Il secondo lungometraggio del regista calabrese è un pugno allo stomaco in un guanto di velluto
“Familia” di Francesco Costabile (quarantenne di Cosenza) ha catturato il pubblico di Villerupt la sera del primo novembre. Tratto da una storia vera (il libro al quale si ispira è la biografia di Luigi Celeste, uno dei protagonisti), il film trattiene ad arte lo spettatore sul filo della tensione e alterna con maestria scene cruente a passaggi delicatissimi. La paura è la vera protagonista della pellicola. La paura di Licia (interpretata da una bravissima Barbara Ronchi), vittima della violenza fisica e psicologica del marito, dal quale cerca invano di liberarsi. Da questo rapporto tossico sono travolti anche i due figli maschi. L’epilogo è scontato, ma la “risalita” no, come spiegano i titoli di coda e come ci ha raccontato il regista nel dibattito molto coinvolgente che è seguito alla proiezione.
Costabile ci ha spiegato il messaggio del suo film (siamo tutti/e vittime del patriarcato) e lo scopo del suo lavoro, che è quello di sensibilizzare le nuove generazioni ad affrancarsi da questo meccanismo tossico di violenza domestica e sopraffazione psicologica. Il regista ha voluto anche mostrare (parole sue) quanto in queste realtà socio-familiari le istituzioni siano il più delle volte completamente assenti, aggiungendo che ha voluto anche trasmetterci un monito: osservare sempre tutte le prospettive umane senza mai giudicare! Il film si svolge lungo un arco di 30 anni e Costabile ha svelato al pubblico anche un’astuzia tecnica per rendere le scene del passato come se fossero state girate con la pellicola di cellulosa. Il regista, che sta portando il film nelle scuole, ha raccontato del suo bel rapporto con l’uomo che ha davvero vissuto questa triste vicenda familiare e che ha contribuito non poco alla realizzazione del suo progetto cinematografico.
Maria Grazia Galati