Perché la Russia ha resistito alle sanzioni dell’UE meglio del previsto? Quando, solo sei ore dopo l’inizio dell’invasione, la Unione europea decretava il primo treno di sanzioni contro la Russia che aveva invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire si era distinto nel prevedere che esse avrebbero decretato la rovina della economia russa (“Nous allons provoquer l’effondrement de l’économie russe”). Seguivano le previsioni della Banca Mondiale da Washington con un rotondo -11% del PIB russo, l’OCDE da Parigi con un -10,5%. Gli studiosi della economia russa erano un po’ più cauti. Fra loro, il francese Jacques Sapir che prevedeva una contrazione della economia russa fra il 4 e il 5 %
Due anni dopo, il principale Paese industriale europeo, la Germania, è passata in recessione di quasi sei punti percentuali, l’Europa conosce la reale maggiore inflazione dal dopoguerra, il saldo commerciale della zona EURO che era in surplus di 192 miliardi nel 2019 è sceso ad un deficit di 432 miliardi nel 2023, l’EURO è a 1,04 contro USD contro 1,30 del 2010, ma il nostro argomento non è trattare l’effetto boomerang evidentissimo delle sanzioni alla Russia sulla economia europea, ma solo domandarci perché la Russia ha resistito alle sanzioni meglio del previsto. Veniamo ai fondamentali. La Federazione Russa, il più grande paese del mondo, esteso su 17,125 milioni di km2, ricco come è noto di materie prime, con una popolazione stimata di 145.102,000 ab. nel 2021, risulta nelle statistiche del PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) al 56° posto sui 191 paesi censiti- nel gruppo dei Very High Human Development Countries -, con un indice di sviluppo umano di 0,821 che risulta in progresso rispetto allo 0,743 registrato nel 1990. Il PIL pro-capite calcolato in Dollari USA in Parità di Potere di Acquisto 2017 è di 26.997 (2022) che scendono in effettivo a 13.648 (2023). Rappresenta appena con 1.997 miliardi USD insieme alla Bielorussia meno del 4% del PIL occidentale ma, per giudicare, dobbiamo dirigere la nostra attenzione su di una serie di fattori. Per la popolazione, anche la Russia come gli altri paesi europei è toccata dal fenomeno del decremento demografico, con un indice di fecondità dell’1,5 figli per donna in età feconda, per cui va meglio dell’Italia (1,2) ma peggio della Francia (1,7). Si tratta comunque di una popolazione educata, con un periodo medio atteso di scolarità di 15,7 anni che scendono in scolarità effettiva a 12,4 anni contro per esempio i 10,7 anni dell’Italia. Quanto alla situazione sanitaria della popolazione, si avvicina ai dati europei con una mortalità infantile di 4,4 X mille nascite, migliore rispetto agli Stati Uniti (5,4 morti alla nascita) e vicino ai valori UE (Francia, 3,6 Italia, 2,7). Ma è importante disaggregare i dati, scendendo come scriverebbe Emmanuel Todd nelle “profondità sociologiche della popolazione attiva”. Qui la prima sorpresa sta nella componente ingegneristica. Il 23,4 % degli studenti russi scelgono ingegneria contro p.e. il 7,2% degli americani, evidentemente più attratti da altri più facili percorsi professionali soprattutto nel settore finanziario. In questa categoria, riprendendo l’analisi di Todd, la Germania è al 24,2%, il Giappone al 18,5 % la Francia solo al 14,1% e complessivamente il numero di ingegneri russi supera, con oltre due milioni di unità, quello degli americani, nonostante la popolazione russa sia inferiore di più della metà (145 milioni contro 337). Il sistema russo è quindi più adatto ad aumentare la produzione di cannoni che… di carta moneta, fondi e prodotti derivati.
Altro elemento è l’età media russa attesa che era in crescita costante dal 1990 sino al 2019 (73,9 anni), mentre l’andamento della vita negli USA pur restando superiore (77,19 nel 2021) ha iniziato dal 2014 –era di 79 anni – una costante discesa per chiari questioni dovute all’alimentazione e all’assenza di una protezione sanitaria universale.
In Russia, fra il 2000 e il 2017 -fase centrale della stabilizzazione putiniana del paese- su 100.000 ab. il tasso di morte per alcoolismo è regredito da 25,6 a 8,4, il tasso di omicidi nello stesso periodo da 28,2 a 6,2, il tasso di suicidi da 39,1 a 13,8. Se poi ci riferiamo al 2021 i dati sono ancora migliori. Del resto, per avere l’idea del miglioramento globale della situazione russa dall’avvento al potere nel 2000 di Vladimir Putin, si può osservare che nel 2000 la mortalità infantile era di ben 19 per 1000, più o meno quella attuale della Bolivia, in altri termini in poco più di vent’anni è scesa di 4,3 volte. Altro fattore significativo è l’andamento della classica produzione russa di cereali. Nel 2012 la Russia produceva 37 milioni di tonnellate di frumento, è passata a 80 milioni nel 2022, con un incremento in dieci anni del 116%. Ma non solo: la Russia è anche il terzo produttore di carbone al mondo. Dipendono dalle forniture di grano di Russia (ed Ucraina) fra l’altro paesi come il Kazakistan, la Turchia, l’Egitto, il Sudan, la Libia, il Libano, l’Algeria, la Tunisia, il Pakistan, lo Yemen e l’Indonesia. Per l’economia europea un gas sostitutivo di quello russo non è concretamente reperibile né in Algeria, né in Libia, né in Kazakhistan, né in Turkmenistan-Azerbaigian, né nei paesi del Golfo. Si compra attualmente negli Stati Uniti a cinque volte il gas di tubo russo. Questo è il paese complessivamente in ascesa verso cui si sono dirette le sanzioni occidentali fra cui quelle europee, decise solo poche dopo ore l’inizio delle ostilità in Ucraina.
Nonostante lo wishful thinking del crollo del sistema economico russo sperabilmente conseguito dall’ applicazione delle sanzioni possiamo oggi obiettivamente affermare, a più di due anni di distanza, che le sanzioni occidentali non sono stati efficaci. Per spiegarlo bisogna ricorrere ad almeno tre ordini di ragioni. Innanzi tutto, le sanzioni per essere efficaci devono essere uniformemente accettate. Sono state in realtà adottate invece solo dai paesi di stretta osservanza occidentale (UE, i cinque paesi della c.d. Anglosfera, Stai uniti, Gran Bretagna, Giappone, Corea del Sud, Taiwan). La Turchia per esempio, paese NATO, non ne ha accettato l’applicazione come tutti gli altri paesi non occidentali del pianeta. Il West le ha imposte, il Rest le ha respinte. In secondo luogo, le sanzioni hanno provocato in una Russia impegnata nello sforzo di guerra un positivo fenomeno di creazione di imprese sostitutive delle importazioni che ha riguardato sia le grandi imprese che le PMI russe, provocando degli effetti positivi sugli investimenti, sull’andamento dei salari e sull’occupazione. In altri temini, la situazione di guerra ha aiutato la Russia ad uscire dalla sua condizione di paese a monocultura fossile. In terzo luogo le sanzioni non hanno colto il governo russo impreparato, soprattutto nel settore finanziario. Si poteva immaginare che l’allontanamento delle banche russe dal sistema SWIFT avrebbe sconvolto il sistema finanziario russo. Invece dal 2014 la Banca centrale russa aveva messo in funzione il SPFS, sistema di messaggeria finanziaria russa e dal 2015 lanciato il sistema di carte di pagamento NSPK e il sistema di pagamento MIR, in grado di sostituire il sistema SWIFT. Oggi, in altri termini, dopo aver segnato una contrazione dovuta all’impatto iniziale delle sanzioni comunque inferiore alle previsioni ( -1,7% invece di -4-5% per non parlare di -11% ..) ha ricominciato a crescere dell’ordine del 1,4 – 1,5% rispetto al 2021 e nel 2023 è risultata del 3,6%. Tutto ciò può stupire: no, se si ha in mente la vastità di risorse naturali di cui dispone questo grande paese: cereali, granoturco, semi di girasole, ma anche carbone, gas, petrolio e materie rare insostituibili, dal germanio, al palladio al titanio. Nei suoi confronti l’Unione europea, dopo l’ingresso delle truppe russe in Ucraina – ingresso più volte per la verità minacciato almeno dal 1997 cioè prima dell’invasione NATO della Serbia – ha deciso di uscire dalle tradizioni pacifiche e negoziali dei padri fondatori come Jean Monnet per avviarsi sull’arduo cammino del bellicismo anti-russo. Su pressione esterna americana e britannica ed interna degli ex paesi URSS (avanti agli altri la Polonia e i tre paesi baltici), arrivati in massa nella UE in luogo dei sei previsti nel 1997, da membri NATO prima nel 1999 (3) e poi nel 2004(7), per la riuscita pressione americana rappresentata dalla segretaria alla sicurezza nazionale Condoleeza Rice, l’UE si è fatta a sua volta disciplinatamente partecipe dell’obbiettivo tutto americano di indebolire la Russia. Rischiando di fare la fine, indebolendo la sola vera produzione manufatturiera europea, quella tedesca, cui si subordinano tutte le altre, di quei giocatori di poker che, rilanciando febbrilmente al buio, mettono sul tappeto alla fine solo una coppia di fiori. Non è il caso di avere letto i capolavori di Piero Chiara per intuirlo. Se “Il piatto piange” è anche in atto “La spartizione”. Del successo? No, dell’impoverimento europeo ed ucraino, imposto dall’opzione di prescindere consapevolmente da ogni via diplomatica e negoziale con il nostro potente e nuclearizzato vicino. Questo sin dall’aprile 2022 con il voluto fallimento degli accordi di Minsk che avrebbero potuto evitare la guerra e tante inutili vittime che comunque pesano perlomeno sulla nostra coscienza.
Carlo degli Abbati
Professore associato di Politica Economica e Finanziaria insegna Diritto della Unione Europea al Dipartimento di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova