Ha ancora senso oggi raccontare di Danilo Dolci ad un’Italia immemore, autentica lavatrice della storia nazionale, ma anche all’Europa oggi altrettanto immemore di sé stessa e del suo significato? Perché parlare oggi di Don Zeno Saltini e dell’Opera dei Piccoli Apostoli sistemata sul campo di concentramento di Fossalta divenuta la Comunità di Nomadelfia che fu la palestra del pensiero di Danilo Dolci?

Perché parlare del senso della vita di questo triestino nato un secolo fa da madre slovena, figlio di un ferroviere che nel 1952 arriva dall’estremo nord dell’Italia in un villaggio di contadini pescatori in provincia di Palermo, a Trappeto-Partinico, zona di povertà e di banditismo, per rivendicare e digiunare insieme agli ultimi degli ultimi. Un bimbo è letteralmente lì morto di fame, molti sono rachitici,  Danilo Dolci vi inizia il primo digiuno e ne seguono altri, sino a che sono in mille a digiunare con  lui sulla spiaggia di  San Cataldo per lottare contro la pesca di frodo che leva il pane ai pescatori e a preparare lo sciopero alla rovescia, cioè il rifacimento di una trazzera intransitabile con le braccia dei disoccupati facendo riferimento a quel diritto al lavoro inutilmente sancito  per quelle zone dall’art.4 della Costituzione. Ovviamente la risposta delle autorità non sarà il plauso ma la prigionia all’ Ucciardone per occupazione abusiva di suolo pubblico. Sarà difeso da Piero Calamandrei.

Dopo il successo di Banditi a Partinico, pubblicato nel 1955 da LATERZA si allarga il sostegno internazionale. Per lui “ banditi” significa esclusi, gli esclusi di Partinico nel senso letterale del termine.

Seguono altri digiuni in particolare nel 1957 con Pietro Alasia per denunciare la situazione dei quartieri più poveri di Palermo. Introduce per la prima volta in Italia il concetto di piena occupazione e fonda a Partinico il “centro di studi ed iniziative per la piena occupazione” che sin seguito si estende ad altri comuni siciliani.

Danilo Dolci e Peppino Impastato

L’ultimo digiuno è del 1962 a Spine Sante. La mafia controlla l’acqua del fiume Jato e la distilla peso d’oro ai contadini. Al nono giorno di digiuno giunge da Roma la decisione di costruire la diga. Ma la lotta di Dolci continua . Il 20 novembre 1965 dopo che Danilo e Franco Alasia hanno denunziato al Circolo della stampa di Roma “ un’autoanalisi popolare completa nella zona del Belice sui rapporti fra mafia e politica”,  è tradotto a processo per direttissima da un  ministro, un sottosegretario di stato ed alcuni notabili locali. Il processo si concluderà nel giugno del 1967 con la condanna a Danilo a due anni di prigione, e Franco Alasia a un anno e sette mesi. E’ presentato appello. Il 20 settembre 1967 Danilo Dolci conduce la protesta antimafia davanti al Parlamento   e alla sede della commissione Antimafia. Nel gennaio 1968 iniziano nel Borgo di Trappeto i lavori per la costruzione del centro di formazione con il contributo di Carlo Levi, Bruno Zevi, Paolo Sylos Labini, Siro Bombardini. Ma il 15 gennaio 1968 il terremoto scuote la valle del Belice e il centro si mobilita per un soccorso immediato. Si studia un piano di sviluppo per le zone terremotate e si indicono “cinquanta giorni di pressione per la zona terremotata”. Nel luglio del 1969 viene costituito il consorzio irriguo dello Jato, isolando il gruppo mafioso fra cui Frank Coppola che si era sempre opposto alla sua costruzione. Nel 1970 da Partinico una Radio Libera diffonderà la voce della gente terremotata. Partiranno altre denunce e solo un’amnistia eviterà a Danilo Dolci e a Franco Alasia la detenzione. Nasce a Trappeto il nuovo centro educativo fra il 1971 e 1973 in località il Mirto. Seguiranno altri vent’anni d’impegno civile in Sicilia sempre pacifico.

Ma verso la fine della sua vita nel 1996 l’impegno di Danilo Dolci si sposta anche in Sardegna. Dall’agosto 1972 senza alcuna autorizzazione parlamentare si era costituita sull’isola una base militare USA dotata di mezzi nucleari che inquinavano  corpi e menti degli abitanti , almeno un decimo della popolazione. E anche qui arriverà l’impegno di Danilo Dolci. Da educatore si farà in particolare propugnatore di una nuova maieutica, l’arte di far apprendere, di uno strumento capace di far dialogare culture diverse, di dare forza e potere alle nuove generazioni, autonomia di giudizio a ciascuno. Un esercizio basato sul comunicare più che sul trasmettere, sul comunicare come atto essenzialmente sincero e non violento. Dirà” Tra i muri della scuola in cui manchi l’educatore autentico, si trasmettono dati, tecniche, ma la conoscenza è un processo che ognuno deve ricrearsi” e “In questa epoca si insalda nel mondo la tendenza per cui, con l’impegno strategico di potenti quanto sottili strumenti unidirezionali pochi gruppi di scaltri guidano colonizzando l’esistenza delle maggioranze rendendole passive, succubi. Questo dominio parassitario, antica malattia virale rimodernata, sta ora investendo prestigiosamente non soltanto gli uomini ma tutta la natura…Una malattia ci intossica e impedisce: la vita del mondo è affetta dal virus del dominio , pericolosamente soffre di rapporti sbagliati…”. Aveva portato un regista amico Paolo Benvenuti, che lo racconta su Alias a Portella della Ginestra con la sua scassata Fiat 850 per dirgli “ qui il primo maggio 1947 c’è stata una strage hanno sparato a vecchi e bambini, con il sangue di questa strage è stata battezzata la Prima Repubblica” e poi sempre rivolto al regista “Vedi laggiù`? C’è Capaci : col sangue delle vittime di quella strage è stata battezzata la Seconda Repubblica”. Poi per fargli capire il senso delle sue parole gli offri “Banditi a Partinico”.

Certo non mancheranno in vita a Danilo Dolci i riconoscimenti, le lauree honoris causa a Berna e Bologna, gli inviti dell’UNESCO, il premio Lenin, il Premio Socrate di Stoccolma, come riconoscimento letterario il Premio Viareggio per le sue poesie, il Premio Sonning dell’Università di Copenaghen, la Medaglia d’Oro dell’Accademia dei Lincei, a Bangalore il premio internazionale Gandhi per l’approfondimento dei valori rivoluzionari non violenti . Ma non sappiamo quanto valga oggi raccontare che c’è stato un Gandhi in Italia e in Europa quando  complessi militari industriali individuano continuamente nemici da combattere per continuare a fare splendidi affari con la morte, producendo corpi scerpati  in ogni parte del modo ? Ha ancora senso parlare di moralità nel nostro mondo occidentale in cui si riservano le standing ovation agli sterminatori proprio perché solo amici?

Danilo Dolci a Trappeto aveva sposato la vedova di un marinaio, Vincenzina, già madre di cinque figli Turi, Matteo, Pino, Giacomo e Luciano. Insieme avranno altri cinque figli Libera, Cielo, in omaggio a Cielo d’Alcamo, Amico, Chiara e Daniela.

Forse con il suo splendido esempio umano sono ancora la sola cosa che conta. I suoi dieci figli.

Carlo degli Abbati

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