Divenuta ormai solubile nella NATO a guida americana l’UE sta tradendo tutti i suoi principi fondatori, dalla ricerca della pace nel superamento del conflitto franco-tedesco e di ogni nazionalismo, nella visione di Altiero Spinelli, alla affermazione del mercato unico forte di 450 milioni di consumatori, oggi totalmente condizionato alle scelte geopolitiche americane, sino alla economia della conoscenza che nella visione di Jacques Delors doveva dal 2000 fare dell’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Una riflessione

Come osserva sul Fatto Quotidiano del 16 settembre scorso Francesco Sylos Labini, negli anni Novanta la storia ha preso un indirizzo diverso, fra delocalizzazione industriale verso i PVS (Paesi in via di sviluppo) e l’espansione della finanza, l’economia della conoscenza è stata trasformata in economia della rendita. “Oggi – scrive Sylos Labini  – l’Europa paga il prezzo di quella impostazione: politicamente indebolita dall’allargamento a Est che ha ostacolato la sua reale integrazione e vincolata alle strategie americane. La guerra in Ucraina ha aggravato il quadro, facendo esplodere i prezzi dell’energia e aprendo una crisi strutturale della manifattura”.

Crisi resa ancora più evidente, aggiungiamo noi, dalla totale mancanza a livello europeo del concepimento in quasi settant’anni di storia di una politica industriale, sacrificata alle indefettibili regole di concorrenza che hanno di fatto sempre impedito di incoraggiare in Europa gli investimenti innovativi secondo un mix pubblico-privato perfettamente riuscito in Cina come altrove e qui invece difettante da oltre mezzo secolo.

Ma c’è dell’altro. Avendo scelto sempre la via della coscienza della propria superiorità morale sul resto del mondo, concetto europeo che fa da perfetto pendant all’eccezionalismo americano, l’Europa e l’intero Occidente sono sempre stati incapaci di concepire la propria sicurezza al di fuori del campo della confrontazione politica e militare. Come ha scritto Owen Matthiews sul Daily Telegraph, già citato, “European leaders chose moral grandstanding over diplomacy”. Se si guarda alla storia del secolo scorso, l’URSS già negli anni ’70 attraverso gli accordi di Helsinki, sentendosi di fatto incapace di opporsi militarmente all’Occidente, indicava invece la via della sicurezza attraverso la cooperazione. L’OSCE (Organizzazione per Sicurezza e la Cooperazione in Europa) è stata l’organizzazione frutto di tale momentum.

Il mondo occidentale, nutrito invece dalla megalomania americana frutto della sua storia post-coloniale e dalla coscienza europea di essere portatrice di valori eticamente superiori al resto del mondo, entrambi 2 incapaci di percepirne invece la ricchezza e la complessità culturale, ha sempre scelto, ormai libero dal 1991 dai lacci della Guerra Fredda, la via della forza, dell’opposizione militare, del confronto con chiunque, dall’Iraq all’Afghanistan, alla Libia, alla Siria, all’Iran, non avesse ricevuto una sua preliminare unzione democratica. In questo modo, dopo tante vittime inutili e uno squilibrio imposto a dei mondi che oggi scerpati ci restituiscono correnti di immigranti senza futuro, si prepara nel mondo la fortezza di un Occidente sempre più solo, circondato da paesi ormai maggioritari nel PIL e nelle popolazioni che si organizzano (dai BRICS alla Organizzazione della Cooperazione di Shanghai) per non subire le molteplici imposizioni in campo politico, economico, militare di parte occidentale. L’aperta complicità americana ed europea nello sterminio israeliano dei palestinesi è la prova evidente di quanto i timori del c.d. Sud globale siano chiaramente fondati. Ora invece di inalberare il pavese del “moral gran standing”, la grandiloquenza morale, in America come in Europa, i governanti dovrebbero innanzi tutto interrogarsi sul mal funzionamento delle loro democrazie, in cui cresce sempre di più la distanza (deficit democratico) fra quello che i cittadini vorrebbero ricevere dalle istituzioni e quanto di fatto concretamente ricevono. Analisi precise testimoniano chiaramente come divenute ormai fabbrica di enormi diseguaglianze le democrazie ultraliberiste occidentali con la loro économie rentière, siano ormai oggetto di un rapidissimo approfondirsi del gap democratico. Invece con scelte che qualcuno ha definito di “dispotismo democratico”, l’Occidente continua a concepire la propria sicurezza come confrontazione, non come cooperazione o negoziazione con diversi che possono anche avere ragioni altrettanto plausibili di quelle da lui vantate.

Fabbricando continuamente nemici della superiorità dei propri valori, in questo aiutati dal quasi monopolio dei vari complessi militaro-industriali sulla vita politica dei paesi occidentali e quindi sull’informazione delle masse. Di fatto ponendosi sulla via di un progressivo fallimento seguendo una traiettoria che è il risultato della metamorfosi cognitiva inaugurata quasi mezzo secolo fa dalla illusione unipolare cullata negli Stati Uniti dopo il crollo dell’URSS. Lasciamo alle parole di Sylos Labini la valutazione dell’Europa di oggi, la nostra Europa. Scrive: ”L’Europa è rimasta intrappolata in una duplice gabbia: da un lato una visione ideologica del libero mercato che ha affidato ad inesistenti meccanismi autoregolatori (i parametri di Maastricht, ndr) la distribuzione delle risorse; dall’altro la subordinazione a strategie geopolitiche americane, rivelatesi fallimentari. Per uscire da questa impasse è necessaria una scelta netta. Serve un nuovo modello di sviluppo basato su investimenti pubblici e privati in ricerca, istruzione e innovazione, capaci di restituire centralità al capitale tecnologico e alle competenze umane. Occorre una politica industriale in grado di ricostruire la base manufatturiera ed orientarla verso settori strategici come energia, digitale e biotecnologie. E’ indispensabile un‘autonomia geopolitica, che liberi il continente dalla dipendenza da agende esterne e gli consenta di affermare un ruolo autonomo nel mondo multipolare instaurando legami commerciali con gli altri paesi del sud globale, a partire da Russia e Cina.

Infine, va promosso un nuovo patto sociale. Che trasformi la crescita economica in coesione, diritti e cittadinanza attiva. Solo attraverso un radicale cambio di rotta su questi fronti i diversi Paesi europei – ciascuno con le proprie specificità – potranno tornare ad essere protagonisti, facendo della conoscenza il vero motore dello sviluppo e riconquistando le capacità di guidare il proprio destino. Solo così, in un futuro ancora molto lontano, potrà forse riaprirsi la strada verso una vera politica europea, oggi smantellata da anni di scelte miopi e scellerate”. Dopo aver passato una vita al servizio delle istituzioni e avuto il piacere di apprezzare in vita la figura del padre di Francesco, Paolo Sylos Labini, non ci sentiamo di dover aggiungere altro.

Carlo degli Abbati*

*Insegna Diritto dell’Unione europea e Organizzazioni Internazionali al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento ha insegnato Storia dell’Integrazione europea alla Université de Lorraine-Metz

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