Il sospiro lento dell’anima: “Ci salverà nostra madre Yin” di Franco Casoni (Armando editore, 2025) un manifesto controcorrente nell’era della FOMO. Intervista all’autore
In un’epoca dominata dalla frenesia, dall’iperattività e dalla costante rincorsa al successo – la cosiddetta FOMO (Fear Of Missing Out ovvero la paura di perdersi qualcosa) – irrompe sulla scena editoriale un’opera che osa sfidare le convenzioni, proponendo una prospettiva radicalmente diversa: “Ci salverà nostra madre Yin. Inno alla passività felice e al lavoro moderato” dello psicologo clinico Franco Casoni. Questo saggio, edito da Armando Editore, non è un semplice libro, ma un vero e proprio manifesto che invita a un rallentamento consapevole, un ritorno all’equilibrio interiore e un’integrazione profonda con il pensiero cinese, offrendo una bussola per navigare la complessità della vita occidentale.

“Ci salverà nostra madre Yin” è un’opera coraggiosa e profondamente attuale, che offre una recensione critica del nostro modello di sviluppo e, al contempo, traccia un percorso per un futuro più armonioso. Franco Casoni, con il suo tono giornalistico incisivo e la sua analisi multidisciplinare, ci esorta a riconsiderare i nostri valori, a trovare l’equilibrio tra l’attivismo sfrenato e la ricettività interiore, tra il fare e l’essere. In un mondo sempre più connesso ma, paradossalmente, più alienato, il richiamo alla “madre Yin” e al pensiero cinese diventa un messaggio potente: solo ritrovando l’armonia tra i nostri opposti, possiamo aspirare a una felicità duratura e a un’esistenza che sia realmente “stare bene”.
Il suo libro “Ci Salverà Nostra Madre Yin” propone una visione controcorrente, un “inno alla passività felice”. Qual è stata la scintilla o il percorso interiore che l’ha portata a maturare un’idea così audace e a decidere di condensarla in quest’opera, sfidando la frenesia dilagante del nostro tempo?
Anni fa, lessi un libro che parlava delle differenze tra lo yang e lo yin, e rimasi profondamente colpito da questo dualismo degli opposti (il giorno e la notte, l’attività e la passività, l’odio e l’amore) che attraversa ogni aspetto della nostra esistenza. L’uomo, da sempre, cerca di comprendere le origini del mondo, e la filosofia cinese antica offre una visione cosmologica alternativa alla nostra: una visione in cui gli opposti non sono in conflitto, ma si completano in un equilibrio armonico.
Osservando la società attuale, così frenetica, iperproduttiva, inquinata e malata, ho percepito con chiarezza quanto ci siamo allontanati da quello stato di equilibrio. Da qui la convinzione che solo riscoprendo il valore dello yin (inteso come passività felice e consapevole, rispetto dei ritmi naturali, lavoro moderato e armonia con la natura) possiamo davvero salvarci da involuzioni peggiori: distruzione del clima, inquinamento, malattie. Nel mio libro affermo che, se non saremo noi a riequilibrare questo sistema, sarà lo yin stesso a riprendersi il suo spazio: attraverso cataclismi, allagamenti, tempeste e terremoti.
Nel suo saggio, lei non solo analizza il concetto di “passività felice” ma ne fa un principio cardine per il benessere individuale e collettivo. In un’epoca dominata dalla FOMO e dalla costante iperattività, come riesce lei, personalmente, a integrare e vivere concretamente questa “passività felice” nella sua quotidianità? Ci sono pratiche o momenti specifici che la aiutano a mantenere l’equilibrio tra l’attività (Yang) e la ricettività (Yin)?
Come psicologo, ho maturato la convinzione che chi si identifica troppo con la massa (e sono molti) rischia di diventare passivo nel senso peggiore: conformista, scollegato da sé stesso. Al contrario, ricercare la propria identità implica spesso attraversare un’angoscia di separazione da valori collettivi falsi e nevrotici. È proprio in questa direzione che ho proposto, come principi cardine, la passività felice e il lavoro moderato: due strumenti per sottrarsi alla frenesia del “fare”, dell’“avere”, del dover continuamente produrre e inseguire scopi. Per me, il benessere nasce da un rapporto più sano e armonico con la natura e con i nostri ritmi interiori.
Nel libro ho indicato alcune esperienze quotidiane che incarnano questa passività felice: camminare in un bosco e ascoltarne i suoni, respirare i profumi della terra, sentire il canto degli uccelli. Oppure osservare un tramonto, godendosi il colore del cielo e il lento scomparire del sole. Anche una semplice pausa durante il lavoro, per gustare un tè o un caffè, può diventare un momento rigenerante: uscire con un amico/a, fare shopping, vedere un bel film, andare a teatro.
Mi concedo spesso periodi di inattività, pause vere, e non rinuncio mai ai fine settimana: li considero importanti. Li programmo con attività moderate e piacevoli, come una passeggiata in riva a un lago, una visita a un museo, una giornata dedicata alla pesca o alla scoperta di un borgo antico. In sostanza nel mio quotidiano, cerco di realizzare questo equilibrio yin-yang in due modi:
1) “Alternando” momenti di attività (scrittura, incontri, progettualità) a momenti di quiete (passeggiate, contemplazione, pause vere).
2) “Integrando” azione e ricettività in ciò che faccio: anche un lavoro può diventare un gesto armonico se non è guidato dall’ansia e dall’imposizione, ma da una scelta libera e consapevole.
Credo che la passività felice sia una dimensione personale: ognuno può trovarla in gesti diversi, ma ciò che conta è che abbia una funzione essenziale: quella di ripristinare l’equilibrio interiore, mentale e fisico.
Il suo libro affronta le profonde disarmonie create dall’eccesso di Yang nel mondo occidentale e propone il riequilibrio con la “Madre Yin” come via d’uscita. Alla luce di questa analisi, quali considera essere le due o tre sfide più grandi che l’attuale millennio pone all’umanità, e come, secondo la sua visione, i principi di “passività felice” e “lavoro moderato” possono aiutarci a superarle?
La nostra “Madre Yin” rappresenta tutto ciò che nel mondo viene spesso trascurato o svalutato: la passività, l’accoglienza, la femminilità, l’ascolto, il rispetto dei ritmi naturali. È l’opposto dello Yang, che simboleggia l’attività incessante, la produttività, la trasformazione forzata, il dominio maschile del fare e del potere. Nel nostro tempo, è evidente come lo Yang abbia preso il sopravvento, generando uno squilibrio profondo: un modello di vita iperattivo, competitivo, inquinante.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti : crisi ambientale, inquinamento atmosferico e domestico, stress collettivo, perdita di senso. Le grandi sfide del nuovo millennio nascono proprio da questo squilibrio. Ne indicherei almeno tre: 1) “La crisi ecologica”, con i suoi effetti sul clima, sull’ambiente e sulla salute umana. 2) “L’alienazione sociale”, figlia di un lavoro alienante, della solitudine urbana, del consumo compulsivo. 3) “La perdita di senso” e di interiorità, in un mondo che premia solo l’efficienza e ignora i valori umani: molte persone si sentono vuote o smarrite perché vivono dentro una corsa continua fatta di scadenze, prestazioni, orari.
In questo modello di efficienza permanente, si perde il contatto con i propri bisogni più profondi: il silenzio, il tempo per sé e la propria famiglia, la lentezza nei gesti, la possibilità di godere della bellezza di una cosa semplice come il volto di una persona, la sua compagnia, un paesaggio, una musica. Eppure, da qualche tempo, (come ho scritto nella seconda parte del mio libro) stanno germogliando nella nostra società dei “semi di Yin”: esperienze e pratiche che cercano di riequilibrare questo eccesso. Penso alla riduzione dell’orario di lavoro, allo smart working, agli orti urbani, alle città più verdi e pedonali, ai movimenti di decrescita felice, all’agricoltura rigenerativa, all’uso delle energie rinnovabili, agli ecovillaggi, alla riscoperta della lentezza, della meditazione, del contatto. Sono segnali importanti. La passività felice e il lavoro moderato non sono fuga dalla realtà, ma strumenti essenziali per guarirla. Solo ritrovando un equilibrio profondo tra Yang e Yin potremo affrontare le grandi sfide dell’umanità in modo più umano, sostenibile e duraturo.
Elisa Cutullè
