L’intesa siglata al vertice dell’Aja (Olanda) negli scorsi 24-26 giugno e l’approccio sostanzialmente bellico di Unione europea e NATO, sollevano dubbi sulla  sostenibilità finanziaria delle istituzioni e sulla resilienza dei cittadini di molti Stati membri progressivamente privati dei servizi essenziali 

Si sperava che dopo il crollo dell’Unione Sovietica e del suo sistema comunista nessun altro Leviatano sarebbe comparso all’orizzonte dell’Europa. Ma non abbiamo fatto i conti con la più recente evoluzione dell’Unione europea, convertita dopo le sue premesse indubbiamente democratiche in un “machin” abitato da “eurocrates parlant un volapuk incompréhensible” secondo la definizione di de Gaulle allora riferita alla CECA – autoritario e condizionante su scelte assurde i cittadini dei propri Stati membri. Nei fatti l’ideologia europea si avvicina sempre di più ad un nuovo “credo comunista”, dai contenuti illiberisti. Come l’URSS, secondo l’inno sovietico “unione inalterabile delle repubbliche libere” l’Unione vanta i principi virtuosi della libertà, del progresso, dei diritti umani. Ed, esattamente come l’Unione Sovietica, impiega ogni argomento per screditare ogni voce contraria. Come scrive Vladimir Bukowski, noto dissidente dell’epoca sovietica, “L’Unione come il suo predecessore sovietico impiega gli stessi argomenti speciosi per assicurare la sua perennità e discreditare ogni critica….se essa rappresenta l’avvenire i suoi oppositori figurano per definizione retrogradi e vanno semplicemente emarginati”, diciamo noi come eretici. Basta ricordare il trattamento che i media italiani mainstream, con pochissime eccezioni, hanno riservato al prof. Alessandro Orsini reo di avere denunziato per conoscenza scientifica e coerenza intellettuale, i limiti della favola narrata dalla propaganda europea di guerra sulla inevitabile superiorità che con l’aiuto dell’Occidente l’Ucraina avrebbe espresso militarmente nei confronti della Federazione russa. Elevando un regime ultranazionalista, soffocatore delle sue minoranze etniche e profondamente corrotto a campione dei valori occidentali. Lo stesso trattamento oggi riservato agli studiosi che denunziano la gravità storica dell’allontanamento dell’Europa occidentale, con la sua insignificante ricchezza di materie prime, dalla Federazione Russa, dopo che la creazione di una “CASA  COMUNE EUROPEA” – chi si ricorda ancora dell’intesa NATO –RUSSIA di Pratica di Mare  volute e  riuscita  nel 2002 da Silvio Berlusconi?- era stata invece la speranza che nasceva dalle macerie dell’URSS e dalla fine della Guerra Fredda. Speranza che non aveva fatto i conti con l’egemonismo e l’unilaterale controllo del mondo espresso dagli Stati Uniti, dichiaratisi, da campioni indiscussi  del marketing, nel 1990-91 i vincitori di una guerra mai combattuta perché l’URSS, dopo l’invasione dell’Afghanistan, si era frantumata da sola. Egemonismo cui i paesi dell’Unione, autodefinendosi inspiegabilmente come semplici satelliti, non alleati ma allineati all’euro-atlantismo, con delle élites che si erano  immediatamente piegate alle pressioni anglo-americane , quasi più attente agli interessi americani che alla situazione dei propri cittadini, danneggiati proprio dal decoupling dell’Europa dalla Federazione Russa, immediatamente perseguito dagli USA subito dopo il crollo del muro di Berlino. Subito dopo cioè che era stato falsamente promesso, senza nessun impegno contrattuale, all’ingenuo Gorbachev la dissoluzione contemporanea della NATO col Patto di Varsavia. Dissoluzione mai avvenuta, come mai mantenute sono state le promesse  di una diplomazia statunitense  concepita, non  come strumento  di negoziazione, ma di semplice accompagnamento delle situazioni belliche, secondo la visione statunitense di un mondo non funzionante secondo un ordine giuridico generalmente riconosciuto, ma secondo le sole regole (“rules”) ad uso mondiale fabbricate per i loro interessi. Sono le “rules” che permettono, onta morale dell’intero pianeta, la distruzione di Gaza mentre i paesi europei, satelliti lunari degli USA, non hanno il coraggio di muovere un solo  dito e anzi partecipano vergognosamente con le loro armi allo sterminio del popolo palestinese. Ma i cittadini europei con le loro infinite liste di attesa negli ospedali, con delle prospettive di crescita gelate da vent’anni – oggi anche nel ricco Lussemburgo non superano l’1% del PIL – una disoccupazione crescente e una depressione incombente non hanno che un solo obbligo: quello di sottoporsi alle scelte dell’equivalente europeo del “Bureau politico del Comitato Centrale del Partito comunista”, la Commissione europea, organo statutariamente propositivo e non legiferante, ma oggi in piena mutazione organica, che dopo essere stata quella di Jacques Delors si chiama oggi Commissione Von Der Leyen,  alle sue spese militari non votate dall’unica istituzione rappresentativa dei popoli europei, il Parlamento europeo, al sostegno indefettibile all’Ucraina, al rigorismo di bilancio inventato in Germania, oggi rotto solo per il programma di riarmo grazie al suo surplus commerciale, a regole ambientali imposte con la prevalenza  del diritto europeo attraverso mandate policies concepite nel disprezzo del mercato, delle imprese, dei consumatori, alla fabbricazione infine di un nemico strutturale, la Federazione Russa (parole dell’Alto rappresentante della Politica estera) che fa a pugni con la storia dell’Europa e con gli interessi economici dei suoi cittadini. Una scelta ideologica binaria voluta da istituzioni europee più volte messe in discussione (regole COVID e acquisti opachi di vaccini Pfizer, penetrazione delle lobby) ma autoproponentisi come paradiso dei valori democratici, in crociata ideologica contro il nuovo Impero del Male, rappresentato da un paese che ha osato difendersi con le armi dalle scelte della  dama di ferro che opprime la vita e le speranze dei cittadini dell’Europa: la Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. La NATO. Contando su 23 Paesi membri UE su 27 e sul totale supporto esterno della Gran Bretagna, oggi le scelte della NATO (e, quindi, le opzioni dell’unico paese guida, gli Stati Uniti) si sovrappongono e si contrappongono a delle scelte endogene degli organismi europei.

La recente decisone dell’Aja di far passare al 5% del PIL la spesa militare degli Stati membri NATO per i prossimi dieci anni (cioè tutti i paesi UE tranne Austria, Cipro, Malta, Repubblica d’Irlanda) ne è la prova  più lampante. Innanzitutto, visto che il riarmo dell’Europa è indirizzato verso un nemico fabbricato come planetario in perfetta sintonia con i neo-conservatori americani che ispiravano la linea anti-russa del presidente precedente Joe Biden, la Russia, intesa come propaggine europea della Cina, diamo qualche dato sui rapporti di forza attuale fra UE, Gran Bretagna e Norvegia rispetto alla Federazione Russa che già oggi va tutto a favore, nonostante il corrente narrativo, dell’UE e dei suoi alleati. Secondo i calcoli dell’ISS International Institute for Strategic Studies tale spesa sarebbe stata nel 2024 più elevata di quella di tutti paesi europei messi insieme (inclusa la Svizzera).
Correggendo gli errori del rapporto puntualmente riportato fra gli altri dal Financial Times sulla spesa russa, l’Osservatorio CPI (Osservatorio dei Conti Pubblici) diretto da Carlo Cottarelli dell’Università Cattolica di Milano, ha provato invece, come già pubblicato da PassaParola, che era nello stesso periodo a parità di potere di acquisto la spesa militare europea ad eccedere quella russa del 58%. Ma scendendo nei dettagli, una precisa configurazione dei rapporti attuali di forza NATO/Russia secondo le statistiche mondiali delle forze miliari è pubblicata da Le Point – Géopolitique per il 2025, che come appartenente al gruppo editoriale di François Pinault, può essere  difficilmente accusabile di filo-putinismo. Detto in soldoni, il linguaggio delle cifre della fonte citata dimostra chiaramente che la Federazione Russa sta sotto in tutto tranne che in riservisti e sottomarini nucleari.

Quindi, ci si domanda quale sia l’urgenza che ha visto la NATO nella sua ultima riunione dell’Aja decidere: “Allies agree that 5% commitment will comprise two essential categories of defence investment…3,5% of GDP annually ..to resource core defense equipment….1,5% to inter alia protect our critical infrastructure, defend our networks, ensure our civil preparedness and resilience…” Ora, a parte il fatto  che in corretto Italiano resilienza significa letterariamente “salto all’indietro”, ci si domanda come possa per l’Italia Giorgia Meloni, come già osservato da Marco Travaglio decidere di  “ comprare armi e tagliare welfare entro il 2035, cioè spendere in 10 anni 400 miliardi in più in cannoni & affini per poi buttarne oltre 100 all’anno, e rosicando per le lezioni di sovranismo che le dà il socialista Sanchez”( la Spagna ha dichiarato che non andrà oltre il 2,1 % del PIL come richiesto dalle forze armate spagnole, ndr) .

Ma tutto si spiega ascoltando le grottesche dichiarazioni del nuovo segretario della NATO, Mark Rutte, degne delle adulazioni di un precario universitario verso il suo professore ordinario, rapidamente convertito da falco dell’austerità a tappeto… persiano (notare il contrasto) del presidente americano Donald Trump a cui sono destinate tutte le decisioni NATO. Dal nuovo acquisto di armi americane dopo i nuovi acquisti di shale gas americano a quattro volte il prezzo di quello russo, sino alla consenziente rovina economica dell’intera Europa conseguente agli incrementi dei costi energetici e ai nuovi dazi made in USA, oltre che ai guasti alle industrie manifatturiere indotti dalle endogene scelte di mandate policies ambientali. Ma non basta. Anche la UE non è da meno. Non solo l’UE ha già speso secondo i dati ufficiali del Consiglio 158,6 miliardi di aiuti militari all’Ucraina, ma si dice pronta a stanziare in armi per altri 800 miliardi, mettendo subito a disposizione degli Stati membri 150 miliardi di prestito per spese militari, con il Fondo Save.

In questo stravolgente giro di miliardi degno di un tragico Monopoli ci si domanda dove finirà l’Euro, dove finiranno i cittadini europei ma soprattutto dove e quando finirà l’Unione europea. In uno straordinario cupio dissolvi concepito a Bruxelles e nelle sedi NATO, innanzi tutto sulle teste del popolo europeo che sulle spese di guerra nessuno ha mai direttamente consultato. E che deve per forza impostare il suo fallimento economico in nome della opposizione bellica ad un nemico che è la stessa NATO ad avere scientemente fabbricato sin dal 1957, la Federazione russa, ieri Unione Sovietica. Ma forse a Bruxelles questa distinzione fra le due entità non è mai esistita. Niente diplomazia, nessun negoziato, nessuna politica estera. Solo un “armiamoci a prescindere”. Peggio che durante la Guerra Fredda. In definitiva, come si dice in Toscana concludiamo con un: “sarà ma non ci credo”. Da decisione in decisione, credere ancora ai fondamenti razionali dell’ideologia europea diventa in effetti sempre più improbabile. A meno di convertirsi alla fede incrollabile di un San Paolo. Sulla via dell’Aja? Anziché sulla via di una Damasco oggi in rovina? E se il lampo della conversione fosse proprio la fine della russofobia ambiente e il ritorno della Oest-Politik visto che gli USA stanno taglieggiando l’Europa in tutti i modi mentre la Federazione Russa ha sempre permesso con le sue materie a buon mercato alle imprese europee di rimanere sui mercati? Magari spostando i tappeti persiani del contrattista Mark Rutte, scegliendo piedi meno pesanti di quelli del Grande Protettore inebriato dal nichilismo della propria potenza?

Carlo degli Abbati

*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione europea e Organizzazioni Internazionali al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento ha insegnato Storia dell’Integrazione europea alla Université de Lorraine-Metz

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