazione segna solo sul terreno guerre vincenti, nonostante le continue smentite dell’ informazione -propaganda occidentale. Sulla scelta della pace incombono invece i giochi differenziali stocastici delle potenze occidentali, soprattutto europee, tutta l’ambiguità del loro ruolo, prima di bloccaggio dei negoziati russo-ucraini di pace di Istanbul dell’agosto 2022 e poi di continuazione ad ogni costo della guerra, con rifornimenti d’armi ad un esercito ucraino ormai esausto, da ultimo la ricerca di un “nuovo incidente del Golfo del Tonchino” con la continua denunzia del sorvolo di droni russi, nel disperato tentativo di richiamare alle armi contro la Russia anche l’America di Trump. Posizione che al di fuori dell’Europa molti giudicano come un ideological nonsense. Da quanto premesso, risulterebbe comunque economicamente vantaggioso anche per la Russia, oltre che per l’Ucraina e per la UE, che il confronto in Ucraina non durasse indefinitamente. Ma ad una sola condizione nota: il rispetto delle condizioni minime di sicurezza della Federazione che si sono incrinate almeno sin dal 1999, con l’attacco NATO alla Serbia. Quanto agli Stati Uniti, sembrano essersi convinti con Trump che con la Russia è meglio passare dal confronto militare soprattutto voluto da Biden al business. E, diciamolo, è anche quello che sanno fare meglio.
Carlo degli Abbati
*Insegna Diritto dell’Unione Europea e Organizzazioni Internazionali al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento ha insegnato Storia dell’Integrazione europea alla Université de Lorraine-Metz
